Tante idee per innovare

Da Smau, opinioni e strategie per far sì che a breve si possa “vendere” qualcosa di nuovo. Che non deve essere per forza un prodotto

Esistono tanti modi di dire innovazione. Lo abbiamo appurato durante l’edizione 2006 di Smau, incontrando parecchi responsabili di società italiane e non che hanno aderito all’appello degli organizzatori della fiera milanese a costruire una kermesse in cui si potesse parlare la lingua del business innovativo.

Ma lo abbiamo anche fatto con quei responsabili tecnologici che non hanno seguito la linea della partecipazione, eppure sono perfettamente consapevoli che il percorso dell’innovazione è forse l’unico che ha la capacità di tenere in linea di galleggiamento la nostra economia. Si è parlato di innovazione tecnologica, di prodotto, di soluzione, di azienda, di percorso di business. E ne è emerso un quadro in cui l’innovazione ha varie sfaccettature, con qualcuna dominante, per dimensione e peso. Che l’innovazione non significhi semplicemente “un prodotto nuovo” è convinzione comune, anche se qualcuno tiene a sottolineare il peso e il ruolo degli investimenti in ricerca e sviluppo.

Smau, incontrando parecchi responsabili di società italiane e non che hanno aderito all’appello degli organizzatori della fiera milanese a costruire una kermesse in cui si potesse parlare la lingua del business innovativo.

Ma lo abbiamo anche fatto con quei responsabili tecnologici che non hanno seguito la linea della partecipazione, eppure sono perfettamente consapevoli che il percorso dell’innovazione è forse l’unico che ha la capacità di tenere in linea di galleggiamento la nostra economia. Si è parlato di innovazione tecnologica, di prodotto, di soluzione, di azienda, di percorso di business. E ne è emerso un quadro in cui l’innovazione ha varie sfaccettature, con qualcuna dominante, per dimensione e peso. Che l’innovazione non significhi semplicemente “un prodotto nuovo” è convinzione comune, anche se qualcuno tiene a sottolineare il peso e il ruolo degli investimenti in ricerca e sviluppo.

Come Ferdinando Salafia, responsabile della divisione Office di Xerox, che ricorda come l’azienda per la quale lavora “non solo destina il 6% del fatturato proprio alle attività di ricerca e sviluppo, ma ha creato dei centri di eccellenza, come quello di Grenoble, nei quali lo sviluppo dei nuovi prodotti va di pari passo con lo studio del rapporto uomo-macchina in un’ottica di ottimizzazione». Ma questa è l’innovazione che poi deve arrivare al mercato e che dal mercato deve essere percepita nella giusta ottica. E declinata nella giusta accezione. Come quella dell’efficientismo.

Per molti interlocutori, dire innovazione è dire efficienza delle strutture produttive, ossia ottimizzazione della gestione, ossia, alla fine dei fatti, razionalizzazione dei costi, nel senso della loro riduzione. Questa è una visione, legittima e realistica, del percorso evolutivo in cui si trova attualmente impegnata l’azienda italiana oggi.


E che il cambio di direzione sia importante, lo sottolinea bene Vieri Chiti, direttore Microsoft Business Solutions Group Business Marketing Organization «In passato si è pensato di sviluppare tecnologie che fossero funzionali, in astratto, al business dell’azienda, trascurando l’elemento chiave di qualsiasi organizzazione, ovvero le persone ». Ecco perché le nuove applicazioni devono essere sviluppate in modo che il loro utilizzo sia più facile, rompendo le resistenze all’innovazione applicativa che ancora affliggono alcune realtà, specie le Pmi.

E in questo percorso evolutivo uno spazio nuovo spetta all’esternalizzazione. Non che di outsourcing non si parli più, semplicemente lo si veste di un significato nuovo, che toglie alle aziende che ne fanno ricorso quella sensazione di privazione che il portare all’esterno la titolarità di alcuni processi ha di fatto sempre comportato. Secondo Giorgio Merli, responsabile consulenza di direzione di Ibm Italia: «Nel medio termine diventa importante ripensare la catena del valore, soprattutto nelle Pmi, realtà che non possono fare tutto all’interno e devono, quindi, procedere a una specializzazione, delegando all’esterno tutto quello che non è core business ».

