Ires: gli enti non commerciali

Sono enti commerciali gli enti pubblici e privati il cui “oggetto” esclusivo o principale è di carattere commerciale

Sono enti commerciali gli enti pubblici e privati il cui “oggetto” esclusivo o principale è di carattere commerciale.


Per “oggetto” (esclusivo o principale) si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto (art. 73, c. 4 tuir; circ. 12.5.1998, n. 124/E, ris. 26.9.2001, n. 136/E e 4.3.2002, n. 70/E).


L’oggetto esclusivo o principale degli enti è determinato (art. 73, c. 4 e 5 tuir):



  • per gli enti residenti: in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata ovvero, in mancanza di atto costitutivo o statuto redatto in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato;



  • per gli enti non residenti: in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato Società estera di consulenza legale con base fissa in Italia


Una società estera che svolge in Italia soltanto attività di assistenza e consulenza legale mediante una base fissa si considera non commerciale (ris. 26.4.2007, n. 80/E).


Peraltro, indipendentemente dalle previsioni statutarie, se l’ente esercita prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta, perde la qualifica di ente non commerciale.


Al fine di determinare la natura commerciale di un ente, non assume alcuna rilevanza che lo “scopo” di un ente sia non lucrativo o di pubblico interesse, poiché si deve avere riguardo all’attività essenziale posta in essere per raggiungere tale scopo.


Casistica
Sono stati ritenuti enti commerciali a prescindere dall’assenza del fine di lucro:



  • una associazione non riconosciuta che gestiva un club (Cass. 4.10.1991, n. 10409), ovvero un bar-caffè (Cass. 12.10.2005, n. 19840);



  • l’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane (ris. 3.8.1977, n. 11/3031);



  • un gruppo folcloristico (ris. 12.9.1981, n. 11/766).


Il carattere di commercialità dell’attività svolta è in generale connesso con quello di “economicità”, nel senso che l’organizzazione dei fattori della produzione deve essere almeno tale da consentire la remunerazione dei costi sostenuti (Cass. 26.2.1990, n. 1439; ris. 29.9.1976, n.


9/115; 10.5.1980, n. 11/449; 26.3.1981, n. 11/459; per la nozione di imprenditore).


Casistica
Sono enti commerciali:



  • l’Ente autonomo acquedotto pugliese (ris. 29.9.1976, n. 9/115);



  • gli istituti privati di istruzione (ris. 27.2.1980, n. 11/003);



  • gli istituti autonomi case popolari (ris. 9.7.1975, n. 11/906 e 16.11.1976, n. 10/1120);



  • gli enti provinciali per il turismo (ris. 1.8.1977, n. 11/3349);



  • gli educandati (ris. 28.7.1977, n. 3298);



  • l’UNIRE (ris. 27.7.1981, n. 11/714);



  • gli enti comunali di consumo (ris. 16.1.1981, n. 52).


Sono enti non commerciali:



  • l’Associazione nazionale combattenti e reduci (ris. 30.6.1975, n. 552/591);



  • la Cassa per il Mezzogiorno (ris. 7.6.1976, n. 10/422);



  • gli ordini professionali (ris. 22.4.1975, n. 11/571);



  • le case di riposo (ris. 24.3.1983, n. 11/350);



  • le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (ris. 21.11.1986, n. 11/710);



  • una fondazione per l’organizzazione dei giochi olimpici (ris. 26.9.2001, n. 136/E);



  • le autorità portuali (ris. 16.3.2004, n. 40; circ. 21.4.2008, n. 41).


Gli enti non commerciali possono svolgere attività commerciali, benché non in maniera prevalente.


Per alcuni soggetti (quali enti di tipo associativo, associazioni sindacali, politiche, religiose, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale) e per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), in presenza di particolari requisiti, le prestazioni in favore degli associati o in specifici settori di attività sono considerate dalla legge come “non commerciali”.


Inoltre, non costituiscono esercizio di attività commerciale (art. 74, c. 2 tuir):



  • l’esercizio di funzioni statali da parte di enti pubblici;



  • l’esercizio di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie da parte di enti pubblici istituiti esclusivamente a tal fine, comprese le aziende sanitarie locali (le aziende sanitarie locali possono svolgere anche attività commerciale, circ. 29.8.1991, n. 26/11/562; allo stesso modo, possono svolgere attività commerciale: le università statali, circ. 2.5.1994, n. 37/E; gli istituti tecnici, circ. 8.8.1995, n. 222/E; i convitti nazionali, ris. 29.10.2003, n. 204).


Impresa sociale
In presenza dei requisiti soggettivi e delle altre condizioni gli enti non commerciali e le Oonlus continuano ad applicare le disposizioni tributarie loro proprie anche se acquistano la qualifica di impresa sociale (art. 17, D.Lgs. n. 155/2006).


Artt. 73, c. 4 e 5 e 74, c. 2 tuir


PERDITA DELLA QUALIFICA
Indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta (cfr.: Cass. 4.10.1991, n. 10409; ris. 26.9.2001, n. 136/E).


