Il Soa di Bea si chiama liquid computing

All’annuale user conference il ceo Chuang presenta la nuova visione delle Service oriented architecture.

27 maggio 2004

Secondo Gartner, entro il 2008 oltre il 60% delle aziende utilizzerà le Soa (Service oriented architecture) come principio guida nella creazione di applicazioni e processi mission critical.


Oggi questo concetto sembra essere molto in voga. Lo specialista di infrastrutture applicative Bea ha utilizzato la cornice del suo eWorld 2004 per illustrare la propria visione di Soa.


Alcuni lo chiamano grid computing, altri on demand. Bea lo ha ribattezzato liquid computing. L’idea alla base e’ la stessa per tutti: garantire lo sviluppo di applicazioni nativamente pre-integrate, riducendo i tempi di deploy e assicurando la massima riusabilita’ dei componenti, trattando il software alla stregua di un servizio richiamabile e fruibile su richiesta.


«Per noi, il liquid computing si fonda su tre pilastri – ha tenuto a precisare Alfred Chuang, co-fondatore, presidente e Ceo di Bea Systems -. Infatti, la massima interoperabilità tra le diverse applicazioni si deve necessariamente accompagnare a una flessibilità senza precedenti delle stesse. Questo permette di creare infrastrutture sufficientemente robuste da consentire di far passare sul Web, via Html, qualsiasi applicazione, transazione o dato, anche critico. Tutto questo si sposa con la necessaria attenzione alla produttività e alle prestazioni, vero nodo critico di un’architettura siffatta».


Bea, da parte sua, rafforza questo claim con una serie di iniziative che vanno nella direzione di favorire la comunità degli sviluppatori Java. Nel corso delle ultime settimane, infatti, si e’ arricchito l’elenco dei controlli di WebLogic Workshop che fanno riferimento all’iniziativa open source della casa californiana, battezzata Beehive. Inoltre, la società ha attivato online un Technology Center e ha inaugurato Soabi (Soa Blueprint Initiative), in collaborazione con The Middleware Company.


Si tratta di una serie di principi e best practice, facilmente condivisibili e riutilizzabili, pensate per migliorare l’orchestrazione delle applicazioni, in ambienti Soa, basate sulla propria piattaforma WebLogic.


«Entro il 2009 vogliamo arrivare a fatturare 3 miliardi di dollari l’anno – ha concluso Chuang -. E per ottenere questo ambizioso obiettivo l’unica vera strada percorribile è quella dell’innovazione. Infatti, oggi investiamo circa il 12% del nostro fatturato in ricerca e sviluppo. L’idea, non appena ci saranno segni che la congiuntura in atto volge al termine, è di arrivare al 14,5%».


Molto, però, è già stato fatto e la società ha illustrato alla platea della sua user conference le altre iniziative con le quali intende dare una forma concreta al liquid computing.


Adam Bosworth, Chief architect e senior vice president Advanced Development della società, ha anche fornito una dimostrazione delle opportunità offerte da una tecnologia, ancora in fase di sviluppo, battezzata Alchemy.


«Si tratta della traduzione in ambiente mobile dei servizi Web – ha precisato Chuang – con l’intento di garantire che la maggior parte delle applicazioni aziendali di supporto al decision making siano disponibili in modalità wireless».


La piattaforma si basa sugli standard dei Web service quali SynchMl, Xhtml e JavaScript, abbinati ad alcune minori estensioni di Soa. Si propone di sfruttare i principi della comunicazione asincrona per consentire anche agli sviluppatori meno avvezzi a Java o J2Ee di creare, mediante semplici operazioni di drag-and-drop, applicazioni accessibili dai più svariati apparati wireless.


«Si tratta di una tecnologia che, con tutta probabilità, vedrà una concreta applicazione commerciale non prima dei prossimi due anni – ha tenuto a sottolineare il Ceo – ma sulla quale stiamo investendo parecchio. Abbiamo anche siglato alcune partnership con Nokia ed Ericsson per garantire il giusto supporto a questa iniziativa».

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