La crescita dell’Italia passa per i distretti produttivi

Frenati dalle consuete difficoltà finanziarie di accesso al credito e dalle carenze del sistema di formazione, le realtà analizzate in questa terza edizione ripiegano su un export in continua crescita e su investimenti produttivi che andrebbero imitati.

In bilico tra un export che tira e un’occupazione in sofferenza, è una crescita senza continuità quella registrata nel 2011 dal terzo Rapporto dell’Osservatorio Nazionale Distretti Italiani.

Condotto in 101 distretti produttivi italiani al cui interno operano 283mila aziende, con circa 1,4 milioni di addetti, per un campione rappresentativo dei settori tessile-abbigliamento (38%), automazione e metalmeccanica (26%), arredo-casa (22%), agroalimentare (12%), cartotecnica-poligrafici (2%) e cultura (1%), quello portato in evidenza è un tessuto imprenditoriale in grado di resistere alla recessione, di anticipare le tendenze e rappresentare un modello di riferimento in termini di interazione e collaborazione tra imprese.

Peccato che al crescere del numero di aziende distrettuali che, nel 2011, hanno segnalano un incremento del fatturato, degli ordini e, soprattutto, delle esportazioni, le difficoltà finanziarie si sono confermate quelle di sempre.

Recupero dei crediti commerciali e mezzi liquidi insufficienti hanno frenato, rispettivamente, il 70 e il 50% degli interpellati nel Rapporto condotto dalla Federazione dei Distretti Italiani in collaborazione con Unioncamere, Intesa Sanpaolo, Banca d’Italia, Censis, Cna, Confartigianato, Confindustria, Fondazione Edison, Fondazione Symbola e Istat.

Lo stesso all’interno del quale si torna, però, a sottolineare come i distretti si confermano lo zoccolo duro dell’Italia imprenditoriale anche grazie a una spiccata propensione a investire, ad accedere a nuovi mercati amalgamando ruoli differenti e generando processi produttivi e organizzativi con un elevato grado di innovazione.

Così, per un Centro Studi di Unioncamere che evidenzia come, dal 2010 al 2011, il numero di aziende distrettuali che hanno segnalato un incremento del fatturato sia salito dal 34,3 al 39,9%, ancora una volta sul tappeto della competizione restano le micro imprese che, lo scorso anno, si sono trovate a fare i conti un fatturato in calo dal 19,3% al 26%.

Sulla medesima falsa riga, il tasso di occupazione rilevato dall’Istat è calato nei distretti di tutte le aree geografiche in misura maggiore rispetto alle aree non distrettuali con una riduzione di addetti che ha colpito soprattutto le imprese dai 10 ai 49 addetti, dove si concentra il 32% dell’occupazione di casa nostra.

Nell’indagine Unioncamere contenuta nel terzo Rapporto, le aziende che dichiarano di aver ridotto l’organico sono, però, state pari al 25,6% (era il 28% nel 2010) contro il 19% che ha rilevato un aumento dell’occupazione, rispetto al 12% registrato nei dodici mesi precedenti.

Qualche nuvola all’orizzonte
A preoccupare, semmai, sono le previsioni per l’esercizio in corso. A immaginare un calo dell’occupazione sono, infatti, il 25% delle imprese interpellate contro un ben più timido 6% che prevede un aumento.
Ancora una volta, il dito è puntato su una molteplicità di fattori che, anche nei distretti produttivi, non mancano di acuire il problema occupazionale.

A partire dalle carenze del sistema di formazione, che non permette il rafforzamento delle competenze professionali per poi passare a una cultura d’impresa non sempre all’altezza di affrontare la crescente complessità dei mercati.

Peccato che, proprio l’export (extra Ue in primis) si confermi il fattore di maggior dinamismo dei distretti. Basti pensare che, secondo i dati della Fondazione Edison, le esportazioni verso i Paesi dell’Unione europea, pari a 27,7 miliardi di euro, sono aumentate dell’8,3%, mentre quelle verso i Paesi extra-Ue, pari a 23,8 miliardi di euro, sono addirittura cresciute del 15% con una straordinaria la performance conseguita in Cina.

Qui i distretti hanno toccato la cifra record di 606 milioni di euro di esportazione rispetto ai 483 registrati nel corso del 2010.

A piacere, con un incremento tra il 30 e il 40%, sono le macchine industriali di Treviso, quelle utensili di Rimini, la pelletteria di Firenze, il tessile-abbigliamento di Perugia, di Lecco e della Valsesia, gli insaccati di Modena, le macchine industriali di Vicenza, Bologna e Brescia, la carta di Lucca.

Rispetto all’export del 2010 sono, invece, andate male le piastrelle di Sassuolo, la rubinetteria del Lago d’Orta, gli apparecchi domestici di Treviso e Ancona, i mobili di Cantù, i divani delle Murge, gli aeromobili di Vergiate e le macchine industriali di Padova.

In un quadro con questi contorni, un considerevole numero di aziende distrettuali, pari al 57,5%, ha dichiarato di aver effettuato nel corso del 2011 nuovi investimenti produttivi, mentre il 33% prevede di ricorrere al credito per sostenere nuovi investimenti nel 2012, segno che un numero maggiore di imprese ha ripreso a pianificare e impiegare risorse per la modernizzazione.

Per i prossimi mesi, quasi un terzo delle aziende distrettuali analizzate dall’Osservatorio prevede, però, un calo degli ordini interni e un quarto la contrazione della base occupazionale, anche se resta elevato il grado di reazione agli eventi critici grazie a originalità di percorso e governance efficienti.

L’innovazione come chiave di volta
Ma non solo. La diffusione delle tecnologie verdi nei distretti appare, infatti, come un fenomeno in costante diffusione, che probabilmente potrebbe porre il nostro Paese all’avanguardia da questo punto di vista. Più di un terzo delle aziende distrettuali ha, infatti, realizzato o realizzerà a breve investimenti in tecnologie verdi, tanto che il tema della sostenibilità sta cambiando l’aspetto e l’organizzazione produttiva di molti territori.

Se è vero, infatti, che nella maggior parte dei casi (53,8%) i nuovi investimenti verdi delle aziende distrettuali hanno riguardato impianti e tecnologie per la riduzione dei consumi energetici, una quota altrettanto rilevante, pari al 30,5% delle imprese, si dice intenzionata a procedere a modifiche sugli impianti al fine di ridurre l’impatto ambientale. Il 15,7% intende, inoltre, adottare nuove tecnologie per la realizzazione di prodotti ecocompatibili.

In altre parole, alla complessità della fase congiunturale, i distretti stanno rispondendo allentando alcuni legami interni, abbandonando alcune produzioni, ridefinendo i rapporti lungo la filiera produttiva configurandosi, in questo modo, non più come soli luoghi di produzione governati da meccanismi rigidi e ripetitivi imposti per lo più dal mercato, ma divenendo sistemi che necessitano di una visione culturale aperta e di una manutenzione continua delle competenze e dei valori di riferimento, sia della classe imprenditoriale, sia della forza lavoro.

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