Ceo e Cio, mondi in avvicinamento

Per alimentare la comunicazione tra It e business bisogna cercare la relazione e non averne paura. Quindici C-level confrontano i propri punti di vista

L’evoluzione dell’Ict non si lega esclusivamente a quella della pura tecnologia. L’information technology, ormai è noto ai più, deve, infatti, intrecciarsi al business e alle sue trasformazioni. Con un conseguente impatto sulla figura del Cio. E anche questo già si sa. Quello che si sa meno è che il Ceo, colui che per molti responsabili dei sistemi è l’imputato principale del fatto che l’It è ancora troppo spesso considerata in azienda solamente come servizio, inizia a guardare con occhi diversi al valore che, invece, può apportare alle strategie e all’organizzazione.


Cresce la sensibilità del management, dunque, come emerso in un recente convegno organizzato da Business International, dove amministratori delegati e uomini dell’It hanno messo a confronto le proprie prospettive, discusso di performance, sottolineato le necessità ed effettuato richieste. Condividere le responsabilità sull’aumento della produttività e degli asset intangibili, occuparsi maggiormente di clienti e competitor, più che di fornitori, introdurre o “allevare” persone con caratteristiche di business nella propria squadra: sono queste alcune delle richieste che il vertice aziendale pone all’It manager.


Una sorta di presa di coscienza delle business opportunity derivabili dalla tecnologia emerge dalla parole di Giorgio Foresti, amministratore delegato della farmaceutica Ratiopharm: «Il Ceo dovrebbe organizzare momenti di confronto con il Cio, il quale, a sua volta, dovrebbe presentarsi con soluzioni di business e non tecnologiche alla mano, essere più proattivo e saper gestire la comunicazione, all’interno e all’esterno», quest’ultima vera chiave di volta per Foresti. «Il suo non deve essere un ruolo di supporto alle attività quotidiane – prosegue -. Non bisogna considerarlo come un esecutore, bensì coinvolgerlo nella preparazione dei budget». E il manager prova a sua volta a essere propositivo: se, in linea generale, l’It nel mondo farmaceutico riporta alla divisione finanziaria, Foresti vuole legare l’It direttamente all’area business, ma il Cio deve essere in grado di guardare contemporaneamente al lunghissimo e al brevissimo periodo. D’accordo, anche Silvio Bosetti, amministratore delegato della multiutility Agam Monza, secondo il quale i sistemi informativi sono centrali. «Ho dato mandato al Cio, che deve essere amico e consulente dei sistemi informativi e non colui che li complica, di rispondere a diverse priorità societarie – esordisce -. Deve essere parte integrante dell’azienda e non figura isolata, pronto al gioco di squadra, a dar vita a un’alleanza culturale che rispetti le esigenze dei singoli reparti, apportando competenza». Condividere il respiro strategico ed essere capaci di saper ascoltare, dunque. «In questo modo si diventa “complici” – suggerisce Bosetti -. Bisogna cercare la relazione, non temere la figura dell’amministratore delegato; le richieste di cambiamento non devono essere viste come una minaccia». Dal canto suo, il manager chiede consapevolezza del timing (che spesso rappresenta la pecora nera dell’It) e degli obiettivi, ma ribadisce che il management deve essere il primo a comunicare.