Inoltre, sono previste alcune cause oggettive sintomatiche della perdita della qualifica di ente non-commerciale (le disposizioni non si applicano agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili e alle associazioni sportive dilettantistiche). Tali cause sono sottoposte al giudizio degli uffici finanziari, i quali devono valutare la perdita della qualifica di ente non commerciale sulla base di un’analisi complessiva dell’attività, non potendosi limitare a ravvisare la perdita della qualifica dal verificarsi di una sola delle predette “cause” (circ. 12.5.1998, n. 124/E).


Rilevano i seguenti parametri:



  • prevalenza delle immobilizzazioni impiegate nell’attività commerciale (materiali, immateriali e finanziarie, circ. 12.5.1998, n. 124/E), al netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attività;



  • prevalenza dei ricavi risultanti dalle attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali;



  • prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali (intendendosi per tali i componenti positivi del reddito d’impresa, al netto dei contributi percepiti da enti pubblici per lo svolgimento di finalità sociali e dei proventi derivanti da attività considerate non commerciali dalla legge, – circ. 12.5.1998, n. 124/E) rispetto alle entrate istituzionali (intendendosi per tali i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative);



  • prevalenza dei componenti negativi relativi all’attività commerciale rispetto alle altre spese.


La perdita della qualifica di ente non commerciale (e delle agevolazioni connesse a tale qualifica in termini di detassazione di proventi) opera dall’inizio del periodo d’imposta in cui si verifica e comporta l’obbligo dell’ente di iscrivere tutti i beni facenti parte del patrimonio nel registro degli inventari (art. 15, D.P.R. n. 600/73) entro sessanta giorni dall’inizio del periodo d’imposta in cui ha effetto il mutamento.


Con riguardo a tale ultima disposizione, l’Amministrazione finanziaria ritiene che, anno per anno, l’ente debba operare una sorta di “valutazione prospettica” dell’attività da esercitare, provvedendo a istituire la contabilità propria degli enti commerciali (ivi compresa l’iscrizione dei beni nel registro degli inventari entro sessanta giorni dall’inizio del periodo d’imposta), quando sia previsto l’esercizio prevalente di attività commerciale (a pena di accertamento induttivo extra-contabile) (circ. 12.5.1998, n. 124).


Art. 149 tuir; circ. 12.5.1998, n. 124/E


ATTIVITÀ NON COMMERCIALI
Per gli enti non commerciali, in generale, non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi (art. 143, c. 1 tuir):



  • non rientranti nell’art. 2195 c.c. (in base a tale disposizione sono attività commerciali le attività industriali dirette alla produzione di beni e servizi, le attività intermediarie nella circolazione dei beni, le attività di trasporto, le attività bancarie e assicurative, le altre attività ausiliarie alle precedenti);



  • rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente (si deve trattare cioè di servizi direttamente e immediatamente idonei a soddisfare le finalità dell’ente: Cass. 29.3.1990, n. 2573);



  • senza specifica organizzazione (nel senso che l’organizzazione della specifica attività commerciale, c.d. “marginale”, si deve integrare nell’organizzazione complessiva dell’ente, senza che tale organizzazione “complessiva” sia “piegata” verso l’esercizio dell’attività commerciale);



  • e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione (nel senso che ordinariamente l’attività commerciale non deve essere organizzata al fine di produrre avanzi di gestione).


Leggi speciali che escludono l’esercizio di attività commerciale
Attività istituzionali dei consorzi di bonifica, irrigazione e miglioramento fondiario (art. 1, c. 1-bis, D.L. n. 125/1989).


Attività didattiche svolte in Italia da università ed istituti di cultura stranieri, ivi comprese le prestazioni di alloggio, vitto e fornitura di libri e materiale didattico (art. 34, c. 8-bis, D.L. n. 69/1989).


Attività culturali dei collegi universitari legalmente riconosciuti, ivi comprese le prestazioni di alloggio, vitto e fornitura di libri e materiale didattico (art. 8, c. 3, D.L. n. 90/1990).


Attività delle fondazioni bancarie (art. 12, D.Lgs. n. 153/1999; Cass. 9.1.2004, n. 130; nel senso che, invece, l’esercizio dell’attività di holding delle partecipazioni possa configurare l’esercizio dell’attività d’impresa: Cass. 30.4.2004, n. 8319; Cass. 17.12.2007, n. 69; circ. 17.12.2007, n. 69).


Art. 143 tuir


ENTI DI TIPO ASSOCIATIVO
Per le associazioni, i consorzi e gli altri enti di tipo associativo non costituisce attività commerciale (art. 148, c. 1 e 2, tuir):



  • l’attività svolta in conformità alle finalità istituzionali nei confronti degli associati o partecipanti; le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo;



  • le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti rese dietro pagamento di corrispettivi non eccedenti i costi di specifica imputazione; si considerano corrispettivi anche i contributi e le quote supplementari versati dagli associati o partecipanti in proporzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali essi danno diritto.


Si considerano invece effettuate nell’esercizio di attività commerciali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti rese dietro pagamento di corrispettivi eccedenti i costi di specifica imputazione. Tali corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito d’impresa o come redditi diversi, secondo che le operazioni a fronte delle quali sono pagati abbiano carattere di abitualità ovvero di occasionalità.


