Larga banda, come uscire dalla crisi

Riuniti in un convegno da Alcatel, esponenti dell’industria si sono confrontati con quelli di governo e Authority per ricercare la ricetta della ripresa. Il ruolo pubblico è prioritario, ma esiste anche un problema commerciale.

La larga banda non decolla, il mercato delle Tlc rallenta, la finanza non dà più fiducia al settore e gli operatori sono in difficoltà. Come uscire da questa impasse? Ne ha discusso in un convegno un panel di esperti dell’industria, dell’università e della pubblica amministrazione convocati da Alcatel nella propria sede di Vimercate, vicino Milano, che ha passato in rassegna le problematiche tecniche, normative e commerciali che soffocano lo sviluppo dell’Ict. Salvatore Randi, presidente di Anie, ha quantificato la crisi, definita “grave”: il calo del fatturato italiano del primo semestre dell’anno è stato, rispetto al 2001, del 30-35% per la rete fissa e del 20-25% per la rete mobile. Randi ha evocato l’intervento del governo e dell’Authority, soggetti in grado di guidare l’evoluzione del settore, e ha lanciato un’accusa, in seguito ripresa da altri relatori, contro il mondo finanziario, che ha fatto troppa confusione, passando dall’entusiasmo alla totale sfiducia: “Le Tlc cambieranno il mondo – ha ricordato – ma ci vuole tempo, almeno una decina di anni”.

Il governo fissa gli obiettivi…

Se gli analisti finanziari hanno avuto un ruolo chiave per il boom degli anni passati, ora, per uscire dalla stagnazione, appare a molti determinante l’intervento pubblico. Per questo, in un’ottica keynesiana viene chiesto da più parti all’esecutivo di spingere sull’acceleratore del’e-government, a partire dai collegamenti a larga banda per gli edifici della Pubblica Amministrazione. Un’intervento che può fungere da volano per l’intero comparto, da carburante per far ripartire la domanda.
Paolo Vigevano, consigliere del ministro per l’Innovazione e le Tecnologie e coordinatore del Comitato Esecutivo Larga Banda, ha risposto illustrando il piano dell’esecutivo in tema di larga banda, piano suddiviso fra i ministeri di Lucio Stanca (Innovazione) e di Maurizio Gasparri (Comunicazioni). “L’obiettivo per la fine della legislatura – ha detto – è di avere l’87% degli edifici della PA collegati a larga banda (oggi sono il 20% -ndr) e il 65% delle imprese (oggi il 6%)”. Il tutto, però, solo se il budget proposto dai due ministri verrà inserito nella prossima finanziaria senza tagli. Il comitato di cui fa parte Vigevano ha messo a punto un dettagliato programma di interventi, di regolamenti e di incentivi fiscali, che dovrebbe prendere le mosse il primo gennaio prossimo. “Sono processi lenti e complessi – ha sottolineato il consigliere -. Abbiamo deciso di partire con la rete, con una logica simile a quella delle autostrade negli anni 60, tenendo conto degli sviluppi futuri”. Promesse allettanti, dunque, che suscitano inevitabili perplessità: “Non bisogna trascurare l’aspetto formativo – ha osservato Adriano De Maio, rettore uscente del Politecnico di Milano -, altrimenti si rischia che la banda larga faccia la fine degli M24 (i pc di Olivetti – ndr), finiti nei magazzini delle scuole”. E ha aggiunto: “non si è fatto nemmeno un cenno alla ricerca, che è invece prioritaria”.

…e l’Authority risponde alle critiche

Le accuse di lentezza e poca incisività nell’azione dell’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, che ha il compito di garantire condizioni di effettiva concorrenza e di intervenire per lo sviluppo del settore, sono all’ordine del giorno. Ha risposto alle critiche Alessandro Luciano, commissario dell’Authority: “Dal ’98, anno di costituzione dell’agenzia, a oggi – ha detto -abbiamo seguito un percorso incisivo e rapido, che ci ha portato a regolamentare l’unbundling, l’ADSL e lo shared access, che quest’anno è stato ribassato del 40%. Telecom Italia ha completamente aperto la rete: le linee disaggregate sono solo 27mila perchè gli operatori alternativi sono poco propensi a investire”. Ma tutto ciò, secondo i provider, non basta a sedare il malcontento, perchè non è vero che c’è vera concorrenza in Italia e perchè gli interventi non sono tempestivi, in un mondo che si muove molto in fretta.

Vendere Tlc è difficile

Fra le cause della scarsa diffusione delle linee ad alta velocità c’è anche un problema commerciale: “Non è vero – ha evidenziato Salvatore Randi – che non ci sono le applicazioni che giustificano l’acquisto della larga banda. Piuttosto, sono troppo difficili. Gli operatori devono saperle vendere: esiste un grande problema commerciale”. Gli fa eco Umberto de Julio, partner di Pino Venture. “Gli operatori non sono capaci di vendere – ha affermato – anche perchè veniamo da una situazione di monopolio. Ma l’informatica non ci ha aiutato: noi abbiamo assunto molti venditori dell’IT”. E ha aggiunto: “Nelle Tlc bisogna avere la forza di fare in modo diverso per avere successo. Quando seguiamo gli altri sbagliamo: basta vedere quello che è successo con l’UMTS”.

I dubbi sull’UMTS

I ritardi sul mobile 3G sono uno dei grandi motivi di incertezza che fanno vacillare il settore. L’UMTS sarà una tecnologia di successo o i concorrenti, come il Wi-Fi, le faranno perdere importanza? A questa domanda a risposto Maurizio Decina del Politecnico di Milano, che ha portato il paragone della rete fissa: “Ci sono voluti 25 anni – ha detto – per convergere su TCP/IP, passando per X.25, Frame Relay e ATM. Oggi nel mobile succede lo stesso: Wi-Fi è il primo esempio di rete alternativa, ma prevedo che ce ne saranno altre. L’UMTS diventa così la rete core, non è morto. L’importante è che i gestori comprendano la diversificazione delle reti di accesso e offrano servizi integrati alla clientela”. Discorso che non fa una piega, se non fosse che , come ha sottolineato De Julio, “gli operatori hanno speso 5mila miliardi di lire per le licenze, e quindi queste aperture non ci saranno”. Anzi, i licenziatari 3G sono impegnati a fare grandi pressioni sui regolatori perchè sbarrino la strada a soluzioni alternative.

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