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Una tassa globale del 15% per multinazionali e Big Tech

Un’aliquota globale di almeno il 15% da applicare in ogni Paese in cui una multinazionale opera, e una tassa da esigere ovunque, non più solamente dove la stessa multinazionale decide di avere il suo domicilio fiscale.

Questo è lo storico accordo emerso dal G7 di Londra del 5 giugno, che ha come obiettivo le multinazionali tutte, ma in cui molti vi leggono i nomi delle Big Tech: Amazon, Apple, Google, Facebook, Microsoft.

Abbinata alla misura globale del 15%, infatti, si staglia quella che viene definita come anti-elusione, con l’imposizione di una tassa sul 20% degli utili oltre la soglia del 10% del profitto, un importo da riallocare nei Paesi in cui le multinazionali effettuano le proprie vendite.

Al momento si tratta di un desiderata, perché, seppur condiviso dai sette grandi (fra cui l’Italia), per diventare produttivo l’accordo necessita di acquisire maggiore consenso.

E lo farà a breve, durante il prossimo G20 che si terrà proprio in Italia, a Venezia, dal 7 all’11 luglio.

La tassa per le grandi aziende uscita da un G7 con i ministri finanziari (per l’Italia era presente Daniele Franco, all’esordio in questo genere di consessi) dominato dalla personalità dell’ex presidente della Fed e nuova segretaria al Tesoro dell’amministrazione USA, Janet Yellen, sarà destinata quindi a far pagare di più le Big Tech e tutte quelle aziende che hanno prosperato durante la pandemia e a garantire risorse ai Paesi che devono sostenere la ripresa post-Covid.

Tutte d’accordo le grandi cariche: la tassa è un grande risultato tutt’altro che scontato per il Commissario europeo per l’economia Paolo Gentiloni e “un passo storico verso una maggiore equità fiscale“, per il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi.

Ma quanto servirà per vedere all’opera questa tassa? Anni, sicuramente, al netto di tutti i prevedibili incidenti di percorso che potrebbero modificarne entità e applicabilità.

Come detto, l’accordo dei sette grandi va dapprima ratificato dal G20 (a cui partecipano, non dimentichiamolo, Cina e Russia).

Dopodiché dovrà passare presso i parlamenti dei singoli paesi, anche e soprattutto quelli in cui le tassazioni agevolate per le multinazionali sono la leva principale per il sostegno economico. Basti citare l’Irlanda e l’Ungheria, che applicano una corporate tax del 12,5%.

Ma anche in Svizzera, dove già ci si interroga se a fronte di una tassazione minima globale le multinazionali saranno propense ad avere le proprie rappresentanze a Zurigo o Ginevra, e consegentemente accettare di pagare gli alti stipendi che notoriamente caratterizzano il rapporto di lavoro elvetico.

Una tassa non solo per le Big Tech

Il target più evidente dell’aliquota globale minima e di una tassa sui guadagni da reinvestire sul territorio, si diceva, sono le Big Tech, note per avere da sempre un rapporto vivace con i ministeri delle finanze, quantomeno dei paesi europei, nel senso sia delle condizioni avverse sia di quelle di favore.

Fra i primi commenti all’accordo di Londra, infatti, vi è quello del ministro delle finanze irlandese, che rivendica l’utilizzo della leva fiscale come strumento di legittima concorrenza.

Pronuba una tassazione agevolate, la verde Irlanda è una delle case preferite dalle Big Tech americane sin dalla fine degli anni 90, quando vi insediarono i primi centri di supporto e di localizzazione dei prodotti.

Ma si riscontra anche una sostanziale “non opposizione” da parte delle Big Tech, che, riportano le agenzie, vedono con favore “un accordo equilibrato e una stabilità duratura per il sistema fiscale globale”.

Una posizione attendista, non ostile, anche perché non conviene che lo sia, dal momento in cui l’amministrazione (Joe Biden) della maggiore potenza mondiale avrebbe preferito un’aliquota globale del 21%.

Ma anche perché le Big Tech sanno che le multinazionali non si riducono solamente a quelle che “producono” tecnologia.

Vi sono anche quelle del comparto estrattivo e del pharma, tanto per citare due settori che hanno avuto e hanno un ruolo cardine nell’era della pandemia.

I soggetti interessati dalla nuova tassazione glbale, in sostanza, sono molti di più di quelli che appaiono a tutta prima.

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