Le nuove parole chiave del mondo open

Siamo in una fase di maturazione in cui emergono i nuovi concetti che permetteranno al canale di lavorare con le piattaforme open. Ne abbiamo parlato con gli addetti ai lavori

Luglio/Agosto 2005, Nel numero di maggio di Computer Dealer&Var
(n. 140, pag. 63) avevamo anticipato le iniziative di Hp e Ibm dedicate ai partner
in ambito Linux. Avevamo scritto del nuovo Linux Elite partner program introdotto
da Hp e del Linux Innovation Center aperto presso la sede di Avnet con l’aiuto
di Ibm (vedi Cdv n.140). Al recente LinuxWorldExpo abbiamo riunito intorno a
un tavolo per un Faccia a faccia con il business, i rappresentanti
dei due vendor, due distributori (Avnet e Icos) e tre rivenditori (Gruppo Pro,
Santin e Associati e Tai) per confrontarsi su queste iniziative e, in generale,
su come affronta-re un mercato e un modello di business assolutamente nuovo
rispetto a ciò che il canale è stato abituato a vendere finora.
Dal confronto sono scaturiti diversi spunti di riflessione, sulle reali intenzioni
dei vendor, sul ruolo dei distributori e su quello dei rivenditori ma, soprattutto,
sulle parole chiave di questo nuovo business. Innanzitutto, dobbiamo prendere
atto che almeno una parte del canale lavora già su piattaforme open da
qualche anno. I tre rivenditori presenti al nostro Faccia a faccia con il business
hanno tutti dichiarato di sviluppare e proporre soluzioni open source da almeno
tre anni, dimostrando una certa sensibilità verso i loro clienti che
chiedono di ottimizzare i costi dell’It senza rinunciare a implementare i tool
mancanti, per un’integrazione corretta dei diversi strati applicativi introdotti
troppo spesso in maniera disomogenea.


Da sinistra: Massimo Santin, Massimo Cecchinato, Paolo Angelini e Roberto
Fassina

Primo: serve integrazione
L’integrazione è, ormai, il punto di partenza, come confermano anche
i dati rilasciati da Idc al LinuxWorldExpo di cui parliamo nel riquadro a pagina
47. «Saper lavorare su più piattaforme e su componenti di integrazione
diversi è il vero plus del rivenditore
– afferma Paolo Angelini,
direttore Systems network di Gruppo Pro -. Inoltre, si riesce a tagliare
meglio la soluzione per il cliente in ottica di risparmio». «Nelle
aziende è difficile trovare una soluzione unica
– gli fa eco Massimo
Santin
, socio fondatore di Santin e Associati -, per questo risulta
determinante conoscere bene il proprio cliente»
. A causa di questa
profonda eterogeneità, è fondamentale per un integratore avere
a disposizione uno staff di sviluppatori in grado di realizzare dei tool applicativi
definiti "open". E qui il dibattito si sposta sul significato della
parola "open", molto diverso da ciò che intendono i fedelissimi
di Linus Torvalds, ovvero un applicativo certificato secondo gli standard open
source e il cui sorgente è messo a disposizione di tutti. Si parla, piuttosto,
di applicativo "open" nel senso che intende Sun, ma anche Hp e Ibm.
Un software sviluppato in casa, magari studiato appositamente per risolvere
uno specifico problema, che aderisca completamente agli standard, e che quindi
sia "aperto" rispetto a questi, in modo da non creare difficoltà
nell’integrazione. Questo software, poi, può essere messo a disposizione
della ristretta comunità di business partner di un singolo vendor.
«La scelta che abbiamo fatto
– conferma Angelini di Gruppo Pro –
è di essere open nel senso di scrivere codice standard che possa
essere utilizzato su tutte le piattaforme (per esempio As/400 e Windows) appoggiandosi
su strati standard (come l’Xml e il soap)». «Non potendo competere
con Sap (per fare un nome qualsiasi)
– prosegue Angelini – mi specializzo
e faccio in modo che la mia soluzione si leghi con il resto dell’infrastruttura
applicativa del cliente».

Alla luce di questi distinguo, si profila meglio la tipologia del rivenditore
che può fare business con i software open. O meglio, anche con i tool
aperti.