Sono poi previste disposizioni particolari per l’esclusione della commercialità delle seguenti tipologie di enti di tipo associativo, purché abbiano adeguato gli statuti e gli atti costitutivi secondo quanto illustrato alla seguente lettera A).


Trasmissione telematica di dati e notizie (art. 30, D.L. n. 185/2008)
I corrispettivi, le quote e i contributi non sono imponibili a condizione che gli enti associativi siano in possesso dei requisiti qualificanti previsti dalla normativa tributaria e che trasmettano per via telematica all’Agenzia delle entrate i dati e le notizie rilevanti ai fini fiscali mediante un apposito modello da approvare entro il 31.1.2009 con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. (Tale disposizione non si applica alle: associazioni di volontariato iscritte nei registri regionali di cui all’art. 6, L. n. 266/1991; alle associazioni pro loco che optano per l’applicazione delle norme di cui alla L. n. 398/1991; agli enti associativi dilettantistici iscritti nel registro del Comitato olimpico nazionale italiano che non svolgono attività commerciale).


Con il medesimo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabiliti i tempi e le modalità di trasmissione del modello, anche da parte delle associazioni già costituite alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché le modalità di comunicazione da parte dell’Agenzia delle entrate dell’esclusione dai benefici fiscali in mancanza dei presupposti previsti dalla vigente normativa. L’onere della trasmissione è assolto anche dalle società sportive dilettantistiche (vedi oltre).


A) Associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali; associazioni sportive dilettantistiche; associazioni di promozione sociale e di formazione extrascolastica della persona – Per tali soggetti si applica una disposizione generale di esclusione della commercialità delle attività (art. 148, comma 3 tuir); in particolare, non costituiscono attività commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono le medesime attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati delle rispettive organizzazioni nazionali (di seguito, “i soggetti beneficiari”), nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati; non è considerata cessione di pubblicazioni rientrante nel predetto regime di “decommercializzazione” quella effettuata non già da associazioni professionali, bensì da ordini professionali (quale quello degli infermieri: ris. 5.8.2004, n. 112).


Società sportive dilettantistiche
La suddetta esclusione della commercialità delle attività si applica anche alle società sportive dilettantistiche (società sportive costituite in forma di società di capitali senza fini di lucro e in forma di società cooperativa o in altre forme, art. 90, L. n. 289/2002; art. 4, L. n.


128/2004), purché in regime di determinazione forfetaria del reddito d’impresa (370) (circ. 22.4.2003 n. 21/E).


La disposizione di esclusione da commercialità richiamata (nonché quelle di cui alle successive lettere B, C, D) si applica purché le associazioni si conformino all’obbligo di inserire negli atti costitutivi e statuti, redatti nella forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, le clausole previste dall’art. 148, c. 8 tuir:



  • il divieto di distribuire anche in modo indiretto durante la vita dell’associazione utili o avanzi di gestione, nonché fondi, riserve e capitale, a meno che la distribuzione sia imposta dalla legge (in relazione alle associazioni sportive dilettantistiche: ris. 25.1.2007, n. 9/E);



  • l’obbligo di devolvere il patrimonio ad altra associazione con scopi simili o comunque a fini di pubblica utilità in caso di scioglimento dell’associazione;



  • una disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volta a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati e partecipanti il diritto di voto per l’approvazione e la modificazione degli statuti e dei regolamenti, nonché per l’elezione degli organi direttivi (la presente clausola non si applica per le associazioni religiose riconosciute dalle confessioni con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese e per le associazioni politiche, sindacali e di categoria; art. 148, c. 9 tuir);



  • l’obbligo di redigere e approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario;



  • l’eleggibilità libera degli organi amministrativi, il principio del voto singolo, la sovranità dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti, la previsione: dei criteri di ammissione ed esclusione degli associati, di convocazione assembleare (anche per corrispondenza per gli enti con rilevanza a livello nazionale e privi di articolazioni locali), di adozione delle deliberazioni, della redazione dei bilanci e rendiconti (la presente clausola non si applica per le associazioni religiose riconosciute dalle confessioni con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese e per associazioni politiche, sindacali e di categoria; art. 148, c. 9 tuir);



  • l’intrasmissibilità della quota degli associati, se non per causa di morte, e la non rivalutabilità della stessa.


Il regime agevolato si applica dopo l’adeguamento degli statuti alle predette clausole e ha effetto ai fini delle imposte dirette, per l’intero periodo d’imposta in corso alla data dell’adeguamento, mentre ai fini dell’IVA per le operazioni effettuate dopo la data di adeguamento (circ. 22.1.1999, n. 22/E).


Attività commerciali
Per le associazioni in esame sono viceversa considerate commerciali, salvi i casi che saranno indicati nelle seguenti lettere B), C) e D), le seguenti attività (art. 148, c. 4 tuir):



  • cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita;



  • somministrazioni di pasti;



  • erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore;



  • prestazioni alberghiere e di alloggio;



  • prestazioni di trasporto e di deposito;



  • prestazioni di servizi portuali ed aeroportuali;



  • gestione di spacci aziendali e mense;



  • organizzazione di viaggi e soggiorni turistici;



  • gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;



  • pubblicità commerciale;



  • telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.


