Emozioni all’italiana per rilanciare l’economia

Come le aziende italiane di estrazione "familiare" cercano vie di uscita per combattere anche la globalizzazione. Il ruolo dei consulenti informatici deve essere allora…

Febbraio 2006, «Non ci si può più racchiudere in se stessi».
Mario Bonzano, senior vice president per la Oracle
Sud Europa è un piemontese doc cui non sfuggono i problemi della
globalizzazione che il nostro Paese sta affrontando. Per questo suggerisce
e auspica, in un certo senso, una nuova strada al “Made in Italy”: «è
vero la situazione è critica, ma c’è un gap da cogliere
come opportunità»
. Intanto, secondo Unioncamere, sarebbero
3.600 le imprese dell’area delle 4A (arredamento, automazione, abbigliamento
e automazione) ad aver già costruito “il nuovo”. Il che vuol dire
aver implementato processi di innovazione di prodotto, di design e di
qualità monitorati e supportati da nuovi sistemi informativi.

«Imprese che hanno forti fattori
di eccellenza
– commenta Gianfranco Fabi, vice direttore
de Il Sole 24 Ore durante una tavola rotonda legata al tema del “Made
in Italy” –, ma troppo ancora tradizionali e con un forte impasse
legato al peso del costo del lavoro»
. «Peggio cosa
è la politica
– ribatte Santo Versace dell’omonima
industria – e pure i media italiani che raccontano al mondo un Paese
fatto di guelfi e ghibellini»
. Il problema atavico dell’immagine
Italia, non sembra ancora essere stato risolto. Eppure Fabi suggerisce
una strada, quella legata al “creare emozioni”.

«Il problema è
– parla Marco Bagnoli, che rappresenta la seconda generazione
dei gelati Sammontana che gli altri (leggi gli
stranieri) sono più furbi (e lo dice con l’accento toscano forte)
a sfruttare le nostre emozioni. Tanti marchi italiani sono stati comprati
da aziende estere e non fanno altro che fare soldi che vanno all’estero»
.
Il made in Italy che fa bene agli stranieri, questo andrebbe evitato.
«Noi abbiamo perso per pochi centesimi una gara per produrre
“gelati all’italiana”. Ora li fanno all’estero…»
. Ma il made
in Italy (che poi se si usasse un termine italiano sarebbe meglio) deve
anche farsi sostenibile.

E «deve adattarsi alla costante riduzione dei costi – spiega
Pietro Buzzi, della famiglia Buzzi che fa cementi – e
imparare a seguire con maggior dedizioni i protocolli legati all’impatto
ambientale»
. Tutto questo, e oltre, farà dell’azienda
Italia un modello non da rincorsa, ma da presa di posizione. E quello
che emerge chiacchierando con le aziende di estrazione “familiare” è
che è necessaria la fiducia e il supporto dei consulenti It. Che
devono essere “italiani”, di sicuro. Ma per quanto tempo durerà
questo privilegio a favore di conoscenze che vengono da fuori?

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