Capire le priorità dei Cio per capire il mercato

Dall’It come semplice utility al tramonto dell’outsourcing inteso come medicina per tutti i mali… In questa inchiesta tutti i punti sull’agenda dei manager It

Luglio/Agosto 2005, Il minimo che si possa dire dei Cio (Chief information
officer) è che non hanno oggi un lavoro facile da compiere. Il futuro
dell’It nelle imprese è e resta nelle loro mani, ma i rapporti di forza,
i ruoli, le mansioni, gli obiettivi e i mezzi su cui possono contare stanno
rapidamente cambiando e con loro anche i modelli ai quali si ispirano per le
loro decisioni. Per questa ragione è importante monitorare lo "stato
d’animo" di queste figure professionali per comprendere, possibilmente
in anticipo, le tendenze in atto sul mercato. Un’interessante occasione per
tastare il polso ai "signori dell’It" è arrivata dal Cio Summit
di Idc e Idg, dal quale sono emersi tre grandi temi: outsourcing, governance,
crescita e sviluppo di una "nuova" Dynamic It.
Il tema dell’outsourcing è di quelli che scaldano la platea, l’outsourcing
è una opportunità, ma tutti sanno bene che è anche una
minaccia. Dieci anni fa un guru come Paul Strassman, ex Cio
di Xerox e Nasa, ne aveva teorizzato l’avvento come un modello di business in
grado di riportare l’attenzione delle aziende sul core business, spostando verso
l’esterno tutto ciò che non ha a che vedere con il "valore".
Nella realtà, però, in questi anni il sistema delle imprese ha
premuto fin troppo su questo acceleratore trasformando erroneamente l’outsourcing
in un sinonimo di riduzione di costi. Strassmann ci tiene a far cadere questa
illusione: «Non sempre l’outsourcing ha rappresentato un vantaggio
per le imprese che lo hanno adottato. Per misurarne gli effetti
– osserva
non basta calcolare il saving immediato sui costi, ma è necessario
valutare i benefici in termini di valore dei prodotti e dei servizi e, in definitiva,
di ritorno finale sugli investimenti. Se si fa questo esame l’outsourcing in
molti casi non è stata una buona medicina»
. La conclusione
di Strassman è lapidaria: «Non date in outsourcing il cervello,
pensateci e contestualizzate l’outsourcing»
. E così come dieci
anni fa aveva auspicato l’avvento della "esternalizzazione", così
adesso invita alla moderazione e soprattutto avverte: «Non ricorrete
mai all’outsourcing per risolvere dei problemi operativi»
.

Se Strassman non nasconde il suo scetticismo sul "metodo" che sta
alla base delle scelte dell’It, Nicholas Carr si mette le vesti
del fustigatore. Diventato famoso come editor della Harvard Business Review
con un articolo ("It doesn’t matter"), Carr sosteneva che le aziende
devono concentrarsi sulle vulnerabilità e non sulle opportunità.
Che non devono innovare, ma seguire chi fa innovazione e che, in definitiva,
l’It non cambia il "destino" delle imprese che la adottano. Al Cio
Summit, Carr ha rincarato la dose spiegando che le cose non stanno migliorando:
«Una quota variabile dal 70 al 90% dei budget It viene usata solo
per tenere accese le lampadine dell’It
– accusa -. Si tratta di investimenti
indifferenziati che non aumentano il valore delle imprese e che sottraggono
risorse all’innovazione»
. Mentre il futuro dell’It, secondo Carr,
deve partire dal presupposto che l’energia It non deve per forza essere generata
all’interno delle imprese, ma può essere erogata da fornitori indipendenti.
«Sono convinto – spiega – che l’It è destinata a diventare
una utility al pari dell’energia elettrica con una produzione ed erogazione
analoga. è un bene di cui semplicemente non si potrà fare a meno
e che non rappresenterà più un vantaggio»
.
Che l’It sia destinata a cambiare profondamente è ormai assodato, ma
forse i termini possono essere meno drastici rispetto al futuro teorizzato da
Carr. Per Peter Weill, direttore del Center for information
systems research del Mit Sloan school of management, i Cio e l’It devono soprattutto
"darsi una regolata", ovvero, più diplomaticamente, adottare
una autentica strategia di It governance: «Le compagnie che dispongono
di una "superior It governance" fanno maggiori profitti»

annuncia, presentando i risultati di una ricerca condotta su 256 imprese. Ma
se è chiaro che l’It governance fa bene alle imprese, è ancora
poco chiaro cosa esattamente sia la It governance e Weill propone una sua chiave
di lettura: «La It governance è un quadro di riferimento nel
quale rientrano le giuste decisioni per l’It di impresa e le metodiche di analisi
e verifica dei risultati di queste decisioni»
. Un concetto che Weill
spiega così: «Bisogna smettere di "guidare"
– osserva -, è venuto il momento di governare».
Un invito politico che si accompagna all’invito anch’esso politico di agganciare
la It governance alla corporate governance e alle funzioni di governance di
altre aree chiave delle imprese. Si parla dunque di integrazione spinta dell’It,
ma anche di management: «Per avere una It performante in termini di
servizi per il business non basta prendere le decisioni giuste
– sottolinea
Weill -, ma serve prenderle al momento giusto, implementarle nei tempi stabiliti
e disporre le risorse dell’impresa in modo che possano trarre il massimo vantaggio
da queste scelte. Anche questa è It governance»
.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome