Siccome il 2006 dovrebbe essere l’anno della Cina…

Gennaio 2006, Il momento è quello giusto. Il 2006 è, almeno nella mente dei nostri politici, l’anno di Italia/Cina. Detta così parrebbe solamente una sorta di partita a calcio dove gli avversari solo all’inizio si stringono la mano …

Gennaio 2006, Il momento è quello giusto. Il 2006 è, almeno nella mente
dei nostri politici, l’anno di Italia/Cina. Detta così parrebbe
solamente una sorta di partita a calcio dove gli avversari solo all’inizio
si stringono la mano. Ma la realtà è diversa. L’Italia
sa di essere molto indietro nella "materia cinese". E tenta
di recuperare. La preparazione è stata lenta, ma a quanto pare
– finalmente – si dovrebbero/potrebbero trovare una serie di appoggi per
lavorare concretamente anche nell’orizzonte cinese. Lo abbiamo riscontrato
anche nel settore dell’Ict: si va in Cina perché il business
c’è.

E là si può lavorare seguendo le aziende
italiane che si sono allargate in quei territori, oppure cogliendo nuove
opportunità. A partire dai bisogni dei nuovi ricchi che vivono
nelle più evolute città cinesi e che aumentano del 12% ogni
anno. Ma non solo: l’interesse delle aziende cinesi nei confronti
delle realtà occidentali è ormai un dato di fatto e si parla
di un budget per "nuovi acquisti" pari a 30 miliardi di dollari
anno su anno.

Nell’It ha fatto storia Lenovo che ha inglobato gli impianti produttivi
di Ibm, ma non è da dimenticare che nel 2004 anche Alcatel aveva
ceduto ai cinesi la divisione che produceva i telefonini. Profumi (la
catena francese Marrionnaud è diventata proprietà della
Asw la scorsa primavera), automotive (si parla della Rover controllata
al 70%, ma anche di possibili affari tra Fiat e Saic) e petrolio sono
solo alcuni dei comparti presi di mira. In questo approfondimento dedicato
a uno dei Paesi orientali più paradossali del momento (sempre che
gli altri non ne abbiano a male) cerchiamo di esplorare possibili contatti
e aree di confronto, senza dimenticare che da praticamente da quando è
nata l’Hi-tech, Taiwan – che comunque è Cina – è sinonimo
di affari. Per loro, ma anche per noi.

Ciò detto, non ci stanchiamo di ribadire che, in Cina bisogna arrivarci
profondamente preparati, con la giusta presenza, senza prosopopea europea
e con il giusto tatto, soprattutto nei confronti di tradizioni millenarie
che ancora, malgrado l’imperialismo, il comunismo e il nuovo capitalismo,
esistono.

Ma per questo domando: quante di quelle aziende che stanno pianificando
di lavorare in Cina, con la Cina e per la Cina hanno già assunto
– o prevedono di farlo – un o una cinese? Le forze di lavoro "specializzate"
non mancano e a Treviso è già partito un master organizzato
da Unindustria, Fondazione Cassamarca e università Ca’ Foscari
che ha accolto diversi universitari con gli occhi a mandorla per prepararli
a conoscere i nostri modi e le nostre mode di business. Il Nord Est risponde
così alla sfida cinese. Perché "collaborare"
è meglio che combattere.

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