Capacità di ascolto


Di comprensione e volontà reciproca a imparare parla anche Oreste Galasso, amministratore delegato di Selene, Gruppo Asm Brescia, che propone la sua ricetta: «Immagazzinare e saper utilizzare al meglio quanto ascoltato», così come Luca Luigi Manuelli, amministratore delegato di Finmeccanica Group Services, mette l’accento sulla necessità di capire le metriche decisionali: «Rendere l’It un business partner è una sfida per l’Ad. Per ragionare in termini di risk management, e non solo di Roi, serve esperienza e sensibilità. È la rapidità associata alla capacità decisionale, con la ponderazione dei rischi che fa la differenza». Un altro obiettivo che il Cio deve far proprio è quello di far crescere l’organizzazione e di interrogarsi, fin dall’inizio, sulle competenze degli uomini dell’It. E Manuelli parla di “talenti”, di “soft skill”, fatti anche di propensione relazionale e alla mediazione. Una trasformazione che è difficile, ma che, Eismann, società che vende surgelati a domicilio, cerca di realizzare anche grazie al supporto di consulenti e psicologi. «A volte si spendono migliaia di euro in ferro senza preoccuparsi delle persone – annota Paolo Baltieri, direttore finanziario amministrativo dell’azienda -, mentre è su di loro che bisogna investire. Il Cio stesso deve avere come missione la crescita dei colleghi. Deve anche diventare meno tecnico e più leader d’impresa, non solamente di funzione, scoprirsi maggiormente sul lato front office e, magari, andare sul campo per provare sulla propria pelle l’effettivo business dell’azienda». Va, poi, capito quanto le società gliene diano realmente l’opportunità, ma Baltieri rassicura: «Lo convochiamo spesso».


«La tecnologia si impara, ciò che conta, invece – gli fa eco Massimo Loss, Cio di Philip Morris -, è la capacità di interpretare gli elementi propri del business e di supportarlo. L’accountability, ad esempio, la regolamentazione del prodotto e la conoscenza delle norme per la sua sostenibilità futura». Rimettersi in gioco, reinventarsi per essere riconosciuti. Sono due delle strade prospettate da Loss come consiglio di crescita per il responsabile dei sistemi che deve apportare le sue caratteristiche principali, come il project management, in altri settori aziendali.


Parla di inclinazioni anche Giovanni Damiani, Cio di Banca Popolare di Milano, secondo il quale, per la formazione, più che ricorrere a corsi, è meglio andare direttamente sul campo, fermo restando che un compito dell’It manager è di «governare le persone in termini di prospettive e competenze, queste ultime con un ciclo di vita che invecchia velocemente». Posto che il settore bancario è altamente informatizzato, per Damiani il responsabile dei sistemi deve gestire la macchina operativa e, al contempo, guardare al governo dei processi, occupandosi anche di pianificare e allocare le risorse, per metterle in grado di operare in modo piacevole. Allo stesso tempo, serve una spiccata capacità di negoziazione, all’interno e all’esterno dell’impresa, oltre a quella di influenzare le decisioni, senza prenderle direttamente. “Soft power”. Così Arrigo Andreoni, chairman dell’It governance di Telecom Italia, definisce il fenomeno: «Saper convincere, persuadere, influire, ispirare una decisione. È qui che si gioca la partita». Il Cio, per accrescere il proprio peso in azienda, deve puntare al successo, non al potere, deve guadagnarsi la fiducia. «Bisogna fare in modo di essere percepiti come punto di innovazione, solutori di problemi, collanti tra divisioni che lavorano a compartimenti stagni – specifica il manager -. In questo sta il successo, non tanto nella posizione effettiva all’interno dell’organigramma». Che dipenda dal Cfo o dal Ceo, comunque, per Andreoni, il Cio difficilmente può cambiare ruolo all’interno dell’azienda, al limite potrebbe diventare responsabile finanziario (suo antagonista interno per eccellenza nel passato) o degli acquisti (il concorrente del presente, che tende a rendersi autonomo dall’intermediazione dell’It manager). «Il Cio detiene tutte le chiavi dei processi aziendali – continua Andreoni -, ma guai a dichiararlo. Più facile è uscire dall’impresa e trasformarsi in consulente, imprenditore o ricoprire un ruolo istituzionale». Dall’esperienza dei suoi capelli bianchi, poi, Andreoni dà dei suggerimenti ai colleghi più giovani indicando tre aspetti che molto l’hanno aiutato nella carriera: la teoria dei sistemi, corsi di stampo manageriale e dinamiche di gruppo/comunicazione.


