Kroes: molti non hanno chiara la differenza fra IaaS, PaaS e SaaS

Più che mai serve fare cloud, farlo europeo e con una strategia chiara: le tre indicazioni politiche della vicepresidente della Commissione europea.

Intervenendo a Bruxelles al simposio del consiglio economico sul cloud computing, a margine del primo incontro dei Campioni digitali europei la vicepresidente della Commissione europea con delega sull’Agenda digitale, Neelie Kroes, ha spiegato come dovrebbe essere la strategia da seguire.

È articolata in tre parti: perché fare cloud, perché farlo europeo e perché non farlo da soli.

Riguardo il primo punto, si tratta della questione più interessante per Kroes, dato che spesso, ha detto, le capita di incontrare persone che non sono per nulla consapevoli di cosa sia realmente il cloud, ossia quel coacervo di diversi modelli di fornire l’It, dal punto di vista delle infrastrutture, delle piattaforme, del software, che beneficia della centralizzazione.

Per Kroes, insomma, la gente non ha chiara la distinzione fra Iaas, Paas e Saas.

Eppure in un’economia dove esistono molte aziende di dimensione ridotta comprenderlo sarebbe un fattore centrale allo sviluppo.
Il cloud per Kroes può rivoluzionare anche i servizi pubblici e la ricerca scientifica.

E fa l’esempio della Germania, in cui il cloud in 5 anni genererebbe oltre 200 miliardi di euro di benefici economici e 800mila posti di lavoro.

O del Regno Unito, in cui si stima che l’armonizzazione del software pubblico su cloud porterebbe un risparmio del 20%.

Seconda questione: perché fare un cloud europeo?
La risposta si ottiene mettendo insieme vari tasselli, ben noti, a cominciare dal beneficio delle economie di scala per arrivare a quello del mercato unico.

Pensare in piccolo, per Kroes, non aiuta. E un approccio a livello nazionale è piccolo, limita le ambizioni di tutti.

Per definizione in un mercato veramente unico consumatori e imprenditori devono poter operare su tutto il territorio Ue alle stesse condizioni e con le stesse regole.

Nel cloud ciò significa fare regole condivise, omogenee (non ha detto proprio la parola “comuni”) sui dati personali e le clausole contrattuali.

Non avere questo livello di condivisione significa porre un limite, e grande, al cloud.
27 regolamenti differenti fanno perdere massa critica, ostacolano.

In sintesi, il cloud deve superare le fortezze nazionali. Deve fare Europa.
Il cloud obbliga a pensare all’europea.

Terza questione: serve una strategia. Proprio perché bisogna evitare l’iper-regolamentazione, ma serve spingere il cambiamento e stimolare la domanda.

E bisogna che sciolga i nodi attuali, come quello dei service provider che non sono responsabili dei contenuti che ospitano, un limite alla responsabilità che eroga quantitativi di commercio elettronico al di sotto delle reali possibilità.

Peraltro è anche vero che gli utenti europei di cloud non sono così ostinatamente attenti agli aspetti legali internazionali, anche se ne conoscono i riflessi.
Ciononostante, per Kroes, il punto è che non deve servire una laurea in legge per fruire del cloud.

E chi può aiutare a disseminare l’idea di un cloud fruibile, in attesa che si dia armonia alla legislazione, se non il settore pubblico? Bisogna, per Kroes, trasmettere agli utenti l’idea della usabilità. E del risparmio.
Va fatta campagna con impegno.
Ma fattivamente non vanno lesinati sforzi nella messa in sicurezza delle reti. E qui carrier e provider debbono essere in prima linea. Anche per creare un mercato in cui la competizione sia garantita alla fonte, ab initio, e non un traguardo da raggiungere faticosamente nel tempo.

E libertà di scelta nel provider fa rima con portabilità dei dati presso un altro fornitore.
Tutte queste cose esprimono la necessità di una strategia cloud.

Che fare, da subito? Tre cose.
Prima: diffondere settore pubblico i benefici del cloud, per creare coerenza e confidenza in un mercato in crescita.
E l’iniziativa European Cloud Partnership va proprio in questo senso.

Secondo: mettere sul tavolo comune il tema delle policy di protezione dati e delle pratiche contrattuali.

Terzo: nel cloud, per definizione non si è soli, bisogna guardare anche fuori Europa e affrontare insieme agli altri regolatori.

Il tutto con la consapevolezza che questo sarà l’anno della maggior crescita del cloud. Per Kroes bisogna essere pronti per far sì che il cloud non accada in Europa, ma con l’Europa.

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