Smaltimento e riciclo: chi più spende…

Per ogni tipo di rifiuto esiste un trattamento diverso. Ecco i consigli per avere le carte in regola e guardarsi dai rischi

La direttiva europea, proposta dalla Commissione Europea e all’esame del Parlamento, ha definito un obiettivo minimo di raccolta di rifiuti tecnologici procapite. Ogni cittadino dovrà raccogliere in maniera differenziata e avviare al riciclo/smaltimento eco-compatibile, almeno 4 chilogrammi di apparecchiature elettriche ed elettroniche.

Le sostanze pericolose

“Diciamo innanzitutto che i rifiuti solidi urbani (Rsu) sono quelli quotidiani per i quali i cittadini e le imprese pagano una tassa (la Tarsu), e per il cui ritiro, smaltimento (o riciclo) provvede il Comune, l’azienda municipalizzata o la ditta appaltante – ci spiega Stefano Apuzzo, portavoce del consorzio Ecoqual’It -. I rifiuti speciali si dividono tra pericolosi e non pericolosi e necessitano di un trattamento differenziato.
È vero che pc, periferiche, apparecchiature hi-tech in generale e cartucce toner esauste, rientrano nella categoria rifiuti speciali non pericolosi, però contengono anche alcune sostanze pericolose, che vanno “bonificate” a norma di legge, ovvero raccolte ed avviate a recupero o smaltimento differenziato”.
Nei monitor, ad esempio, abbiamo il tubo catodico che contiene piombo e altri metalli pesanti pericolosi. Questi metalli vanno separati dal vetro, che, così bonificato, può essere avviato a riciclo. Nelle apparecchiature hardware datate vi sono anche dei condensatori che contengono oli contaminanti.
Le fotocopiatrici di vecchia generazione contengono rulli e tamburi al selenio, arsenico e alluminio, tutte sostanze estremamente pericolose per la salute e per l’ambiente. I residui di polvere di toner nei contenitori cartuccia devono essere recuperati, prima di procedere alla rifabbricazione della cartuccia o alla sua scomposizione in metallo e plastica da recupero.

Attenzione agli operatori

“Molti operatori triturano tutto senza valutare i rischi per la salute umana, per l’ambiente e per le falde acquifere che vengono avvelenate – specifica Apuzzo -. Gli operatori che gestiscono senza scrupolo i rifiuti speciali, sono in grado di offrire alle imprese prezzi inverosimili: attenzione, il risparmio è solo un’illusione temporanea”.
Secondo Apuzzo, se, come accade sempre più spesso, un controllo della Polizia Giudiziaria dovesse accertare che i rifiuti smaltiti “allegramente” hanno un proprietario (l’azienda che se ne è disfatta), l’amministratore delegato rischia pesantemente.
“Per intenderci, aziende di trattamento e smaltimento che offrono il servizio a 600 oppure 800 lire al chilo per i rifiuti speciali e tecnologici non sono credibili – assicura Apuzzo -. Con questi costi non è possibile procedere al corretto smaltimento dei beni e alla messa in sicurezza delle sostanze pericolose. Le conseguenze saranno di avere terra, aria, acqua e cibi avvelenati per secoli”.

Le sanzioni previste dalla normativa

Il “decreto Ronchi” del 1997 prevede sanzioni amministrative, economiche e penali molto pesanti. È anche previsto un aumento delle sanzioni e delle pene se chi viola la normativa sui rifiuti è titolare di impresa e ha quindi agito a scopo economico-commerciale. (A questo proposito citiamo il “Vademecum Hi-tech & ambiente”, Edizioni Ecoqual’It, dove è pubblicata anche la tabella delle sanzioni).
“Non bisogna fidarsi dei prezzi troppo bassi – prosegue Apuzzo -, bisogna pretendere che l’impresa sia autorizzata, certificata o perlomeno qualificata da Associazioni di impresa (quelle che fanno capo a Confcommercio o a Confindustria). A tal proposito ricordo il Progetto EcoTech in corso tra Ecoqual’It e la Regione Lombardia per qualificare i gestori del fine vita dei rifiuti hi-tech. Oggi iniziamo ad avere un elenco di gestori qualificati ampio e garantito”. Il cliente, dunque, deve pretendere dal gestore del fine vita di conoscere la destinazione finale di ogni tipologia di beni consegnata e delle parti di questi, chiedendo di privilegiare il recupero e il riciclaggio rispetto allo smaltimento (in discarica o all’incenerimento). Esistono poi certificazioni di sistema di qualità, le Iso 9000, e di miglioramento continuo delle performance ambientali, la Iso 14.001. I siti produttivi e gli impianti possono essere anche certificati Emas, un sistema ancor più vincolante e impegnativo che, per molte imprese, al momento, è forse troppo oneroso dal punto di vista economico. Anche per questa ragione sorgono spontanee iniziative di qualificazione volontaria di Associazioni di Impresa (vedi box).

Chi inquina paga

“Il “decreto Ronchi” sui rifiuti, al pari delle altre direttive europee, sancisce il principio “Chi inquina paga” – ci spiega Apuzzo -, ma offre anche alle imprese la possibilità della “concertazione” con gli accordi di programma”.
Gli accordi di programma sono dei contratti che il ministero dell’Ambiente stipula con le imprese e con le associazioni di categoria al fine di promuovere e favorire l’utilizzo di sistemi eco-label e di eco-audit, e di attuare programmi di riutilizzo delle materie prime dei beni di consumo. “Il settore dell’It e dell’hi-tech in generale, dal 1997 non ha ancora stipulato un solo accordo di programma con il ministero dell’Ambiente – continua Apuzzo -, fatto salvo l’accordo per il recupero delle macchine fotografiche “usa e getta”. Il comparto tecnologico, pur tra i primi per quantità e crescita e per pericolosità per la salute e l’ambiente dei propri rifiuti, non è stato protagonista nel definire puntuali politiche di recupero dei beni a fine vita”. Una eccezione però è l’imminente firma dell’accordo di programma per il recupero delle cartucce toner a fine vita con la spedizione postale gratuita per il cliente”. Il testo è stato definito dagli esperti del consorzio Ecoqual’It con l’Ente Poste, il ministero dell’Ambiente e l’osservatorio nazionale dei rifiuti. Tale accordo si propone di aprire la strada ad altre iniziative come quella per il recupero dei beni durevoli informatici a fine vita. “L’accordo di programma sulle cartucce toner consentirà all’acquirente domestico la spedizione della cartuccia esausta nella confezione della cartuccia nuova, applicando un semplice adesivo e consegnando il pacchetto all’ufficio postale”. Nessun onere per il cliente perché le spese di spedizione verranno pagate dai produttori, i quali decideranno l’indirizzo di recapito delle cartucce esauste, provvedendo al loro recupero, riciclo o rifabbricazione. Questa operazione consentirà di alleggerire discariche e forni inceneritori, ma anche di sottrarre dal mercato illecito delle falsificazioni alcune tonnellate di contenitori con marchi originali. A causa del mercato dei consumabili falsi i produttori perdono circa 100 miliardi l’anno. L’accordo prevede la spedizione di pacchi postali entro i 5 chili e soltanto per le utenze domestiche. Per i grossi utenti, come banche e imprese, bisognerà defini-
re appositi accordi per il ritiro/recupero con i fornitori e i dealer. Qualcuno ha un’idea in proposito?

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