Un bel backup non sempre fa disaster recovery

Tre aziende su quattro dell’Europa che conta si sentono a rischio perdita dati. Da una ricerca di Emc, che prosegue la propria battaglia verso il nastro.

Un fatto: la deduplica dei dati ormai in ambito enterprise c’è. Al punto che stimola a buttare lo sguardo in avanti: si può replicare, accedere, ripristinare i dati in tempi ancora più brevi? Ossia, si può pensare un disaster recovery alternativo?

La risposta per Marco Rocco, Regional sales director backup di Emc è affermativa: si può aprire un nuovo scenario nel versioning dei dati.
Ma, prima di affrontarlo, bisogna chiedersi come le aziende fanno disaster recovery.

Uno spending It da rifocalizzare
È questo il senso che ha spinto Emc a verificarlo, in tutta Europa, per scoprire che le aziende, nonostante tutto, si sentono e sono a rischio di perdita dei dati.
Per il semplice fatto che il disaster recovery è andato “fuori fuoco”.
Spesso “si è sparato alla mosca con un cannone”, è la sintesi immaginifica di Rocco.

Ossia, si sono investite risorse con logica antiquata, non ottimizzando gli interventi. Esempio? Creando un sito di disaster recovery ingessato.
Serve, ma non sempre è la soluzione più efficace ed efficiente.

Dalla ricerca, condotta su 1.750 aziende con minimo 250 dipendenti in Italia, Francia, Germania, Benelux, Regno Unito, Spagna e Russia, emerge che amche chi usa la deduplica lo fa più per dare ordine ai dati che non per fare disaster recovery.

Problema energia
Cosa emerge? Che il 54% delle aziende ha avuto una perdita datai nell’ultimo anno, stimata in media di 400 Gb.

Il 60% perde dati per colpa di problemi hardware; il 40% per interruzioni energetiche; il 35 per inconvenienti software; il 25% per data corruption e il 21% per mancanza di energia nel sistema di backup.

Si evince che la gestione energetica è un problema, se non proprio quello principale.
La perdita del sito non lo è: solamente il 7% lo vive come un rischio.

Troppo tempo per il restore
Ancora: quando si verifica un’interruzione del servizio ci si mette troppo tempo a tornare attivi. Un’azienda su tre impiega almeno un giorno per il restore.

Questi dati vanno confrontati con il budget che mediamente le aziende europee destinano alle attività di disaster recovery: il 10% dello spending It.
Percentuale infruttuosa se questi sono i risultati.

Against the tape
E qui Emc punta il dito contro il nastro, ancora troppo presente nelle aziende. Dalla ricerca risulta che è utilizzato nel 40% dei casi per fare il backup.
Ma oltre a essere non allineato con l’efficienza consentita da funzioni come l’auto-tiering, costerebbe troppo: 74mila euro all’anno per spostare i dati (cifra che sale a 100mila per le aziende sopra i 3mila dipendenti) e 20mila euro all’anno per rimpiazzare nastri obsoleti.
Il moto a luogo dei nastri, ha rilevato la ricerca, è sempre una componente viva: viaggiano fra due siti, se non tre.
Alcuni addirittura se li portano a casa.
Troppo per dire che si fa disaster recovery in maniera strutturata.

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