B) Associazioni di promozione sociale – Per le associazioni di promozione sociale (ricomprese tra gli enti di cui all’art. 3, c. 6, lett. e, L. n. 287/1991), le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’interno, non si considerano commerciali (oltre alle attività di cui alla lett. A precedente), anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale da bar ed esercizi similari, sempreché le predette attività siano direttamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e nei confronti dei “soggetti beneficiari”


di cui alla lett. A precedente (art. 148, c. 5 tuir).


Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese nei confronti dei familiari conviventi degli


associati sono equiparate a quelle rese agli associati stessi (art. 20, L. n. 383/2000).


C) Associazioni di promozione sociale, associazioni politiche, sindacali e di categoria e associazioni riconosciute dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese – Per tali soggetti non costituisce esercizio di attività commerciale (oltre alle attività di cui alla lett. A precedente e, per le associazioni di promozione sociale, quella di cui alla lett. B) l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, purché effettuata nei confronti dei “soggetti beneficiari” indicati alla lett. A precedente (art. 148, c. 6 tuir).


D) Associazioni sindacali e di categoria – Per tali soggetti non costituisce esercizio di attività commerciale (oltre alle attività di cui alle lettere A e C precedenti) la cessione di pubblicazioni riguardanti i contratti collettivi di lavoro verso chiunque effettuata, nonché l’assistenza prestata prevalentemente agli iscritti, associati o partecipanti, in materia di applicazione degli stessi contratti e di legislazione sul lavoro, effettuata verso pagamento dei corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione (art. 148, comma 7 tuir).


E) Gruppi di acquisto solidale – Per tali soggetti non sono commerciali le attività rivolte verso gli aderenti, purché lo statuto, redatto in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, contenga una serie di clausole (vedi sopra lett. A) (art. 1, c. 267, L. n. 244/2007). Sono gruppi di acquisto solidale i soggetti associativi senza scopo di lucro costituiti al fine di svolgere attività di acquisto collettivo di beni e distribuzione dei medesimi, senza applicazione di alcun ricarico, esclusivamente agli aderenti, con finalità etiche, di solidarietà sociale e di sostenibilità ambientale, in diretta attuazione degli scopi istituzionali e con esclusione di attività di somministrazione


e vendita (art. 1, c. 266, L. n. 244/2007).


Art. 148 tuir, D.Lgs. n. 460/1997; circ. 12.5.1998, n. 124/E


ONLUS
Tra gli enti non commerciali particolare rilevanza assumono le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS; D.Lgs. n. 460/1997) che perseguono finalità di solidarietà sociale.


Settori di attività – Si tratta di enti operanti nei seguenti settori: assistenza sociale e socio-sanitaria, assistenza sanitaria, beneficenza (ris. 9.9.2002, n. 292/E), istruzione, formazione, sport dilettantistico, ricerca scientifica (negli ambiti di cui al D.P.R. n. 135/2003), tutela dell’ambiente, dei beni storici e artistici e dei diritti civili (art. 10, L. n. 460/1997), promozione della cultura e dell’arte a favore di soggetti svantaggiati.


Erogazioni ad altri enti
Si considera attività di beneficenza anche la concessione di erogazioni gratuite in denaro con utilizzo di somme provenienti dalla gestione patrimoniale o da donazioni appositamente raccolte, a favore di enti senza scopo di lucro che operano prevalentemente nei predetti settori, per la realizzazione diretta di progetti di utilità sociale.


Sono ONLUS anche le organizzazioni che operano nel settore della promozione della cultura e dell’arte a favore di soggetti diversi da quelli svantaggiati, purché sovvenzionate dalle amministrazioni dello Stato (circ. 1.8.2002, n. 63/E).


In linea generale e salva la verifica della presenza di ulteriori requisiti rilevanti, le associazioni di consumatori non assumono la qualifica di ONLUS (ris. 17.6.2005, n. 81).


Finalità di solidarietà sociale – Per quanto riguarda alcuni dei settori in cui possono operare le Onlus (assistenza sanitaria, istruzione, sport dilettantistico, formazione, promozione della cultura e dell’arte, tutela dei diritti civili), la finalità di solidarietà sociale, che per gli altri settori è presunta, si realizza solo quando le cessioni di beni e le prestazioni di servizi sono dirette ad arrecare beneficio a particolari categorie di soggetti:



  • persone con particolari condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari svantaggiate (sono persone svantaggiate: i disabili fisici e psichici, i tossicodipendenti, gli alcolisti, gli indigenti, gli anziani indigenti non autosufficienti, i minori abbandonati, orfani o in situazioni di devianza, i profughi e gli immigrati non abbienti: circ. 26.6.1998, n. 168/E);



  • componenti di collettività estere, limitatamente agli aiuti umanitari;



  • a meno che si tratti di soggetti con le caratteristiche di cui ai punti precedenti, i beneficiari non possono essere soci, associati o partecipanti alle ONLUS, o soggetti loro collegati (vedi oltre).


