Home Digitale Cereda, AD di Ibm: sfruttiamo la safety car del digitale

Cereda, AD di Ibm: sfruttiamo la safety car del digitale

Nel giorno della riapertura delle scuole l’amministratore delegato di Ibm Italia, Enrico Cereda, ha voluto parlare con la stampa specializzata di valorizzazione del capitale umano e di formazione. Ma l’AD ha parlato anche di posti di lavoro che con lo smart working diventano luoghi di incontro e di rete unica, facendo qualche importante distinguo su sovranità dei dati e sicurezza.

Un tema, quello della formazione che riparte, dopo il vissuto periodo di lockdown-smart working ha un evidente valore simbolico, ma consente a Cereda di puntare l’attenzione sugli asset del sistema Paese che occorre cambiare, usare, impostare, gestire, far crescere.

Questo che stiamo vivendo è il momento più importante della nostra storia economica, ha detto Cereda, “e noi tutti dobbiamo avere gli occhi aperti su quello che il Paese dovrà fare nei prossimi mesi“.

Un Paese, ha detto Cereda, che prima del Covid era giunto a un livello di minimo, ed era in quella situazione perché proveniva da una storia degli ultimi 20 anni, dice senza mezzi termini Cereda: “a livello di risultato economico nel Q4 del 2019 non eravamo ancora in recessione, ma quasi. E anche sul piano della ricerca eravamo ai minimi storici”.

Ma ora, dopo il lockdown che ha avviato un percorso di digitalizzazione, “abbiamo di fronte una grande opportunità. Come nella Formula Uno abbiamo davanti una safety car che sta dettando il ritmo della digitalizzazione e che ci consente di ridurre le distanze e di farci avvicinare ai primi attori europei“.

Per farlo dobbiamo utilizzare al meglio le risorse che provengono dal recovery fund. E che sarebbe meglio intendere in senso proattivo. “Gli altri Paesi – dice Cereda – lo chiamano Next Generation EU, a significare non tanto una ripresa, quanto spinta per le nuove genertazioni. Va interpretato così“.

Formazione per cambiare il paese

Per Cereda i pilastri fondamentali per la trasformazione del nostro Paese sono due, “e fanno parte tradizionalmente della cultura Ibm“: la formazione, inteso come continuous learning, e l’innovazione tecnologica: “Se li cavalchiamo assieme il paese può fare un salto quantico“.

Cereda cita l’esperienza P-Tech: a giugno 170 studenti di quattro Istituti Secondari di Taranto hanno concluso il primo anno del percorso formativo per esperti digitali. Quella italiana mutua un’esperienza internazionale (da qui la safety car) che ha sinora coinvolto 24 Paesi, oltre 200 università e più di 600 partner industriali e che ha portato sui banchi di scuola più di 125mila studenti. La finalità è creare un legame più stretto tra la scuola e l’ecosistema industriale per promuovere nuovi skill e apprendimento per la  vita professionale. Formazione professionale dove si inserisce SkillsBuild Reignite iniziativa di continuous learning sui temi del digitale e di aggiornamento professionale, pari a un migliaio di ore di apprendimento pro capite, basata su una piattaforma online dal primo settembre, che punta a superare lo skill gap di imprenditori, lavoratori di Pmi e chi è in cerca di una nuova occupazione.

Lavoro smart se si cambiano i processi

Se pensiamo agli uffici del futuro – dice Cereda ispirandosi al proprio vissuto degli ultimi mesi – li vediamo come luoghi di incontro più che posti dove lavorare. A inizio pandemia abbiamo deciso di mettere tutti i dipendenti in smart working nel giro di pochi minuti (tutti i dipendenti Ibm hanno un iPhone 8 – ndr). Peraltro in Ibm da anni si lavora da casa, non è un impedimento. La cosa importante non è tanto la connessione Internet, quella la abbiamo. La differenza la fa la gestione dei processi aziendali”.

Quello che Cereda chiama “salto quantico” va fatto sul ridisegno dei processi aziendali, che deve passare da multicloud, intelligenza artificiale e blockchain intese come strumenti, non  come finalità.

Più che smart working, dice Cereda, “negli ultimi mesi in Italia si è fatto telelavoro, con processi vecchi. Ora dobbiamo aprire e cambiare l’azienda”.

Qualcosa in merito, però, forse sta accadendo: “Durante il lockdown l’urgenza è stata posta sulla rete, con un’attenzione particolare all’infrastruttura Da luglio in avanti vediamo uno shift dalla parte infrastruttura ai processi aziendali“.

La considerazione deve tenere conto che, se si parla di digitalizzazione tramite cloud: “a livello mondiale solamente il 20% dei carichi di lavoro è stato portato su cloud. Quelli semplici. Ora tocca a quelli più complessi“.

E si ritorna all’infrastruttura: “per le applicazioni di 5G ed edge computing faremo leva sul nostro datacenter di Milano per lavorare con le Telco, industria molto importante per il futuro. La nostra struttura global services ha un gran lavoro davanti”.

Rete unica sì, ma con ruoli chiari

E riguardo l’infrastruttura di Tlc si arriva a parlare anche di rete unica.

Ben venga – dice Cereda -. Bisogna vedere cosa faranno i player che la creano. Per noi la presenza fisica di un data center in un paese non è fondamentale. Lo è invece rispettare la privacy e la sicurezza dei dati“.

Il destinatario dell’osservazione è chiaramente Tim: “Se chi crea la rete unica poi intende metterci su i data center, allora mi preoccupo. La storia ci ha insegnato che quando ci sono condizioni di monopolio non sempre si va bene. A mio avviso bisogna stare attenti a non confondere rete unica con cloud e data center“.

L’osservazione ha una radice pragmatica. Il cloud, riflette Cereda, oggi è in mano a due grandi blocchi, americano e cinese. “Noi europei o italiani non dobbiamo abdicare a un nostro ruolo, ma non significa costruire un cloud italiano, piuttosto abilitare le nostre aziende a a utilizzare al meglio le tecnologie. Ecco perchè puntiamo alla formazione, con una visione etica delle nuove tecnologie“.

Non importa tanto sapere dove stanno i dati, ma sapere se si hanno tutte le credenziali di sicurezza e riservatezza: “regole certe per innovazione inclusiva e non esclusiva, con benefici per tutti“.

Nel cloud non ci sarà un vincitore solo, ma diversi. Una piattaforma come Openshift (di Red Hat, società di Ibm) che consente di far dialogare cloud differenti sarà vincente.

In sintesi, secondo Cereda, sono tre le priorità di innovazione per il paese: “formazione di studenti e lavoratori, focalizzarsi su alcuni settori strategici a livello nazionale, consentire alla pubblica amministrazione di essere al livello delle aziende private, ma non tanto sugli strumenti come intelligenza artificiale, cloud o blockchain , quanto sui processi organizzativi“.

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