Comunicazione a tutto campo


Un esempio di Cio che è riuscito a cambiare ruolo, anche se al contrario, viene da Vincenzo Giannelli che prima di essere Cio di Fiat Group Automobiles ha vissuto l’esperienza di Cfo. «I ruoli non vanno segregati – spiega -, anzi, bisogna creare un connubio tra mondo tecnico e della diplomazia, portando i processi a livello globale, con sinergie di gruppo. L’It ha un ruolo fondamentale nell’unificazione del modo di lavorare e deve valorizzare il brand della società. Spesso, il Cio è vittima di una rappresentazione sbagliata; l’identità dell’It dipende da un set di strumenti, tecnologie e persone» che, per Paolo Sassi, Cio di Osram, devono essere all’insegna della flessibilità. «Le soluzioni monolitiche si stanno aprendo e i cicli di vita dei prodotti riducendo – indica -. Anche la logistica impone una maggiore rapidità. Bisogna coniugare organizzazione, tecnologia e processi, che bisogna conoscere». Il manager, però, rileva una certa impreparazione, visto che «molte figure capaci di gestire la tecnologia sono sparite. Dobbiamo capire quanto realmente siamo pronti ad affrontare temi di più ampio respiro, come la compliance o la sostenibilità, e a usare le novità che il mercato ci propone».


Pronto pare essere Stefano Santucci, Cio di Uvet American Express, il quale oltre che di logistica fisica e informativa parla di Soa, sulle quali è già attivo da oltre un anno: «L’interazione con la supply chain dei clienti ci ha fatto guadagnare altri clienti. Mai come negli ultimi anni, chi gestisce l’It può giocare un ruolo strategico in azienda. Non ci si deve focalizzare su server, query e così via, ma aprire la mente alle opportunità che la tecnologia offre al business, senza limitarsi ai costi. Una maggiore automatizzazione permette di assumere un profilo più consulenziale e di migliorare i servizi». Positivo nei confronti dell’evoluzione dell’It è anche Giancarlo Luraschi, direttore organizzazione e sistemi informativi di Volkswagen Bank, che da un paio d’anni vive una trasformazione interna, con il cliente cuore nevralgico dell’azienda. «La collaborazione con l’intero gruppo è costante – dice – e sta cambiando anche l’impostazione culturale: stiamo tentando di creare un team di lavoro, composto da uomini dell’It e di altri dipartimenti, per affrontare i processi in modo trasversale. Bisogna cambiare marcia e scambiarsi le informazioni». Una cultura d’impresa che il Cio deve alimentare attraverso la comunicazione, innovando nelle relazioni a tutto campo.


Far dialogare i sistemi con il mondo esterno è anche il pensiero di Gianni Piazza, Cio di Sony, in una posizione fortunata per l’ottimo rapporto con il management, secondo il quale «il responsabile dei sistemi ha l’obbligo di spiegare la tecnologia». Una tecnologia che vede nell’avvento della customerization una grande opportunità. Così è anche per Alessandro Musumeci, direttore dei sistemi informativi del Comune di Milano, mentre per Giusesppe Biassoni, Cio di Rai, la diffusione a tappeto dell’It è la benvenuta perché offre spunti interessanti, anche se va mantenuta una certa prudenza. La customerization, invece, pare non riguardi la grande distribuzione. Almeno dalle parole di Pierangelo Tripoli, Cio di Gruppo Pam: «È il cliente che comanda, ma la sua evoluzione in ambito It è ancora lontana. Le applicazioni spinte saranno sicuramente sempre più diffuse, ma, per ora, l’interesse per l’interazione è limitato a una nicchia di utenti. Ciò non toglie che si debba sempre prestare attenzione alle evoluzioni della tecnologia». Esiste comunque un gap tra customerization e business, che non sempre recepisce gli stimoli con la stessa velocità e nel medesimo modo. «Portare le caratteristiche della customerzation in azienda
– chiosa Andreoni – è complesso. Una difficoltà sta, ad esempio, nel trovare i modi di sfruttare al meglio le possibilità offerte e nella ricerca sempre più complessa delle informazioni. Il Cio le pretende, ma i problemi di privacy, la sicurezza, la validazione delle informazioni e l’apertura dei sistemi rappresentano degli ostacoli».

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