La “fonderia” delle reti

Foundry Networks rivendica un ruolo da technology driver nella Gigabit e 10 Gigabit Ethernet. Il vice president Ken Cheng ci spiega le ragioni del successo. Annunciate le nuove versioni dell’Asic JetCore e del tool IronWare.

Sviluppare tecnologia investendo in ricerca e sviluppo, ma rimanendo con i piedi in terra e gestendo l’azienda con oculatezza. Questo, in estrema sintesi, il segreto del successo di Foundry Networks, secondo Ken Cheng, vice president marketing & product management della società.
La casa americana si rivolge a imprese, medie e grandi, e service provider che abbiano bisogno di «caratteristiche sofisticate, affidabilità e ridondanza per costruire grandi infrastrutture», come ha spiegato Cheng. Si va dalle università al mondo finanziario, per arrivare alla Pubblica Amministrazione (un esempio in Italia è il comune di Milano). L’ambito di eccellenza è quello delle reti metropolitane e di campus, mentre, da un punto di vista più tecnologico, Foundry si è dimostrata un’innovatrice e si è consolidata nelle soluzioni Gigabit Ethernet Layer 3, nel 10 Gigabit Ethernet e nello switching Layer 4 – Layer 7.

Al centro dell’architettura l’ASIC JetCore e il software di gestione IronWare, recentemente protagonisti di interessanti aggiornamenti. Il primo, in particolare, rappresenta la terza generazione di circuiti integrati dedicati e si distingue per l’impiego delle tecnologie Xrmon e sFlow (attualmente in fase di ratifica come standard RFC 3176 presso l’IETF), sviluppate da Hewlett-Packard. Foundry e Hp, infatti, sono da tempo legate da un accordo che vede Hp produrre in Oem con il proprio marchio gli switch di fascia alta di Foundry, ma che vede anche le due aziende collaborare e sviluppare congiuntamente nuove soluzioni. Non è del resto l’unico esempio: alleanze sono in atto con Deutsche Telekom, Sun Microsystems, Samsung, Unisys e altre ancora, a riconoscimento della qualità delle soluzioni Foundry.

Le tecnologie citate introducono considerevoli miglioramenti sul fronte della gestione: «si può tornare a controllare ogni porta semplicemente come si faceva sugli hub», ha sintetizzato Lorenzo Cristiano, country manager di Foundry in Italia. In pratica, si rende molto più efficiente l’analisi del traffico, con la possibilità appunto di scendere al dettaglio delle porte degli switch, ma senza necessità di introdurre costose probe. Inoltre, le prestazioni non vengono penalizzate, perché non viene interessata la Cpu del dispositivo di backbone, come invece avviene per molti tool di amministrazione (come per esempio NetFlow). Hp, con sFlow, ha esteso le funzionalità Rmon alla 10 Gigabit Ethernet, realizzando una tecnologia di campionamento che monitorizza tutti i dispositivi fino al Layer 4.

IronWare, invece, è stato rilasciato nella release 07.6.01, che è stata migliorata nella Access Control List, rendendo più coerente ed efficiente la definizione delle policy di quality of service. È stato anche introdotto lo Spanning Tree Instance per gruppi Vlan (802.1s), che permette di configurare un’istanza rapid spanning tree per ciascun gruppo. Quest’ultimo è stato inoltre implementato per accelerare i tempi di recovery dopo guasti importanti (802.1w). Miglioramenti anche per quanto riguarda la sicurezza, con il supporto di servizi di autenticazione Radius e quello dello standard 802.1x. Infine, tra le altre innovazioni, ricordiamo brevemente il supporto di Mac/Port Lockdown, Udld (Uni Directional Link Detection) e Vrsp (Virtual Switch Redundancy Protocol).

L’architettura Foundry fornisce reti robuste e multiservizio, permettendosi di ospitare tecnologie di altri vendor. Per esempio, per quanto riguarda la voce su IP, hanno condotto test di interoperabilità per implementare sulla propria infrastruttura soluzioni di terzi, comprese quelle dell’arcirivale Cisco. In ogni caso, sussiste sul Voip una partnership con Mitel Networks, che prevede sia aspetti commerciali e di marketing congiunto sia di sviluppo, per cui privilegiano le soluzioni della casa inglese.

L’avanguardia tecnologica è frutto di investimenti in ricerca e sviluppo molto oculati. «A dispetto di altri che sono cresciuti con acquisizioni – ha spiegato Cheng – noi abbiamo preferito investire in uno sviluppo interno, in particolare nelle aree in cui eravamo in vantaggio». Per questo, però, è fondamentale gestire molto accortamente la società, in modo da minimizzare i costi e massimizzare i profitti, senza i quali non ci sarebbero i soldi per la ricerca: «Alcuni nostri competitor, come RiverStone, si sono focalizzati in un settore (quello delle reti metropolitane – ndr) che è in crescita ma non dappertutto, per cui non garantisce sufficienti margini per adeguati investimenti in R&D».

La ricetta di Foundry, quindi, è quella di continuare a investire nel mercato delle imprese e di allargare i propri confini in quello dei service provider. Se le Man rappresentano un mercato statico negli Stati Uniti, molto promettente sono invece l’Europa, con l’Italia in primo piano negli obiettivi della società, e l’Asia (Cina innanzitutto).

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