Home Gestione d'impresa Fail fast: perchè gli IT manager non devono temere l'insuccesso

Fail fast: perchè gli IT manager non devono temere l’insuccesso

Uno dei temi affrontati da molti partecipanti alla tavola rotonda di 01net “Outlook 2018, Tecnologie emergenti per il business”, è stato l’insuccesso di un progetto, ovvero la giusta interpretazione che ne va data nel contesto di una strategia di innovazione aziendale.

In particolare il tema affrontato è quello che viene chiamato “fail fast”, ossia affrontare un progetto e verificarne la tenuta e sostenibilità provandolo velocemente. Prima si inizia, prima fallisce, prima lo si può migliorare e perfezionare.

Potete cogliere questo e altri aspetti nella registrazione integrale del thiink tank qui:

Una conferma della cultura dell’insuccesso che abilita il progresso, viene proprio dagli Stati Uniti, dove tanti business leader di successo esortano le loro aziende e i loro colleghi a commettere più errori e ad abbracciare più fallimenti.

Un esempio. Nel mese di maggio, subito dopo essere diventato Ceo di Coca-Cola Co., James Quincey ha invitato i manager a superare la paura dell’insuccesso che aveva perseguitato l’azienda dai tempi del fiasco New Coke di tanti anni fa. “Se non stiamo sbagliando – ha insistito – non stiamo provando abbastanza“.

Nel mese di giugno, anche se la sua azienda stava godendo di un successo senza pari con i suoi abbonati, il ceo di Netflix Reed Hastings, preoccupato dai troppi successi delle serie e degli show del suo servizio di streaming e dei pochi programmi annullati ha dichiarato: “Il nostro indice di successo è troppo elevato in questo momento. Dobbiamo correre più rischi… per provare cose più folli… dovremmo avere un tasso di annullamento complessivo più elevato”.

Anche l’amministratore delegato di Amazon Jeff Bezos, probabilmente l’imprenditore di maggior successo al mondo, sostiene direttamente che la crescita e l’innovazione della sua azienda si basano sui suoi fallimenti. Se si fanno scommesse audaci facciamo degli esperimenti, ha spiegato poco dopo che Amazon aveva comprato Whole Foods. E se si tratta di esperimenti, non si sa se funzioneranno.

Gli esperimenti sono per loro natura soggetti al fallimento. “Ma qualche grande successo compensa decine e decine di cose che non hanno funzionato”. Il messaggio di questi Ceo è facile da capire e difficile da mettere in pratica. Perché molti leader parlano e praticano l’innovazione eppure spesso vivono nella paura di errori, mancati passi e delusioni. Ed è qui che rischiano di incagliarsi innovazione e creatività. Se non si è pronti a fallire, non si è pronti a imparare. E a meno che le persone e le organizzazioni non riescano a mantenere l’apprendimento alla stessa velocità con cui il mondo sta cambiando, non continueranno mai a crescere e a evolversi.

Esiste un modo giusto per sbagliare?

Qual è il modo giusto per sbagliare? Esistono tecniche che consentono alle organizzazioni e agli individui di abbracciare la necessaria connessione tra piccoli fallimenti e grandi successi? Smith College, la scuola di tutte le donne nel Massachusetts occidentale, ha creato un programma chiamato Failing Well per insegnare ai suoi studenti ciò che tutti potrebbero essere in grado di imparare. Cerca di insegnare che il fallimento non è un bug di apprendimento è la caratteristica.

Infatti, quando gli studenti si iscrivono al programma, ricevono un Certificato di insuccesso che dichiara di essere “autorizzati a fallire” in una relazione, un progetto, un test o qualsiasi altra iniziativa che sembra estremamente importante e “ancora oggi essere un essere umano assolutamente degno, assolutamente eccellente”. Gli studenti preparati a gestire il fallimento sono meno fragili e più audaci di quelli che si aspettano perfezione e prestazioni impeccabili.

Patrick Doyle, ceo di Domino’s Pizza dal 2010 ha descritto due grandi sfide che ostacolano il modo in cui le aziende e i singoli individui sono più onesti sul fallimento. La prima sfida, dice, è quella che lui chiama “omissione parziale” – la realtà che la maggior parte delle persone con una nuova idea sceglie di non perseguire l’idea perché se provano qualcosa e non funziona, la battuta d’ arresto potrebbe danneggiare la loro carriera. La seconda sfida è quella di superare quella che lui chiama “avversione alla perdita” – la tendenza per le persone a giocare a non perdere piuttosto che giocare per vincere, perché per la maggior parte di noi, “Il dolore della perdita è il doppio del piacere di vincere”. Creare “il permesso di fallire è invece energizzante” e una condizione necessaria per il successo. Non c’è apprendimento senza fallire, non ci sono successi senza battute d’arresto. Di questo ne è convinto anche Diego Piacentini che quest’anno porterà a termine il suo incarico per la digitalizzazione della Pa. Piacentini ha realizzato un piano triennale nel quale ha spiegato che ci saranno sicuramente delle cose che fra tre anni appariranno sbagliate. Ma servono per arrivare a fare quelle giuste.

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