Il software diventa servizio

Non più Erp, ma Irp, Crm on demand, applicativi di desktop management… Le soluzioni erogate come servizio cambiano il modo di rapportarsi al cliente

Qualche mese fa Google ha lanciato anche in Italia “Google Apps For Your Domain”, una suite di servizi studiati per la piccola e media impresa. Si tratta della Gmail, di Google Talk, del Calendar e del Page Creator. Un’azienda può creare una pagina personalizzata ad accesso riservato, inserire gli strumenti di mail, chat e calendario e renderli disponibili a tutti i dipendenti o solo a un gruppo. È, in definitiva, uno strumento di collaborazione, basato su standard consolidati come l’Ip e l’Html, che, secondo gli analisti, dimostrerebbe che il maggiore competitor di Microsoft è proprio Google. Basterà aggiungere al servizio applicativi di produttività personale come quelli di Microsoft Office e il cliente potrà usufruire via Web degli stessi strumenti che utilizza in modalità client. Ma con una differenza fondamentale: nel primo caso si sfrutta un software nella modalità di un servizio, quello di Google per ora è gratuito, per il quale l’azienda cliente pagherebbe una fee mensile in base all’utilizzo delle risorse e ai dipendenti coinvolti.

E, inoltre, il contratto che stipulerà con il provider, inteso come un fornitore qualsiasi del servizio, prevederebbe uno Sla (Service level agreement), la garanzia che il servizio venga erogato secondo precise modalità. È il Saas (Software as a service) in cui le basi informatiche cambiano nome. Il software diventa un servizio, l’hardware, sostituito dal concetto di network, non è più una componente fondamentale dell’infrastruttura proprietaria dell’azienda e, con la stipula di uno Sla, cambia radicalmente il rapporto di business tra cliente e fornitore It. Nei casi più estremi, infatti, non si parla più di acquisto di hardware o di licenze software, avvicinandosi più a un concetto di noleggio, di infrastruttura in affitto. In questa rivoluzione, già in atto a livello worldwide, cambia anche l’aspetto del fornitore stesso, che può avere tante connotazioni. Può essere un Internet service provider, un carrier, un system integrator, un consulente, una software house e anche chi, come Google, è nato come motore di ricerca.

Dati alla mano
Idc è stato il primo analista a coniare il termine Asp (Application service provider), ma forse troppo in anticipo rispetto ai tempi. La società di analisi ha corretto il tiro e ora parla di Saas, di cui l’Asp è una componente. Entro quest’anno si prevede una crescita media fino al 28% di questo mercato che, a livello mondiale, è passato dai 2,3 miliardi del 2003 ai 4,2 nel 2004 per toccare gli 8 miliardi entro quest’anno. E sempre per il 2007, i dati europei dicono circa 718 milioni di dollari. Secondo l’analista di Idc Roberto Mastropasqua, il Saas potrà risolvere una serie di problemi che affliggono le Pmi italiane. Per esempio, incrementare la crescita della spesa It, che nei cinque anni 2005-2010 risulta essere la più bassa d’Europa: mille euro contro i 2.157 di media per le Pmi fino a 99 dipendenti.

Mastropasqua aggiunge un altro dato importante: il 32% delle aziende italiane che hanno fino a 25 pc installati usa ancora versioni datate del sistema operativo, contro il 20% della media europea. Ancora, se negli Stati Uniti il 62% della quota del budget It delle aziende finisce in gestione della quotidianità, a discapito dei progetti innovativi, in Europa si tocca il 79 per cento. Mastropasqua segnala, inoltre, che l’89% delle aziende italiane desidera incrementare la percentuale di costi variabili rispetto ai fissi e il 61% è impegnato a consolidare l’infrastruttura attualmente presente. Infine, tra le aziende italiane che hanno già ricorso all’esternalizzazione, il 53,5% l’ha fatto per mancanza di competenze interne, il 23,3% per la lunghezza dei tempi di implementazione e solo il 9,3% per il costo, che così non è più la leva determinante.

Nuove frontiere
Uno dei fattori distintivi del Saas è la varietà degli operatori Ict che potrebbero proporsi come fornitori. A livello globale si spartiranno il mercato gli Internet service provider, e forse anche i carrier telefonici, che mettono sul tavolo il completo controllo del network e sono più abituati a ragionare in termini di servizio, di fee mensile e di Sla. A questi aggiungiamo gli outsourcer o i grandi system integrator, che puntano sulla loro capacità di aggregare le offerte dei vendor. Infine, le software house internazionali, un esempio su tutti Salesforce.com, che possono veicolare la propria soluzione direttamente “dal produttore al consumatore”. Qualunque sia l’operatore “macro” coinvolto, ci sentiamo di affermare che il ruolo del canale non venga sminuito, anzi, chi agisce globalmente, chiunque sia, avrà sempre più bisogno di presidi locali. Il canale italiano ha tutte le carte in regola per proporre un’offerta di Saas, a vari livelli. Può fare da hosting per un gruppo di aziende, condividendo le stesse risorse hardware su più clienti.

Può centralizzare l’acquisto delle licenze soft-ware puntando sui volumi, e “muoverle” da un cliente all’altro o, ancora, appoggiarsi a un network provider, spuntando anche un margine sulla connettività. Tra l’altro, una proposizione di questo tipo pone il fornitore di prossimità come un consulente capace di consigliare le soluzioni più adatte, riacquistando una certa fiducia nei confronti dell’Ict che, sempre secondo Mastropasqua, il cliente finale ha un po’ perso. Infine, è facile instaurare un rapporto di complicità che consenta al fornitore di rimodulare la propria offerta più dinamicamente: ovvero più business e più spesso. C’è un unico campanello d’allarme in questo tipo di proposizione e si chiama Sla: l’operatore locale deve essere in grado di fornirlo, senza mentire, e se non ha la struttura per farlo deve collaborare con chi ne è capace.

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