Fondamentale è optare per un’apertura all’esterno, che in termini tecnologici significa anche usare logiche open a tutti i livelli. «Qui – ha puntualizzato Merli – le associazioni possono giocare un ruolo fondamentale, supportando nello sviluppo di nuovi modelli di business, magari orientati all’outsourcing di servizi messi a fattor comune tra tutti gli appartenenti a una filiera, o a un unico distretto, attraverso tecnologie abilitanti come le Soa».

La stessa logica viene abbracciata da Ombretta Comi, marketing manager di McAfee in Italia, che traduce questa istanza in una forte spinta sui servizi gestiti, l’unica strada, a detta dell’azienda, che consente anche alle aziende di piccole e medie dimensioni di garantirsi servizi di sicurezza di qualità a costi sostenibili, senza dover destinare tempo e risorse a qualcosa che è funzionale al core business.

«Certamente la sicurezza continua a rappresentare una delle linee principali di investimento per le imprese. Ci sono delle necessità interne, che nascono dalla consapevolezza della strategicità del dato e della sua salvaguardia. Esistono delle pressioni esterne, come la legge 197, che impongono degli interventi di tipo strutturale. La strada dei servizi gestiti è quella che consente di dare risposte adeguate a queste necessità, con oneri limitati».

Ed è chiaro che in questo contesto il ruolo degli operatori di canale ritorna prepotente in scena. Non solo come abilitatori, bensì in un’ottica di relazione di lungo termine e di ampio respiro. Lo dice in modo chiaro Renato Cosenza, responsabile dell’area Cad di Tech Data, che non si limita a parlare di approccio consulenziale, ma delinea business plan su base triennale, con tanto di attività di supporto, «incluso un architetto nel nostro staff, in grado di affrontare determinate tematiche che una certa tipologia di rivenditore non è in grado di gestire autonomamente ».

E il crescere insieme elevato a leit motiv. Identico l’approccio di Apc, il cui amministratore delegato Fabio Bruschi parla di «reti di partner con i quali disegnare progetti completi in un’ottica di totale responsabilità, mettendo in tal modo gli utenti finali nella condizione di concentrarsi sul loro core business, sicuri della robustezza del loro sistema informativo». A conti fatti, è possibile ricondurre tutte le visioni sull’innovazione a un filo conduttore, magari un po’ articolato, ma evidente: valorizzare i valori; mettere a frutto i benefici dell’ecosistema; mettersi in rete sfruttando le opportunità dell’open source; capacità dinamica di adattamento; un percorso culturale; coraggio; permeare l’azienda con l’It; arte di costruire; ampliare la facilità d’uso delle strutture; quotidianità; una scommessa; coraggio di selezionare gli investimenti; mettere insieme più cose in un modo nuovo; cambiare mentalità; saper ascoltare i clienti.

E, magari, aspettare con fiducia Windows Vista e Office 2007. Questo lo dice Flavio Pozzi, responsabile commerciale di Lenovo, il quale ritiene che il mercato sia pronto a conoscere una “second wave”. «Gli indicatori ci sono tutti e le motivazioni anche. Vista, in primo luogo, ma anche tutto quanto si muove intorno al dual core. Il nostro mondo sta andando sempre più velocemente. In Vista ci sono una serie di funzionalità, sicurezza in primis, che possono favorire e incoraggiare la migrazione. Migrazione peraltro resa molto più semplice di quanto non lo fosse in passato con le precedenti versioni del sistema operativo.

Se poi si considera che i sistemi adottati dalle imprese richiedono prestazioni sempre maggiori, è chiaro che le aziende sono oggi nella condizione di guardare con maggiore interesse a un rinnovo del parco. Facilitato, non va taciuto, dalla compressione sui prezzi».

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