Attività verso pagamento
Non è incompatibile con il fine solidaristico di una Onlus lo svolgimento di attività dietro pagamento. Sempre che attraverso il pagamento non si realizzi, accanto all’intento solidaristico, anche un fine di lucro (Cass. 9.10.2008, n. 24883).


Enti che non possono assumere la forma di ONLUS – Non possono assumere la forma di


ONLUS gli enti pubblici, le pro-loco, le società commerciali non cooperative, le fondazioni bancarie, i partiti e movimenti politici, le associazioni di categoria, i sindacati, i consorzi di cooperative diverse da quelle sociali (art. 5, D.Lgs. n. 422/1998). Qualora il soggetto che chiede l’iscrizione all’anagrafe delle ONLUS annoveri tra i propri soci enti o società commerciali o enti pubblici, è necessario verificare il ruolo di tali soci nell’ambito del soggetto e la qualifica di ONLUS va esclusa qualora tali soci esercitino una influenza dominante, circostanza che si presume quando tali soci sono in numero prevalente (ris. 28.12.2004, n. 164).


Enti che assumono la forma di ONLUS in forza di legge – Sono in ogni caso considerate ONLUS dalla legge: le cooperative sociali e i consorzi di cooperative sociali (L. n. 381/1991), le organizzazioni non governative riconosciute (L. n. 49/1987), le associazioni di volontariato (L. n. 266/1991) che non svolgono attività commerciali diverse da quelle marginali (individuate dal D.M. 25.5.1995) e gli enti ecclesiastici che abbiano stipulato accordi con lo Stato (circ. 26.6.1998, n. 168/E e 22.1.1999, n. 22/E).


Allorché un’associazione di volontariato sia cancellata dai registri regionali previsti dalla legge, poiché svolge l’attività a livello nazionale, non è più ONLUS “di diritto”, ma deve conformarsi alle clausole statutarie di seguito indicate (circ. 22.1.1999, n. 22/E).


Clausole statutarie – Al di fuori dei casi in cui la qualifica di ONLUS è prevista come effetto di legge, tale qualifica è subordinata all’inserimento di talune clausole nello statuto o atto costitutivo, redatto in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata o registrata.


Clausole relative all’attività – È necessario che lo statuto preveda:



  • il divieto di svolgere attività diverse da quelle istituzionali ad eccezione di quelle direttamente


connesse;


Enti ecclesiastici e associazioni di promozione sociale
Il divieto di svolgere attività diverse da quelle istituzionali non opera per gli enti ecclesiastici riconosciuti dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato accordi, patti o intese, nonché per le associazioni di promozione sociale con finalità riconosciute dal Ministero dell’interno (L. n. 287/1991).


Detenzione di partecipazioni
Le Onlus possono detenere partecipazioni in società di capitali solo al fine di investimento;


non possono essere socie di società di persone (ris. 30.6.2005, n. 83; circ. 31.10.2007, n. 59).


Partecipazione di società commerciali ed enti pubblici
La qualifica di Onlus non è pregiudicata dalla partecipazione di società commerciali ed enti pubblici che non esercitano un’influenza dominante nelle determinazioni della Onlus (circ. 31.10.2007, n. 59).



  • l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale.


Clausole relative all’organizzazione – È necessario che lo statuto preveda:



  • la previsione del trattamento paritetico nel rapporto associativo e nelle modalità associative, diretto a garantire l’effettività del rapporto medesimo, dovendosi escludere espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedere espressamente per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi (la disposizione non si applica alle fondazioni e agli enti riconosciuti dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese);



  • l’uso, nella denominazione e in ogni segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, della locuzione “organizzazione non lucrativa di utilità sociale” o dell’acronimo ONLUS (circ. 22.1.1999, n. 22/E; l’obbligo non è previsto per gli enti riconosciuti dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese);



  • l’obbligo di redigere il bilancio o rendiconto annuale.


Clausole relative al patrimonio – È necessario che lo statuto preveda il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili, avanzi di gestione, fondi, riserve o capitale durante la vita dell’organizzazione, a meno che la distribuzione sia prevista dalla legge o sia effettuata a favore di altre Onlus che fanno parte della medesima struttura unitaria.