Da sinistra: Cristiano Ferrari, Fabrizio Ghelarducci e Vincenzo Trama

Secondo: ci vuole affidabilità
«Perché uno non può dire di lavorare solo su Linux visto
che l’azienda cliente raramente ha solo Linux»
specifica sempre Angelini.
Sicuramente non si tratta di un dealer di scatole, piuttosto, di un Var con
forti capacità di sviluppo e, tendenzialmente, orientato almeno alla
media impresa, se non a un mercato ancora più alto. «Il fatto
che non ci sia il box
– afferma ancora Angelini – permette di selezionare
gli operatori, escludendo quelli che lavorano sul volume»
. Una naturale
selezione della specie, insomma, a cui i vendor non hanno neanche avuto la necessità
di partecipare. Le loro strategie, infatti, si applicano già a un canale
selezionato. Per questo Hp dichiara di aver iniziato il processo di certificazione
del suo Linux Elite partner program «attualmente su 12 partner
– afferma Roberto Fassina, Linux business manager di Hp – che
hanno già tutte le certificazioni necessarie e, comunque, tutti gli operatori
con cui stiamo venendo in contatto hanno già una certa esperienza»
.
Ai pochi e selezionati partner di canale Hp e Ibm, così come Sun, si
pongono come "singolo punto di contatto", secondo la definizione data
da Fassina di Hp. È innegabile, infatti, che Linux, o in generale l’ecosistema
open, abbia registrato uno slancio di interesse tra i clienti solo al momento
in cui i grandi nomi dell’It hanno dichiarato il loro impegno. «Il
ruolo dei vendor è fondamentale
– interviene ancora Angelini – anche
se ci potrebbe essere una contrapposizione tra le soluzioni proprietarie dei
vendor stessi e gli applicativi open source. D’altra parte è evidente
che Ibm consideri il fenomeno perché gli permette di presidiare il mercato
e di aiutare la transazione verso Linux negli ambienti enterprise. Inoltre,
le aziende clienti devono avere garanzie e solo i vendor possono dargliele»
.
Anche perché, come puntualizza Massimo Santin: «Le aziende
clienti ragionano per piattaforme e ambienti di sviluppo (come Java, .Net e
l’ambiente As/400) e Linux, insieme agli applicativi open, non ha ancora raggiunto
l’affidabilità di una piattaforma»
.
Garanzie e sicurezza. Altre parole chiave. Linux interessa, ma non convince.
Ecco allora il perché della scelta di Hp di costituire, prima dell’iniziativa
Ibm-Avnet, un centro di competenza insieme a Red Hat. «È proprio
per dare determinate garanzie di sicurezza, oltre che per motivi storici di
collaborazione, che abbiamo voluto collaborare direttamente con Red Hat

– spiega Fassina di Hp -. Secondo noi è meglio allearsi con chi sviluppa
e ingegnerizza la distribuzione»
.
A proposito della contrapposizione tra le piattaforme, invece, Vincenzo
Trama
, del Systems technology group di Ibm, confermato da tutti gli
interventi del Linux-WorldExpo, sfata un altro luogo comune.

Terzo: no alla contrapposizione
«La vera sfida – sostiene Trama – è integrare Linux
con il software commerciale esistente e non ha più senso parlare di contrapposizione»
.
Anche Massimo Santin è d’accordo: «A volte si approccia il
problema dal punto di vista "religioso", ma non serve. Al cliente
interessa che la sua infrastruttura funzioni e se risparmia è meglio»
.

Messi da parte "i dialoghi sopra i massimi sistemi", insomma, sembra
giunta l’ora di essere pragmatici. Come conferma Icos, distributore da sempre
impegnato in area Sun, per bocca di Cristiano Ferrari, responsabile
divisione server del distributore ferrarese: «Si deve abbandonare
l’approccio emozionale a Linux, per affrontare, invece, il tema in maniera più
concreta anche per definire meglio il business legato alle iniziative e agli
sforzi, anche economici, di vendor e distributori, che spesso non riusciamo
a farci riconoscere»
.
A questo punto, se si parla di sforzi dei distributori, svisceriamone il ruolo.
Secondo Massimo Cecchinato, Ibm products director di Avnet,
«anche con il Linux Innovation Center il nostro intento è di
supportare gli sviluppatori, di creare "connection" tra partner e
di colmare il percorso che li distanzia dalla generazione del business»
.

Quarto: comunità di sviluppo
Ferrari di Icos concorda: «La nostra iniziativa, "Un mondo di
soluzioni", nasce proprio con l’intento di porci come aggregatore di soluzioni
e come facilitatore di relazioni e sinergie tra i rivenditori per soluzioni
complesse, dove una sola competenza non basta e non è pensabile»
.

Inoltre, e qui sarà fondamentale la macchina messa in moto dai vendor,
c’è da lavorare sulla classificazione del canale: «Bisogna
capire l’ambito di specializzazione del rivenditore
– afferma Cecchinato
se system integrator, software house o Var, perché ogni tipologia
ha un ruolo preciso in questo business»
. E qui, come accennato, entrano
in gioco le iniziative di Hp e Ibm. Le due aziende hanno le esigenze di evidenziare
e classificare gli applicativi e le competenze dei propri partner, per poi metterli
a disposizione di tutto il loro canale.
«Le iniziative in ambito Linux – spiega Fassina di Hp – sono
realizzate in un’ottica di valore e non di volume, facendo emergere le soluzioni
dei nostri partner, che spesso esistono già»
. «Il
valore che può fornire un vendor
– aggiunge Trama di Ibm – si
esprime soprattutto con le risorse, economiche e di skill, che il vendor stesso
può mettere in campo. Il centro messo in piedi con Avnet rappresenta
un esempio reale di investimento»
. A questo si aggiunge il portale
ValueNet che servirà come "agorà" on line anche dei
Business partner Ibm impegnati sul fronte Linux.

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