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Michele Balbi, Teorema: Startup, abbiamo un problema

La preoccupazione era già stata espressa in occasione di un recente incontro a Milano. Inaugurando la nuova sede di Teorema a Milano, Michele Balbi, Presidente della società, si era espresso in toni amaramente realistici sull’andamento del progetto TILT e sulle difficoltà nell’individuazione di nuove startup da portare all’interno dell’incubatore.

michele-balbi teoremaMa ora, a pochi giorni dalla chiusura del CES di Las Vegas, la preoccupazione è diventata un vero e proprio allarme.
“Come ogni anno sono andato al CES e sono andato a visitare l’area dedicata alle startup. L’amara sorpresa è stato constatare l’assenza di startup italiane”.
I numeri la dicono lunga: otto, o poche di più, le aziende provenienti dal nostro Paese. “Sei – racconta Balbi – sono estere a tutti gli effetti e le altre due sono state acquisite da realtà americane nel corso della manifestazione”.
Un bel contrasto con la Francia, che ne schierava 188, con la Spagna, che ne ha portate 50, ma anche con Israele e Olanda che ne annoveravano rispettivamente 28 e 24.

Naturale chiedersi il perché e ancor più naturale cercare le motivazioni alla base di una situazione che rischia di diventare estremamente critica per il nostro Paese.

L’Italia avanti nell’adozione del Manifesto delle Startup

“Nelle mie ricerche ho chiarito innanzi tutto un punto: non si può parlare di arretratezza: l’Italia è il secondo Paese europeo nel percorso di adozione del Manifesto europeo delle startup. Questo significa che ci troviamo a un ottimo punto nel processo di adozione delle procedure previste dal Manifesto stesso”.
Il problema è, evidentemente, nell’output. Lo scorso anno, dicono i numeri raccolti da Balbi, in Italia sono nate 488 startup nel settore dell’innovazione: ebbene, di queste 448 sono già morte.
Hanno chiuso non per mancanza di fondi, ma per mancanza di coerenza e consistenza”.
Il vulnus, secondo Balbi, sta proprio nel fatto che i fondi vengono erogati a pioggia, senza che vi sia un vero processo di validazione dell’idea, senza che vi sia un vero controllo, ma anche senza che vi sia una reale promozione.
Tutto questo ha fatto sì che lo scorso anno il PIL legato alle startup sia cresciuto di oltre il 40 per cento in Francia, del 30 per cento in Olanda e in Italia sia calato addirittura del 21 per cento.

Il problema non sono i fondi ma le idee

“Il problema non è il denaro – ripete – ma avere idee, saper fare azienda, saper fare impresa. Non basta pensare a una App: ci vuole di più. Paesi più arretrati dell’Italia nell’adozione del Manifesto europeo, come la Francia, alla fine hanno risultati più consistenti dei nostri. E non è nemmeno un problema di talenti: li abbiamo. Il punto è che vengono attratti fuori dall’Italia”.

Uno dei problemi evidenziati da Balbi riguarda la destinazione dei fondi.
In Polonia, spiega, su 100.000 euro di grant assegnati, 96.000 sono disponibili per gli investimenti, in Romania si parla di 90.000 disponibili su 100.000 assegnati. In Italia 60.000 euro se ne vanno per i costi, dall’incubatore alle tasse alla gestione: per gli investimenti ne restano solo 40.000.

Mancano controllo e promozione

E poi c’è la questione del controllo.
In Francia, ci racconta, esiste un ente governativo che controlla e promuove le startup. Una sorta di Camera di Commercio estero. E la cosa funziona, se a Las Vegas c’erano 188 startup francesi.
“L’assenza di un organismo del genere, così come di qualcuno che distolga anche chi non ha idee validate dall’avviare la startup, frena lo sviluppo di un sistema consistente di startup in Italia”.
Manca poi anche tutta la fase di promozione: manca una figura super partes che faccia conoscere, promuova, sostenga le startup una volta che sono avviate.

L’Italia rischia verso Industria 4.0

E questo è preoccupante soprattutto se si pensa allo sviluppo dell’industria 4.0.
“Saremo costretti a comprare le tecnologia da fuori perché non abbiamo aziende in grado di fare digital transformation e perché sforniamo poche aziende in grado di stare sul mercato”.
Forse abbiamo mitizzato l’idea delle startup: ora è il momento di cambiare e gestire questo aspetto, cercando nuove soluzioni.

3 COMMENTI

  1. Le start-up nonostante la parola accattivante non è qualcosa piovuto dal cielo o un inglesismo tanto amato da questo provincialotto Paese, le aziende innovative sono frutto del percorso normale e qualificato che un Paese dovrebbe fare attraverso politiche lungimiranti e a lungo termine. Il sistema- Italia non esiste più da decenni spezzattato da una follia regionalistica che ha prodotto solo mala affare e corruzione oltre che emarginare talenti e persone di buona volontà. Le star-up non possono essere altro che piccole intuizioni generate da un “brodo” da un ambiente che già a priori considera la ricerca e la coltiva in seno spesso a laboratori o sistemi, distretti industriali più grandi. In Italia tutto questo non c’è più da decenni. Si tira a campare con improvvisazioni sporadiche di singoli. Le start-up non durano perchè si scontrano con una burocrazia folle ma molto spesso sono sostenute da progetti singoli fragili in termini di innovazioni e di applicazione. Oserei direi molto molto spesso con trovate “campate in aria”.
    Questo Paese ha perso la bussola della cultura come obiettivo primario è una start-up solo nell’humus fertile del sapere può nascere accompagnata da un contadino previdente e curatevole. Né terra e né contadino vedo più in questo Paese finito

  2. Fare startup è fare impresa. Pensare che un gruppo di ragazzi provenienti o incubati in un’Università (sono quelli che prendono la maggior parte della fetta dei finanziamenti), è in grado di fare impresa sulla base di un “appcella” che nella stragrande maggioranza dei casi non è nemmeno innovativa ( le università italiane, lavorano di solito su progetti già noti) è pura follia. L’unica cosa buona è che questi ragazzi iniziano a fare esperienza ( anche se con i soldi dei contribuenti è cosa alquanto discutibile).

  3. .. fare impresa vuol dire andare di pari passo con una politica dai progetti lungimiranti altrimenti ( come sta succedendo) siamo manufatturieri di basso livello che si adattano a quello che arriva in giornata. Ci siamo cullati sul piccolo à bello , sui “fenomeni del Nord- Est” e altre menate e non ci siamo resi conto che siamo scivolati dall’aver inventato e prodotto il naylon alla varecchina ..questo in tutti i settori. Non è una applicazione che fa impresa . L’ Italia doveva pullulare di laboratori no di capannoni orrendi

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