Per disposizione antielusiva (suscettibile di richiesta di disapplicazione; ris. 10.9.2002 n. 294/E), si considerano distribuzioni indirette di utili tutte le operazioni poste in essere dalle Onlus che prevedano condizioni di maggior favore rispetto al mercato, quali:



  • le cessioni di beni o prestazioni di servizi a coloro che a qualsiasi titolo operino per l’organizzazione o ne facciano parte (inclusi i componenti degli organi amministrativi e di controllo e i soggetti che effettuino erogazioni liberali a favore della Onlus) a loro parenti ed affini, nonché a società da questi direttamente o indirettamente controllate o collegate, effettuate a condizioni più favorevoli (la disposizione non si applica nel caso di cessioni e prestazioni relative alle attività statutarie proprie dei settori della tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico o storico e della tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente purché i vantaggi accordati ai soci, associati o partecipanti e ai soggetti che effettuano erogazioni liberali e ai familiari degli stessi abbiano significato onorifico e valore economico modico);



  • l’acquisto di beni o servizi a fronte di corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale;



  • la corresponsione ai componenti gli organi amministrativi e di controllo di compensi superiori a quelli massimi stabiliti dalle leggi in materia;



  • la corresponsione a soggetti diversi da banche e intermediari finanziari autorizzati di interessi passivi per prestiti che superino di 4 punti il tasso ufficiale di sconto;



  • la corresponsione ai dipendenti di salari o stipendi che superino del 20% quelli previsti dai contratti collettivi per le medesime qualifiche.


È altresì necessario che lo statuto preveda:



  • l’obbligo di impiegare gli utili per la realizzazione delle attività istituzionali e direttamente connesse (tale obbligo può essere assolto anche con la costituzione di riserve vincolate ai suddetti fini);



  • l’obbligo, in caso di scioglimento, di devolvere il patrimonio ad altre Onlus o a fini di pubblica utilità (previo parere di un’Autorità da istituirsi con apposito decreto), o per la destinazione prevista dalla legge.


Perdita della qualifica di Onlus
L’obbligo di devoluzione del patrimonio sussiste anche in caso di mera perdita della qualifica di Onlus, ma limitatamente all’incremento patrimoniale realizzato nei periodi d’imposta in cui l’ente ha fruito della qualifica di Onlus (circ. 31.10.2007, n. 2007, n. 59).


Iscrizione nell’anagrafe unica – I soggetti che intendono ottenere la qualifica di Onlus (tranne le organizzazioni di volontariato, le organizzazioni non governative e le cooperative sociali) devono chiedere l’iscrizione nell’anagrafe unica istituita presso il Ministero delle finanze (Provv. Ag. Entr. 29.12.2003; ris. 18.9.2001, n. 130/E).


Articolazioni periferiche
Le articolazioni periferiche devono iscriversi autonomamente quando hanno autonoma soggettività tributaria; ciò si verifica quando sussistono marcati profili di autonomia patrimoniale, amministrativa, gestionale e contabile (circ. 31.10.2007, n. 59).


A tal fine, è necessario presentare un’apposita comunicazione alla direzione regionale dell’Agenzia delle entrate competente (che è responsabile del controllo, D.M. n. 266/2003), corredata da una dichiarazione sostitutiva resa dal legale rappresentante, nella quale sono attestate le attività svolte e il possesso dei requisiti (è possibile, in alternativa, inviare una copia dello statuto o dell’atto costitutivo entro trenta giorni dalla data di redazione, di autenticazione o registrazione).


Qualora entro quaranta giorni dal ricevimento dalla comunicazione la direzione regionale non fornisca una risposta (positiva o negativa) l’ente si intende iscritto con la formazione del silenzio-assenso. La risposta negativa, così come il provvedimento di cancellazione, ad avviso dell’Amministrazione finanziaria (circ. 26.2.2003, n. 14/E; circ. 16.5.2005, n. 22), è impugnabile, con ricorso alla Commissione tributaria competente (peraltro, ad avviso del TAR Lazio, sent. 16.11.2004, n. 13087, la giurisdizione sui provvedimenti di cancellazione è del TAR).


Alla medesima direzione devono essere comunicate eventuali successive modifiche che comportino la perdita della qualifica di Onlus.


La direzione regionale delle entrate, constatato il venire meno del carattere di Onlus, può emettere un provvedimento di cancellazione (impugnabile), con irrogazione delle seguenti sanzioni amministrative (artt. 27 e 28, D.Lgs. n. 460/1997):


















Applicazione dei benefici fiscali in assenza dei requisiti


Svolgimento di attività diverse da quelle espressamente consentite ad eccezione di quelle direttamente connesse


Distribuzione di utili, avanzi di gestione, fondi, riserve e capitale, anche in forma indiretta



da € 1.033 a € 6.197



Omissione delle comunicazioni obbligatorie



da € 103 a € 1.033



Abuso della denominazione “organizzazione non lucrativa di utilità sociale” o dell’acronimo ONLUS, o di altre parole anche in lingua straniera atte a trarre in inganno



da € 310 a € 3.099



Attività che non configurano l’esercizio di attività commerciale – Per le Onlus (ad eccezione delle società cooperative, per le quali si applicano le disposizioni previste per tali soggetti: 692), non costituisce esercizio di attività commerciale lo svolgimento delle attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale.


Onlus di ricerca
Per le fondazioni-Onlus che svolgono attività di ricerca scientifica (D.P.R. n. 135/2003) la collaborazione con case farmaceutiche è attività istituzionale qualora l’ente rimanga proprietario dei risultati della sperimentazione mettendoli a disposizione della collettività (ris.


22.9.2004, n. 123/E).


