La responsabilità sociale fa bene al business

La corporate social responsibility riguarda anche le imprese impegnate nell’Ict. E il governo italiano ha avviato iniziative in questa direzione

Novembre 2004, Dopo i cicloni Enron e Parmalat è il momento
della bontà. Delle aziende che non violano le leggi e rispettano i consumatori.
Perché l’immagine è ormai diventato un asset da difendere e apparire
come un’azienda che rispetta l’ambiente e si impegna nel sociale fa bene al
business ed evita anche un sacco di grane. È la Corporate social responsibility
(Csr) o responsabilità sociale d’impresa che vede le aziende non preoccuparsi
solo degli stockholder (gli azionisti), ma allargare il giro d’orizzonte agli
stakeholder (dipendenti, clienti, comunità locali). Finanziando progetti
benefici o collaborando con organizzazioni no profit.
È il caso di Microsoft che ha aperto un asilo nido presso il quartier
generale di Segrate, (Mi), utilizzato anche dagli abitanti della zona, di Computer
Associates che ha avviato il progetto "give back to the community"
in partnership con il Centro italiano aiuti all’infanzia, della Fondazione
Ibm con Kidsmart, un programma internazionale nato con l’obiettivo di
avvicinare i bambini a una tecnologia facile da usare, e di Cisco che con il
Networking academy program (uno tra altri progetti) consente un percorso di
studi in modalità e-learning anche per studenti in aree in via di sviluppo.
Alcuni di questi progetti hanno partecipato al Sodalitas social award, il premio
istituito dall’Associazione per lo sviluppo dell’imprenditoria nel
sociale di Assolombarda, che rappresenta ormai un termometro dell’evoluzione
della responsabilità sociale in Italia. All’ultima edizione hanno
partecipato quasi un centinaio di progetti. Un fermento che è confermato
anche dal lancio di Rebus (Relation between business & society), un progetto
della Camera di Commercio di Milano insieme a partner europei per individuare
"buone prassi e linee guida per facilitare l’assunzione di pratiche
di gestione responsabile nell’ambito d’impresa". In questo
ambito si inserisce l’apertura di uno sportello di informazione alle imprese
sulla responsabilità sociale. L’interesse per la Csr ha contagiato
anche il Governo Berlusconi che l’ha inserita fra le priorità del
semestre italiano di presidenza dell’Ue terminato pochi mesi fa. Roberto
Maroni, ministro del Welfare, ha anche creato una direzione generale ad hoc
all’interno del suo ministero e, con l’aiuto dell’Università
Bocconi, ha realizzato un progetto che prevede un set di indicatori che consente
all’impresa di autovalutare e monitorare tutti gli aspetti della Csr.
La definizione adottata di Csr è quella della Commissione europea che
definisce la Corporate social responsibility come "l’integrazione
su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali ed
ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate".
Maroni prevede un’adesione volontaria delle imprese al progetto relativo
alla Csr che utilizza come strumento il social statement, un documento che contiene
un set di social performance indicator comuni a tutte le aziende, oltre ad altri
aggiuntivi per società sopra i cinquanta dipendenti. Risorse umane, comunità
finanziaria, clienti fornitori, partner finanziari, Stato, enti locali sono
alcune delle categorie coperte dal documento. Questo deve essere consegnato
al Csr forum del quale fanno parte anche Confindustria, sindacati e associazioni
della società civile, che ha il compito di valutare o sospendere la procedura
di validazione e inserire i progetti in un database pubblico. Il documento permette
la partecipazione delle aziende ai progetti legati alle priorità sociali
evidenziate nel piano di azione nazionale.

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