Home Editoriale L'Italia ha già le competenze per essere un paese digitale

L’Italia ha già le competenze per essere un paese digitale

Avere finalmente un dicastero che per mandato istituzionale si occupi di trasformazione digitale costituisce un segno importante per una generazione di docenti e ricercatori che da 40 anni si occupa di questi temi.

È solo un passo in un contesto in cui molte responsabilità sono ancora affidate a chi percepisce l’innovazione come una minaccia ed il digitale come un’entità sconosciuta, ma è un passo nella giusta direzione.

Ciò che mi spinge ad usare questi toni sono i numeri allarmanti dell’esodo[1] che da anni ci impoverisce: nel 2019, per ogni 3 nati un italiano ha spostato all’estero la sua residenza.

La grande maggioranza di chi lascia l’Italia è composta da giovani, la fascia 18-34 anni cresce al ritmo del 9.3% per anno. Dal 2006 al 2019 gli iscritti all’AIRE sono passati da 3,1 a quasi 5,3 milioni e la tendenza non accenna ad invertirsi.

Erano questi i numeri che avevo in mente mentre leggevo il testo della audizione del ministro Vittorio Colao presso le Commissioni congiunte della Camera sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con cui l’Italia recepisce ed attua il Next Generation EU.

Per me quelle “Next Generations” non sono un’entità astratta: sono le ragazze e ragazzi che formiamo nelle nostre scuole ed università (insegno Basi di Dati). Quegli studenti, quando confrontano l’Italia con gli altri paesi EU e con il resto del mondo, mi chiedono perché in Italia le competenze digitali non sono riconosciute e non permettono di crescere come altrove.

Poi inviano curricola, parlano con i loro colleghi e con le imprese. Infine uno su tre, anche due su tre nel mio settore, decidono di spostarsi all’estero, dove sono in gran parte riconosciuti, apprezzati e messi in condizione di crescere.

Per i nostri giovani poter circolare facilmente in Europa è una conquista e non è poi così strano che loro vadano. Più emblematico è che anche i giovani di altri paesi, che vengono in Italia per studiare, poi vadano via.

Più allarmante è che non ci siano altri giovani, qualificati nelle competenze digitali, che vengano in Italia per restare.
E se il problema non fosse nel sistema formativo, ma nel modello di società che poi dovrebbe mettere a frutto quelle competenze?

Scrivo questo perché ho provato a leggere assieme a quei ragazzi gli obiettivi, le strategie e le motivazioni contenute nel suo testo sul PNNR. Con quei giovani mi sono chiesto se il “Piano Italiano per le Nuove Generazioni” contenga risposte destinate a loro e se il linguaggio del testo sia in grado di convincerli e motivarli.

Questi, in breve, i risultati:
– alcune delle misure previste nell’approccio in sei punti configurano interessanti opportunità di crescita per molti giovani. La prospettiva di un sistema multimodale a banda ultra larga progettato e gestito in Italia, ad esempio, può contribuire a creare nuovi spazi per chi si occupa di telecomunicazioni digitali e per l’indotto;
– analogo discorso, fatte le dovute differenze, vale per le azioni sulla cybersecurity;
– meno scontati sono i benefici che riguardano l’adozione del cloud, oggi soggetto a strategie fortemente condizionate dagli Over the Top e, specialmente in Italia, non sempre legate ad occasioni di crescita personale e globale;
– decisamente meno compreso e coinvolgente, infine, è il compito che attende il ministero in relazione alla digitalizzazione della PA, all’interoperabilità e all’identità digitale. Questi settori in Italia, almeno fino ad oggi, sono percepiti da molti giovani come appannaggio di centri decisionali che con l’innovazione digitale e con le nuove generazioni, hanno davvero poco in comune.

Concludo con una nota: una delle affermazioni più comuni, in questo periodo, è che il sistema formativo nazionale è inadeguato, che l’Italia non dispone delle competenze digitali di cui avrebbe bisogno e che siamo agli ultimi posti nelle classifiche europee sui livelli di digitalizzazione.

Eppure, in settori come la cybersecurity, le università pubbliche italiane si sono consorziate e in meno di cinque anni hanno organizzato un sistema che compete e vince ai massimi livelli in Europa[2].

Analoghe iniziative sono condotte dalle stesse università sui temi della salute digitale, dei big data, dell’intelligenza artificiale, delle smart city, della digitalizzazione della didattica e su molto altro.

Questo e i dati di occupazione dei nostri laureati dicono con chiarezza il sistema formativo, a fronte di una richiesta interna pubblica e privata che solo in rari casi si confronta con gli omologhi europei, forma da anni nuove generazioni capaci, preparate e giustamente ambiziose.

Questo Sistema Formativo è attivo da 40 anni sui temi dell’innovazione e del digitale, è da sempre vicino alle Nuove Generazioni e può svolgere un ruolo chiave per l’attuazione del PNRR.

Mai come oggi per l’Italia è importante tener fede all’impegno di dare attuazione al piano Next Generation EU. Mi auguro che per lo svolgimento di questo compito il ministro voglia avvalersi pienamente di chi da anni, come lui, ha fatto dell’innovazione digitale il proprio obiettivo umano e professionale.

Chi è l’autore

Il prof. Mario A. Bochicchio insegna da oltre 25 anni “Programmazione” e “Basi di Dati” presso le Università di Bari e del Salento. Dal 2018 coordina il Digital Health Working Group del Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica, in cui confluiscono più di 180 docenti e ricercatori di 47 università pubbliche, attivi sui temi della salute digitale.

 

[1] Il rapporto “Italiani nel Mondo 2020” della Fondazione Migrantes quantifica in 130.936 gli italiani che nl 2019 hanno registrato la loro residenza all’estero. In rapporto ai 420.084 nati nello stesso anno (ISTAT),

[2] Particolarmente significativa, in questo senso, è l’esperienza del Laboratorio Nazionale di Cybersecurity del CINI – Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica, composto da 47 università pubbliche attive in tutti i settori della ricerca e della formazione in ambito informatico.

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