Dopo la caduta, WorldCom confida nella rinascita

La richiesta di amministrazione controllata pone pesanti interrogativi su certi settori dell’economia americana. Al di là della confessata frode sui bilanci, questo scacco riflette l’incredibile cecità degli operatori telecom, che hanno scommesso tutto su una crescita infinita della domanda.

L’ottimismo dei dirigenti WorldCom sembra incrollabile. Dopo averne sostanzialmente dichiarato il fallimento, con la richiesta di aderire al regime del Capitolo 11 (sorta di regime di amministrazione controllata), il presidente della società, John Sidgmore, ha dichiarato: «Se riusciamo a uscire dall’attuale situazione debitoria, la nostra posizione sarà considerevolmente rafforzata, poiché disporremo del miglior bilancio contabile del mercato». In sostanza, il più importante crack della storia di Wall Street (107 miliardi di dollari di attività a bilancio) potrebbe trasformarsi in una salutare operazione di riassestamento per il secondo operatore americano di telecomunicazioni su lunga distanza.

In concreto, Sidgmore dispone di tre mesi per provare l’affidabilità finanziaria della propria azienda. Le basi sembrano buone, poiché le banche hanno accordato una linea di credito di 2 miliardi di dollari, linfa vitale per casse quasi prosciugate. L’iscrizione al Chapter 11, a questo punto, dovrebbe permettere di intervenire su un debito che oggi ammonta a 33 milioni di dollari e di riassestare le finanze.

La frode che ha causato questo crack permette di comprendere meglio i risultati fuori norma di WorldCom, con utili conseguiti anche quando tutti i concorrenti erano in perdita. È chiaro che senza i trucchi di bilancio anche questo carrier si sarebbe allineato, già da qualche trimestre, alla situazione generale.
Secondo gli analisti, l’errore di tutti gli operatori è stato credere che la domanda si sarebbe allineata all’offerta. Alla fine degli anni 90, non era raro sentire da qualche dirigente di WorldCom che la domanda di ampiezza di banda si sarebbe moltiplicata per dieci ogni anno e che la strategia della società era basata sulla disponibilità di una rete sempre in anticipo sulle richieste di mercato. Invece, i clienti non hanno investito in linea con la crescita della dimensione della rete, anche perché il budget riservato alle telecomunicazioni non poteva essere infinito. La posizione di WorldCom, malgrado i suoi 20 milioni di clienti, è sostanzialmente quella di un intermediario che acquista e vende capacità. Questo modello ha provocato più di un fallimento e gli operatori meglio difesi, oggi, appaiono quelli globali, come Telecom Italia o Deutsche Telecom, che dispongono di rete propria e clienti diretti. Ciò non toglie che WorldCom gestisca una buona parte del traffico Internet mondiale e che, com’è parzialmente accaduto per KpnQwest, un’eventuale cessazione di attività avrebbe ripercussioni su scala planetaria. La cifra del 50% di traffico mail è spesso citata come esempio. In Europa, la rete WorldCom copre all’incirca fra il 5 e il 15% della capacità totale, secondo analisi accreditate.

Nel breve periodo sono a rischio soprattutto i fornitori di secondo livello, che da WorldCom dipendono. Si sa che i debiti verso BellSouth, Sbc o Verizon si elevano fino a 200 milioni di dollari per ciascuna azienda e sono somme destinate a crescere in queste condizioni depresse di mercato.

Affermando che l’amministrazione controllata non mette in discussione la continuità della società, John Sidgmore sta in realtà difendendo il proprio posto di presidente. Un’eventuale liquidazione, invece, comporterebbe il suo dimissionamento. E così si spiega l’ottimismo mostrato, nonostante tutto.

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