Case di riposo
È riconducibile nell’attività istituzionale della casa di riposo – Onlus l’attività di assistenza sociale e socio-sanitaria svolta nei confronti di soggetti che versano in condizioni personali disagiate anche sotto l’aspetto economico. Tale condizione ricorre nel caso in cui la retta di ricovero praticata dalla Onlus (ed eventualmente assunta come base di riferimento per la determinazione del contributo dell’ente pubblico) non venga fatta gravare sull’ospite ovvero venga fatta gravare su quest’ultimo in misura inferiore alla metà del suo ammontare (circ. 18.11.2004, n. 48; ris. 21.12.2006, n. 146).


Le Onlus possono svolgere attività direttamente connesse alle attività istituzionali. I proventi delle attività connesse non concorrono alla formazione del reddito imponibile.


L’attività direttamente connessa non deve potersi configurare come attività commerciale esercitabile separatamente dall’attività istituzionale (ris. 21.5.2001, n. 75/E) e può essere svolta a condizione che in ciascun esercizio e nell’ambito di ciascun settore siano rispettate le seguenti condizioni (art. 10, c. 5, D.Lgs. n. 460/1997):



  • le attività connesse non siano prevalenti rispetto a quelle istituzionali;



  • i relativi proventi non superino il 66% delle spese complessive dell’organizzazione.


Si considerano direttamente connesse le attività statutarie di assistenza sanitaria, istruzione, formazione, sport dilettantistico, promozione della cultura e dell’arte, tutela dei diritti civili svolte in assenza dei requisiti di solidarietà sociale, nonché le attività strettamente accessorie per natura come, ad esempio, la vendita di depliant all’interno di musei o di magliette pubblicitarie e altri oggetti di modico valore in occasione di campagne di sensibilizzazione, o l’attività di preparazione del personale specializzato da utilizzare esclusivamente all’interno dell’organizzazione per il perseguimento delle finalità istituzionali (circ. 26.6.1998, n. 168/E).


Le agevolazioni di “decommercializzazione” previste per le Onlus si applicano con decorrenza dalla data della presentazione della comunicazione per i tributi a rilevanza istantanea, quali l’IVA; ai fini delle imposte sui redditi, invece, il regime agevolativo si estende a tutto il periodo d’imposta in corso alla data della comunicazione per l’iscrizione all’anagrafe unica (circ.


22.1.1999, n. 22/E).


Contributi per l’acquisto di autoambulanze e altri beni strumentali
In favore delle organizzazioni di volontariato e delle Onlus sono previsti taluni contributi pubblici per l’acquisto di beni aventi specifiche destinazioni (autoambulanze ed altri beni strumentali aventi specifiche finalità “sociali”) che non concorrono alla formazione del reddito imponibile (art. 96, L. n. 342/2000).


Con riferimento all’acquisto da parte dei predetti enti di autoambulanze e automezzi utilizzabili dai vigili del fuoco, è anche previsto l’obbligo in capo ai venditori di decurtare il prezzo di vendita del 20% a fronte di un credito d’imposta di pari ammontare riconosciuto in favore di questi ultimi (art. 20, D.L. n. 269/2003, ris. 19.2.2004, n. 18/E e 21.6.2004, n. 28/E; il 20% deve essere calcolato sul prezzo al netto dell’IVA).


Ritenute
Sui contributi corrisposti dagli enti pubblici alle Onlus non si applica la ritenuta del 4% prevista dall’art. 28, c. 2, D.P.R. n. 600/1973 (art. 16, c. 1, D.Lgs. n. 460/97), le ritenute alla fonte sui redditi di capitale sono applicate a titolo d’imposta e i proventi delle obbligazioni e titoli assimilati assoggettati ad imposta sostitutiva ai sensi dell’art. 2, D.Lgs. n. 239/1996 non concorrono a formare il reddito d’impresa ai sensi del successivo art. 5 (art. 16, c. 2, D.Lgs. n. 460/1997).


Artt. 150 tuir; D.Lgs. n. 460/1997; Provv. Ag. Entr. 29.12.2003; circ. 12.5.1998, n. 124/E e 26.6.1998, n. 168/E; circ. 31.10.2007, n. 59



ORGANIZZAZIONI DI VOLONTARIATO
Per le organizzazioni di volontariato (che sono Onlus per disposizione di legge), che si avvalgono in modo prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri associati e sono iscritte in appositi registri regionali o provinciali, non costituiscono redditi imponibili i proventi derivanti da attività commerciali e produttive marginali, qualora sia documentato il loro totale impiego per i fini istituzionali dell’organizzazione di volontariato.


