Tagli in Ibm, dalle parole ai fatti

La macchina per ridurre i costi ed eliminare le ridondanze professionali è ormai in moto. Se ne sono accorti 5mila dipendenti del colosso americano impiegati in almeno una dozzina di stabilimenti negli Stati Uniti

4 giugno 2002 A due settimane
dall’annunciato piano di riduzione del personale e di consolidamento delle
operation, sono circa 5mila i dipendenti statunitensi lasciati a casa da Ibm.
Tra questi, mille proverrebbero dalla divisione dedicata ai server, un centinaio
dall’area finanza, 300 da quella storage, 700 dall’area software, 360
dall’headquarter e oltre 2.000 dalla divisione Global Services, la più grande, e
forse rappresentativa, business unit di Big Blue.
Fra gli stabilimenti colpiti dal provvedimento, Burlington, nel Vermont, Dallas e Austin, in Texas, Southbury, nel
Connecticut, Charlotte e Raleigh, nel Nord Carolina, Rochester, nel Minnesota,
East Fishkill e Poughkeepsie, nello stato di New York, Boulder, in Colorado, San
Jose, in California e Beaverton, nell’Oregon. 
Lo
scopo, ribilanciare gli skill ed eliminare le posizioni professionali
ridondanti, anche se il colosso statunitense sottolinea come alcune delle
divisioni coinvolte dal provvedimento in atto abbiano comunque beneficiato, in
quest’ultimo anno, di una serie di nuove assunzioni. Intanto, però, i 15mila
licenziamenti palesati dal Ceo di Big Blue, Sam Palmisano, per rientrare dai
costi e dalla negativa tendenza registrata al termine del primo trimestre del
nuovo anno fiscale, paiono sempre più reali.

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