La fotografia del cloud nel Bel Paese

Al CIO spetta la sponsorship dei progetti che, in media, cubano un valore di 250.000 euro. Ma si arriva anche al milione e oltre di euro.

Se tre anni fa era facile intuire che quell’esiguo 34% di aziende di medie e grandi dimensioni già impegnate nel cammino di adozione del cloud sarebbe cresciuto sensibilmente, fino a toccare, come di fatto fa, il 69% delle realtà, fa un po’ effetto vedere come ancora un buon 31% di loro non abbia il cloud nei suoi piani.

Il dato, interessante, è uno dei primi che emergono dal rapporto Nextvalue sul Cloud Computing nel nostro Paese.
In un quadro tutto sommato positivo per la diffusione del cloud, soprattutto in un mercato calo, c’è ancora uno zoccolo duro di renitenti che non lo inserisce nei suoi piani di investimento.

Per il resto, la buona notizia, per i CIO, è che in ogni caso il cloud resta cosa loro.
Nonostante i pessimismi che vedevano nel cloud una minaccia al ruolo e alla figura dei responsabili dei sistemi informativi, nel 78% dei gli sponsor dei progetti cloud sono ancora loro, addirittura in crescita rispetto a tre anni fa, quando la percentuale si attestava al 73%.
Il restante 22% se lo ripartiscono in parti uguali CEO e line of business, con una significativa impennata di queste ultime, soprattutto rispetto alla situazione degli ultimi due anni.

Siamo comunque in uno scenario più favorevole, emerge dalla ricerca di Nextvalue, nel quale da un lato si registra un aumento dei servizi e degli operatori disponibili, dall’altro non si può fare a meno di apprezzare la diminuzione degli ostacoli mentali che in passato avevano funto da fattori inibitori.
Risultato è che secondo Nextvalue possiamo già parlare di fase 2 del cloud computing.

Volendo dare una stima economica del comparto, Nextvalue sottolinea come su un mercato italiano IT valutato complessivamente 19 miliardi di euro, e in calo del 3,2% rispetto al 2011, il cloud, inteso nella sua accezione di SaaS, IaaS e PaaS, vale 620 milioni di euro, con un incremento dei 57,8% anno su anno.
Di questi 620 milioni di euro, il 63% si ascrive ai progetti cloud sviluppati dalle grandi aziende e dalla Pubblica Amministrazione, mentre il restante 37% rientra nelle attività delle piccole e medie imprese.
“Nessuno sottovaluta il valore del cloud nelle PMI – sottolinea Alfredo Gatti, managing partner di Nextvalue – , tuttavia sono soprattutto le realtà più grandi quelle che sono entrate a pieno titolo nella fase due del cloud computing: i professionisti e le piccole imprese sono nella prima fase di adozione, spinti soprattutto dal fenomeno della consumerizzazione, mentre in mezzo troviamo una pletora di realtà che sta di fatto scoprendo ora le opportunità degli acquisti per use rispetto al tradizionale on premise”.

Il punto, tuttavia, non sono le numeriche, bensì gli obiettivi.
Per le imprese, va detto, fase due o meno del cloud il punto resta sempre lo stesso: il 69% dei rispondenti interpellati da Nextvalue per la sua indagine ha indicato la riduzione e la giustificazione dei costi come base per un ricorso al cloud, seguiti da quel 62% che declina il cloud esattamente come si declina il concetto non nuovissivo di una IT a supporto del business. Un ulteriore 43% di risposte indica invece tra gli obiettivi l’integrazione estesa dell’organizzazione aziendale.

Dal punto di vista dei CIO, invece, l’obiettivo numero uno continua ad essere la continuità del business, indicato dal 77% dei rispondenti. Importante è, poi, la protezione logica e fisica dell’informazione, indicata dal 67% dei rispondenti, intesa non nell’accezione della security, ma su un livello più elevato di protezione sul rischio di impresa. Infine, il 66 % dei rispondenti segnala tra i propri obiettivi lo sviluppo e la delivery di applicazioni, anche in un’ottica di brokeraggio.

Ecco allora che la sicurezza resta lo snodo: il 92% dei progetti ha a che vedere con l’Information and Security management, per poi passare all’idea di integrazione estesa dell’organizzazione con progetti di mobility e BYOD, passando naturalmente per gli analytics, le communications, la social media collaboration.

Su tutto questo, un assunto generale smonta d’un botto annose leggende: il cloud non riduce i costi.
“Nessuno dà vita a un progetto cloud avendo come obiettivo la riduzione dei costi – sostiene Gatti – : per questo sarebbe bastato il semplice ricorso agli aspetti più di commodity del cloud. La molla è l’aumento dell’efficacia operativa: i risparmi vengono solo in un secondo tempo”.

Ma come vengono spesi allora i budget IT?
Tenendo presente che l’universo della ricerca sono le imprese medio-grandi, circa il 50% del budget viene riservato ad attività correlate all’IT tradizionale: da un lato la gestione dell’esistente, che assorbe il 24% del totale, dall’altro l’adeguamento tecnologico che ne assorbe un ulteriore 18%.
Si passa, poi, agli aspetti più innovativi dell’IT, con un 28% di budget destinato alla trasformazione dell’esistente e di un buon 30% del budget destinato a progetti di innovazione.
In entrambi i casi, il cloud rappresenta una delle strategie perseguite, con un ruolo di rilievo se tiene conto che il valore medio dei progetti è di 250.000 euro e che vi sono progetti che superano il milione di euro in ambito private cloud, PaaS e IaaS.

In tutto questo, cosa cambia nel ruolo del CIO?
Nessuna rivoluzione sostanziale, va detto.
La ricerca ha monitorato il tempo speso in attività di gestione, di collaborazione, di relazione, verificando gli scostamenti da una situazione pre-cloud a quella in-cloud.
Quel che ne emerge è un CIO negoziatore, che prima si occupa di discovery e poi impara a negoziare, trasformandosi, nel caso, egli stesso in provider.
Ma di questi aspetti, probabilmente, si parlerà tra un anno.

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