Ancora sottovalutato il ruolo strategico del call center

La mancanza di cultura del management nell’implementare tecnologie innovative e la resistenza da parte delle strutture tradizionali sono alcuni degli ostacoli che in Italia devono essere superati per realizzare un centro, che consenta all’azienda di acquisire e mantenere i clienti.

Un valido call center è il sistema meno costoso per acquistare e mantenere clienti. Queste le parole di Martino Ronchi, responsabile marketing di Ctm e partner Telecom, in un recente convegno dedicato al settore. “Siamo ormai in un mercato – prosegue – dove i servizi e i prodotti che le aziende sono in grado di proporre si equivalgono. Oggi, la fidelizzazione della clientela nasce dalla percezione dal valore aggiunto che viene erogato“.


A questo proposito, i nostri cugini d’Oltreoceano, testa di ponte nell’analisi dei trend di mercato, hanno elaborato alcuni numeri significativi sui meccanismi di redemption: se un prodotto funziona, la soglia di fidelizzazione si attesta attorno al 76% mentre se non funziona scende al 32%. Il dato più sorprendente è la percentuale di fidelizzazione in presenza di un buon servizio di assistenza, che arriva all’89%, superando quella del prodotto funzionante.


Secondo gli esperti, in un mercato globale liberalizzato un domani le società saranno tutte dei call center: sulla carta della disponibilità dei servizi si giocherà la competizione più spinta. Europe Assistance, Telecom e Tele+ sono precursori in questo campo e da tempo stanno raccogliendo esperienze significative sui margini di guodagno sviluppati attraverso centri di chiamata sempre più sofisticati e articolati.


Il trasferimento all’utente di attività una volta a carico del fornitore la dice lunga sui nuovi paradigmi di erogazione dei servizi – ribadisce Roberto Liscia, amministratore delegato dell’Anee, l’Associazione dei servizi e dei contenuti multimediali -. La questione dei call center oggi si pone in un nuovo contesto: il Crm è l’elemento centrale della nuova economia perché nella catena produttiva all’aumentare della complessità dei prodotti corrisponde un aumento della componente relativa ai servizi. Nell’ottica di un bilanciamento dei costi, il trasferimento di diverse funzioni all’utente sta portando a una maggiore sensibilità del consumatore alla qualità del servizio. Inoltre, la velocità del cambiamento pone problemi di carattere formativo all’interno dell’azienda. In mezzo a tutto questo c’è una cerniera: il call center“. L’errore da parte del management aziendale, soprattutto italiano, è quello di non cogliere il valore strategico del call center all’interno della filiera produttiva, considerandolo piuttosto una mera unità di assistenza e i motivi di questa resistenza sono diversi. “Innanzitutto – prosegue Liscia – una certa resistenza da parte delle strutture tradizionali, agenti di commercio in primis. Poi c’è una mancanza di cultura da parte dei manager rispetto all’uso di certe tecnologie e l’offerta in outsourcing non è di qualità. Infine, fattore ancora più grave, il turnover sempre più spinto del management impedisce di realizzare progetti in prospettiva“.


Una buona struttura di call center permetterebbe, invece, alle imprese di qualsiasi dimensione, di raggiungere in poco tempo l’obiettivo finale: legare il cliente all’azienda attraverso relazioni sempre più dettagliate e integrate, in chiave metodologica, a un Crm indirizzato a un marketing sempre più di tipo one-to-one perché, come sottolinea Ronchi “il sistema di Crm rileva tutti i contatti, elabora tutte le informazioni relative al cliente e si adegua mettendo a punto un’offerta il più possibile costruita su misura. Il valore umano è però fondamentale in questo meccanismo. Per questo è importante che il personale dei call center sia particolarmente addestrato e capace di rappresentare l’azienda, diventandone il portavoce e facendosi carico di tutte le istanze“.


In questa prospettiva è naturale pensare a una diversificazione dei ruoli all’interno dei vari centri di chiamata: teleselling, sollecito crediti, numeri verdi, assistenza, telemarketing per indagini di mercato e appuntamenti potranno essere così gestiti all’interno di un call center attraverso diversi operatori specificamente addestrati. Oggi, invece, il lavoratore di un call center è un precario, molto più simile a un prestatore di manodopera che a un membro dell’azienda. I contratti sono per lo più di carattere part time, anche se alcuni di questi sono di tipo verticale. È significativo che mentre i posti di lavoro in questo settore sono circa 60mila il numero di occupati è di circa trecentomila: questo significa che per lo stesso posto ci sono diversi turni di lavoro.


È importante avvicinare l’operatore alla struttura organizzativa e permettergli di capire le logiche dell’azienda – conclude Giorgio Pacifici, presidente del Fti, Forum per la Tecnologia dell’Informazione -. Il problema è legato alle professionalità e, quindi, alla formazione i cui costi sono elevati non solo per i continui aggiornamenti operativi e tecnologici ma anche per la dispersione sul territorio di questo tipo di strutture“.

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