Attività marginali – A condizione che siano svolte per il raggiungimento del fine istituzionale e senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato (quali l’uso di pubblicità dei prodotti, di insegne elettriche, di locali attrezzati secondo l’uso dei corrispondenti esercizi commerciali, di marchi d’impresa), si considerano marginali le seguenti attività:



  • vendita occasionale nel corso di celebrazioni o iniziative di solidarietà;

  • vendita di beni acquisiti a titolo gratuito da terzi a fini di sovvenzione, a condizione che la vendita sia effettuata direttamente dall’organizzazione senza alcun intermediario;

  • vendita di beni prodotti dagli assistiti e dai volontari, se la vendita è effettuata direttamente dall’organizzazione;

  • somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazione, celebrazioni e simili;

  • prestazioni che rientrano nelle attività istituzionali con corrispettivi specifici che non eccedono del 50% i costi specifici di produzione.
    I proventi derivanti da convenzioni con enti pubblici non rientrano comunque tra i proventi delle attività commerciali e produttive marginali.
    Art. 8, c. 4, L. n. 266/1991; art. 1, D.M. 25.5.1995; circ. 12.5.1998, n. 124/E e 26.6.1998, n. 168/E


REDDITO COMPLESSIVO
Il reddito complessivo degli enti non commerciali è costituito dalla somma dei redditi di partecipazione, dei redditi fondiari, dei redditi di capitale, dei redditi di impresa e dei redditi diversi (art. 143, c. 1, tuir).


I redditi devono essere determinati distintamente per ciascuna categoria secondo le regole loro proprie, anche in termini di imputazione temporale (e, quindi, secondo il “principio di competenza” per il reddito d’impresa e, per lo più, secondo il “principio di cassa” per gli altri redditi).


Redditi da immobili locati – Una regola particolare è prevista per i redditi derivanti da immobili locati non relativi all’impresa (art. 144; art. 7, c. 1, lett. a, D.L. n. 203/2005). Se il canone risultante dal contratto di locazione, ridotto fino ad un massimo del 15% del canone medesimo, dell’importo delle spese documentate sostenute ed effettivamente rimaste a carico per la realizzazione degli interventi di manutenzione ordinaria (art. 3, c. 1, lett. a, D.P.R. n. 380/2001), risulta superiore al reddito catastale dell’unità immobiliare, il reddito è determinato in misura pari a quella del canone di locazione ridotto delle spese di manutenzione ordinaria fino al predetto limite del 15 %.


Contabilità separata per attività commerciali – Per l’attività commerciale esercitata, gli enti non commerciali hanno l’obbligo di tenere una contabilità separata. Per l’individuazione dei beni relativi all’impresa si applicano le disposizioni relative agli imprenditori commerciali.


Proventi esclusi – Per gli enti non commerciali residenti non concorrono alla formazione del reddito complessivo:



  • i redditi esenti da imposta e i redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o a imposta sostitutiva (art. 143, c. 1, tuir);



  • i fondi pervenuti ad essi a seguito di raccolte pubbliche occasionali, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione (art. 143, c. 3, lett. a, tuir);


Destinazione dei fondi raccolti
I fondi raccolti devono essere destinati per la maggior parte dell’ammontare a finanziarie i progetti e l’attività per cui la raccolta fondi è stata attivata (circ. 31.10.2007, n. 59).



  • i contributi corrisposti da amministrazioni pubbliche per lo svolgimento (convenzionato o in regime di accreditamento di cui all’art. 8, c. 7, del D.Lgs. n. 502/1992, come sostituito dall’art. 9, c. 1, lett. g del D.Lgs. n. 517/1993) di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali degli enti stessi (art. 143, c. 3, lett. b, tuir).


ONERI DEDUCIBILI
Oltre agli oneri deducibili per tutti gli enti soggetti a Ires dal reddito complessivo degli enti non commerciali si deducono, se non sono deducibili nella determinazione del reddito d’impresa che concorre a formarlo, alle condizioni e nei limiti previsti per le persone fisiche:



  • gli oneri fondiari;



  • le somme corrisposte ai dipendenti chiamati a svolgere funzioni elettorali;



  • i contributi per i paesi in via di sviluppo.


In caso di rimborso degli oneri dedotti, le somme corrispondenti concorrono a formare il reddito complessivo del periodo d’imposta nel quale l’ente ha conseguito il rimborso. Art. 146 tuir


ONERI DETRAIBILI
Oltre agli oneri detraibili per tutti i soggetti IRES, gli enti non commerciali residenti possono detrarre dall’imposta lorda, fino alla concorrenza del suo ammontare, un importo pari al 19% dei seguenti oneri, a condizione che non siano deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo, nonché alle condizioni e nei limiti previsti per i soggetti Irpef:



  • interessi passivi per mutui agrari;



  • spese per la manutenzione, protezione o restauro dei beni di interesse storico e artistico;



  • liberalità per fini culturali;



  • liberalità per lo spettacolo;



  • liberalità a favore di onlus e simili;



  • liberalità a favore di associazioni di promozione sociale;



  • liberalità a favore di scuole.


In caso di rimborso degli oneri per i quali è stata applicata la detrazione, il 19% delle somme rimborsate è computato in aumento dell’imposta dovuta per il periodo d’imposta nel quale l’ente ha conseguito il rimborso.
Art. 147, tuir


(per maggiori approfondimenti vedi Manuale fiscale, Novecento Media)

1 COMMENTO

  1. Buongiorno!
    Vorrei sapere se un Ente non commerciale che fino al 31.12.2018 ha calcolato le imposte sui ricavi abbattuti della percentuale di competenza e sui quali è stata applicata l’IRES al 50%, se nel 2019 alla luce della nuova finanziaria queste condizioni sono ancora vigenti.
    Grazie

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