Se lo è chiesto Acroservizi che, per sondare il parere delle aziende italiane di grandi e medie dimensioni su come vengono percepite le strutture esterne che si occupano del disbrigo delle pratiche per conto terzi, ha commissionato a Eurisko un’indagine ad hoc.
1° luglio 2002 Acroservizi espande il proprio business.
La società italiana che fornisce servizi di call e contact center in outsorcing
a banche e assicurazioni online, aziende B2B e B2C, Utilities, turismo
e trasporti, è, infatti, in procinto di inaugurare, a breve, una nuova a filiale (la seconda
a Milano oltre a quella di Sesto San Giovanni). Un contratto
nazionale del lavoro riconosciuto e studiato ‘su misura’ per i professionisti di
call center, un canale preferenziale per le donne, 15 giornate di formazione
all’anno per ciascun dipendente – pari a un investimento pro capite di circa
1.300 euro -, possibilità di crescita orizzontale e verticale e incentivi non
solo monetari.
Ma a parte questo, perché le aziende dovrebbero scegliere
la gestione in outsourcing? «A ognuno il suo mestiere – risponde
con semplicità Ambrogio Pozzi, presidente e fondatore di Acroservizi. In
questo modo il customer care operativo viene gestito all’esterno da
professionisti, mentre il management dell’azienda può concentrarsi unicamente
sul proprio business evitando costi di infrastruttura e aggiornamento. Mediante
un minimo preavviso, inoltre, le dimensioni di un contact center può essere
modificato a seconda delle esigenze operative dell’azienda
cliente».
Ma cosa ne pensano le imprese italiane, siano esse
di grandi o medie dimensioni, della domanda di servizi di call e contact center
per la gestione in outsourcing dei contatti con i propri i clienti?
Acroservizi ha girato la domanda a Eurisko commissionando all’istituto di
ricerca un’indagine ad hoc sull’argomento. Condotta su un campione rappresentativo composto
da oltre 4mila aziende – dal quale sono stati, poi, evinti un campione
quantitativo e uno qualitativo composto da 22 focus, in parte su decisori
aziendali di grandi gruppi, in parte su rappresentanti delle principali società
di consulenza – dall’indagine è emerso uniformemente una prima certezza. Il
ruolo strategico attribuito dalle aziende di qualsiasi dimensione ai call center
per mantenere la relazione con i clienti, fornire informazioni e assistenza,
promuovere o vendere prodotti e servizi.
Una diversità di approccio, a
seconda che si interpelli la grande azienda o quella di medie dimensioni,
emerge, invece, quando si indaga sulla logica con la quale vengono intesi i
servizi di call center. Di ‘appoggio’ nel caso delle enterprise, di
‘sostituzione’ nel caso di quelle di più ridotte dimensioni. Praticamente tutte
le grosse realtà interpellate sostengono di possedere un call o contact center
interno – 150 il numero medio di postazioni, contro le venti delle medie imprese
– mentre 4 su 10 utilizzano strutture in outsourcing. Una tendenza,
quest’ultima, data in forte aumento, visto e considerato che il tasso di
crescita previsto dai grandi gruppi che pensano di incrementare il loro rapporto
con provider esterni nei prossimi 12 mesi, viaggia intorno al 90%.
Ad
accomunare entrambi i target dell’indagine la constatazione che le strutture in
outsourcing sembrano apparire maggiormente efficienti, meno costose e
decisamente più flessibili. Di contro, la gestione ‘in casa’ viene percepita
come più dispendiosa, meno incisiva, ma decisamente più ‘controllabile’.
Tuttavia, quello dei servizi esterni è ancora un mercato ‘unbranded’, tanto è
vero che i manager intervistati dall’istituto di ricerca non citano alcun
operatore di call center in outsourcing presente sul mercato nostrano. E in
futuro? «Una logica non esclude l’altra – sottolinea Fabrizio Fornezza,
vice presidente di Eurisko -, anzi. Per i prossimi anni potremmo addirittura
spingerci a ipotizzare un vero e proprio networking di strutture di call center
‘su misura’ per le Pmi, vista la logica dei distretti così congeniale alla
struttura socio-economica del nostro Paese».





