Start-up? Chiaro, chiarissimo anzi probabile

In barba alla logica, le definizioni della nuova imprenditorialità si moltiplicano incessantemente. Purtroppo la stessa cosa non sembra accadere per i soldi disponibili.

Quante sono le start-up italiane? Questa domanda ce la siamo già posta tante volte negli ultimi anni, complice anche un certo fermento ingenuo che ha moltiplicato energie e numeri.
Per rispondere a domande come questa non c’è che un modo: dare una definizione, scegliere un dominio, impostare una o più metriche, comunicare efficacemente. Ad ogni variazione di definizione, dominio e metriche avremo una risposta diversa.


Start-up decennali

Un esempio recentissimo è la scelta di Red Herring, emblema delle dot com di fine secondo millennio, che ha mantenuto un’analisi dell’innovazione. Recentemente l’organizzazione mediatica ha pubblicato la sua lista delle 100 migliori realtà europee. Svariati giornalisti nostrani hanno salutato le cento migliori “start-up”: dodici sono finlandesi, 11 francesi ed inglesi, 8 tedesche, olandesi e svedesi, 7 israeliane ed irlandesi. Suddividendole per argomenti ce ne sono sette sul cleantech, tre sul biotech/medical, due banking/services, cinque di genere vario e 83 sostanzialmente ICT.
In modo del tutto inatteso, ben cinque sono italiane: Wi-Next, D-Orbit, Rtr, Wi-Tech e Zerogray. Quest’ultima nella lista viene elencata come irlandese perché lì ha la sede centrale, ma è un’idea di due torinesi che nel capoluogo piemontese hanno messo la filiale del sud Europa. Probabilmente l’Irlanda è stata scelta come sede centrale negli anni in cui l’Europa le ha concesso di agevolare la fiscalità alle nuove imprese, ed ecco la scelta di Zerogray. Che ci porta anche alla definizione di start-up: sì, perché Zerogray dichiara dieci anni di presenza sul mercato. Anche le altre “aringhe italiane” hanno una certa anzianità di servizio: cosa avrebbero della “fase di avvio dell’impresa”, che è la definizione di start-up? Nulla, ed infatti non lo sono, a dispetto di quanto affermano sommariamente alcuni giornalisti. Problemi di comunicazione.


Start-up universitarie

Un secondo esempio, ben più noto alle nostre latitudini, è la start-up definita nel decreto Crescita 2.0 del ministro Passera. Anche in questo caso la lista delle nuove proposte è pubblica e il loro numero è in continuo aumento. Ne avevamo già parlato, ma torniamo sull’argomento: al 15 aprile le aziende registrate erano diventate 544, con la Lombardia (89) che prende il largo sul Piemonte (75) e l’ascesa di Veneto (64) ed Emilia-Romagna (59); buona la posizione della Toscana (46) ed ottima quella del Trentino-Alto Adige (33), incollato al Lazio (35) e inseguita dal Friuli-Venezia Giulia (31).
In questo caso una definizione c’è e i suoi vincoli sono piuttosto forti, miscelati tra età dei soci, posizioni e titoli accademici, durata dell’iniziativa e massimali sul fatturato. Anche il coordinamento con i preesistenti bandi regionali ed europei alle volte sembra farraginoso. Tutte questioni, insomma, che potranno essere giudicate solo con una prassi pluriennale.
Inoltre la sesta posizione del Lazio, piuttosto bassa e in pericolo, fa pensare che la definizione di Passera non collimi con quella di Roma Startup, l’associazione di promozione dellla nuova imprenditoria del Lazio. Analoga riflessione si può fare sulla Puglia, che langue in fondo a questo elenco con solo 19 iniziative registrate.
Per vedere quali fondi saranno disponibili e come potranno essere erogati bisogna aspettare ancora qualcosa: perlomeno l’avvio dell’equity crowdfunding, un settore nel quale in Italia sembriamo all’avanguardia anche rispetto agli States non solo dal lato pubblico ma anche per iniziative private come CrowdFuture.


Startup da decelerare

L’edizione 2013 di Working Capital di Telecom Italia ha accelerato sull’execution, di fatto creando un ecosistema completo, anche se interno alla sua struttura. Adesso anche Wcap definisce chiaramente la start-up come gruppo di lavoro che deve fatturare, tanto che la aiuta a farlo. C’è da sperare che anche i molti altri programmi analoghi, che finora hanno seguito telecom sul lato marketing, vogliano seguirla anche adesso che la parola d’ordine è “fare”.

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