Trasformare il data center per innovare il business

Forte dell’esperienza vissuta internamente con la riorganizzazione dei propri data center e dei notevoli vantaggi ottenuti, Hp sta spingendo presso i clienti affinché facciano altrettanto e sfruttino appieno le nuove tecnologie per rispondere in modo a …

Forte dell’esperienza vissuta internamente con la riorganizzazione dei propri data center e dei notevoli vantaggi ottenuti, Hp sta spingendo presso i clienti affinché facciano altrettanto e sfruttino appieno le nuove tecnologie per rispondere in modo agile e più economico alle esigenze del business aziendale.

La società ha quindi trasferito tutto il know how acquisito alla propria divisione Data Center Transformation, che «rappresenta il cuore di questo processo, – ci spiega Vinicio De Luca, practice principal Data Center Transformation, dell’area Technology Services di Hp in Italia -. Infatti già qualche anno fa, per nostro uso interno, abbiamo realizzato quelli che chiamiamo Next Generation Data Center, termine chiaramente evocativo di un’evoluzione forte, e abbiamo lavorato su tante dimensioni, compiendo una serie di passi concreti, anche in modo discontinuo rispetto alla tecnologia che utilizzavamo prima, in quanto ci siamo spostati a volte di più ordini di grandezza in fatto di innovazione. Questo ci ha consentito di verificare che il cambiamento ha portato un aumento del business per l’azienda. A suo tempo è stato attivato anche un processo di autocritica, in quanto siamo partiti da un’analisi dei costi, dei ritorni e dei benefici dell’It e abbiamo capito che c’erano i presupposti per migliorare in modo significativo la situazione. Il notevole saving ottenuto è stato utilizzato in maggiori investimenti in ricerca e sviluppo».

Per cui nell’affrontare un progetto di trasformazione con un cliente, come sottolinea De Luca, è importante definire dove vuole arrivare, per aiutarlo a capire in quali aree avrà un ritorno dell’investimento. Questo, tuttavia, è un passo che non sempre le grandi realtà, a causa della complessità della loro attività, sono preparate a fare. Infatti, non sempre è garantito che le loro iniziative portino un Roi, in quanto ci sono delle trasformazioni tecnologiche che necessitano di un deciso cambio culturale per essere avviate.

«La virtualizzazione, in questo momento, è molto attraente, perché consente di sfruttare meglio i sistemi, però ha anche la capacità di creare ambienti da mettere in comune, fatto questo che aumenta la difficoltà di gestione. Quindi, se si pensa a un ambiente virtualizzato comune, tipicamente legato alle linee di business, questo approccio non è visto di buon occhio dai responsabili delle varie divisioni, perché sono abituati a gestirsi in modo autonomo la propria area It. Questa è una rigidità di mentalità che viene dall’informatica precedente, che non è facile da abbattere. Invece, passare a un ambiente condiviso permette di avere risorse in più in un momento di bisogno. Ma se questo concetto non viene trasmesso in modo pervasivo in azienda, si rischia di non beneficiare delle nuove tecnologie, perché da sole non bastano. In molti casi, nel nostro lavoro, bisogna essere anche un po’ psicologi per comprendere fino in fondo tutte le difficoltà che i clienti hanno, che sono complesse e dove la tecnologia è solo una parte del problema».

Il data center, una volta trasformato, rimane il cuore informatico dell’azienda, ma quello che di conseguenza deve cambiare è l’approccio al business: infatti, il cliente deve imparare a sfruttare in modo nuovo le capacità e i servizi che il nuovo data center offre, in quanto l’esigenza di una maggior apertura e un continuo dialogo su Internet stanno sempre più rendendo disponibili componenti che possono essere utlizzati in modo più intelligente di prima, come per esempio i servizi pacchettizzati. Per cui le funzioni It devono fare i conti con la realtà fisica tecnologica che continua a crescere e dall’altra con il concetto di servizio al business che si sposta sempre più su una realtà distribuita, in cui rientra anche il cloud computing. «Per esempio, c’è una componente del green It che può essere considerata modaiola – spiega De Luca – però quella relativa al risparmio energetico è una tematica su cui da anni Hp è impegnata e che ha affrontato con un approccio innovativo sul fronte dei prodotti hardware e software. Infatti, internamente abbiamo introdotto delle metriche che valutano le performance a Watt, inoltre cerchiamo di miniaturizzare sempre più i sistemi per risparmiare spazio, ma con capacità elaborative in aumento. Dall’esperienza diretta di Hp e da tutte le valutazioni fatte dagli analisti, è emerso che circa il 60% dei costi dell’energia elettrica di un data center è spesa per il raffreddamento, per cui abbiamo introdotto dei sistemi efficienti sulla parte del raffreddamento. Di solito il data center è sovra raffreddato, in quanto spesso quando si entra in questi ambienti si sente freddo e questo vuol dire che si sta sprecando energia, perché sono i sistemi che vanno raffreddati e non tutto l’ambiente. Per cui noi forniamo servizi di analisi mirate e poi, al di là dell’offerta di sistemi blade, con le ventole disegnate secondo i brevetti della Nasa, per cui viaggiano a velocità più basse per consumare meno e si raffreddano più facilmente, offriamo sistemi di raffreddamento che sono modulari e agiscono là dove serve e quando serve. E questa non è un’attività invasiva, perché servono sensori da mettere sul rack, collocati a tre diversi livelli per analizzare meglio la turbolenza dell’aria, e poi si interviene sui sistemi di condizionamento, dove c’è una logica che acquisisce i dati e di conseguenza comanda le unità di raffreddamento. Con il progetto, quindi, presentiamo dei modelli di costo dove evidenziamo i possibili risparmi che ne derivano».

Diversamente, se manca lo spazio per riorganizzare i data center, la soluzione migliore è quella di andare in outsourcing e in proposito Hp ha realizzato dei data center per i clienti in Europa, costruiti con l’approccio Next Generation, che hanno grande flessibilità e facilità di erogazione del servizio, anche in un’ottica di business continuity e disaster recovery.

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