Pmi ed e-marketplace, un connubio che sa di buono

Lo sostengono i diversi attori del mercato che hanno partecipato alla 3° conferenza europea sugli eMarkets, dove il tema dominate è stato il rapporto fra e-business e Pmi nei processi di internazionalizzazione

18 novembre 2002 Cresce l’interesse nei confronti dei mercati virtuali all’interno dei quali le aziende di tutto il mondo s’incontrano per scambiarsi prodotti e/o servizi. La conferma arriva dalla terza conferenza europea sugli eMarkets, dove il tema dominante è stato il rapporto fra e-business e Piccole e Medie Imprese nei processi di internazionalizzazione.
All’interno dell’evento, organizzato dall’Istituto Nazionale per il Commercio Estero (Ice), in collaborazione con i Paesi partner del progetto eMarket Services e il co-finanziamento della Commissione Europea, si è parlato di marketplace virtuali, di politiche europee a supporto dell’e-business e delle esperienze in atto in alcuni Paesi del Vecchio continente. Sulle seconde, in particolare, è intervenuto Paul Timmers, membro della Commissione Europea di Cabinet Information Society, che ha sottolineato come le iniziative a favore dell’e-business, dal ’95-’96 a oggi, siano strettamente correlate al settore degli acquisti online, il cosiddetto e-commerce, più di tipo B2B che B2C, a dire il vero. Intorno a questo, ancora una volta, ruota la promozione di iniziative a favore di concorrenza, innovazione, imprenditorialità e regolamentazione. «Senza per questo sostenere che occorre legiferare oltre – ha puntualizzato Timmers – . L’esistente è più che sufficiente e va applicato».

Il perché è
presto detto: per vincere la sfida della produttività – nella quale il gap fra
Europa e Stati Uniti pende decisamente a favore di quest’ultimi – occorre creare nuovi mercati. Come? Attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie all’interno della Rete. Ma perché ciò avvenga occorre comprendere il ruolo delle tecnologie nei diversi settori del mercato, «Perché – come ha evidenziato Timmers – non è affatto automatico che investire in It significhi aumentare la produttività. Occorre riorganizzare l’intera struttura, aumentare le competenze del personale, riqualificarlo e investire in ricerca e sviluppo. In una parola: innovarsi». Ed ecco che alla ribalta tornano, allora, tematiche come: banda larga, telefonia di terza generazione e piattaforme digitali. Elementi sui quali basare il risveglio dal lungo sonno per agire in concreto in settori come: e-Government, e-Health, e-Learning e e-Business.


Si capisce, allora come nella vicina Germania , già dal 1999, si è andato varando un piano d’innovazione per trasformare, da semplice scambio d’informazione a integrazione vera e propria, il processo che coinvolge fornitori e clienti via Internet. Il tutto discutendo forme legali d’incentivazione al cambiamento come la firma digitale; creando progetti pilota in comparti quali logistica e servizi al fine di incentivare l’accesso delle aziende a iniziative di e-business; promuovere la conoscenza e la diffusione delle stesse presso gli utenti; informare le Pmi delle nuove iniziative in atto. «Senza dimenticare – ha sottolineato Thoesten Wichmann, Ceo di Berleconche le
realtà imprenditoriali dipiccole e medie dimensioni non sono pronte a passare a forme elaborate di e-business, in quanto raramente sono in possesso di dati strutturati
».
Quasi a dire che le politiche di business elettronico sono importanti, ma che per funzionare devono adattarsi alle diverse realtà. E che più si è piccoli più aggregarsi in un marketplace conviene, come conviene acquistarvi, se è vero che a una maggiore concorrenza corrisponde una riduzione dei costi, sperando che la Pa sia in ascolto. Ma perché ciò avvenga occorre che i Governi si focalizzino su tematiche quali la sicurezza nei pagamenti online e l’efficienza logistica.

E l’Italia?
La conferenza sugli eMarkets è stata anche occasione per presentare i dati contenuti nell’European e-Business Survey, indagine realizzata su un campione di oltre 9mila aziende da e-Business W@tch, osservatorio permanente della Commissione. La stessa che assegna al Bel Paese un, di tutto rispetto, quarto posto nella classifica dei Paesi in Europa con il maggior numero di marketplace: ben 75, più al Nord che altrove, e solo nel 20% dei casi di tipo generalista. Davanti a noi, Uk, Paesi Scandinavi e Germania. I settori di maggior successo, quello
tessile e della pelle, in totale controtendenza rispetto al resto d’Europa, dove
questa tipologia di marketplace ha registrato il terzo più alto tasso di
fallimento.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome