Home Think tank Pmi, 45 consigli per fare la trasformazione digitale

Pmi, 45 consigli per fare la trasformazione digitale

A completamento della Tavola Rotonda Outlook 2018 organizzata da 01net abbiamo chiesto ai partecipanti di dare a un piccolo-medio imprenditore italiano un massimo di tre consigli di investimento o di orientamento per il 2018. Ecco cosa ci hanno detto. 

Francesco Mondora TeamsystemFrancesco Mondora, Ceo di Mondora, società di Teamsystem

La sicurezza dell’infrastruttura e la sicurezza applicativa riteniamo siano temi molto sentiti in questo momento. Bisogna costruire un sistema dove la security sia implementata by design senza però dimenticare la privacy, che deve essere anch’essa implementata by design. Questo è un altro tema piuttosto forte, ma ancora poco considerato. Tuttavia da maggio sarà obbligatorio considerarlo. Noi abbiamo un processo di sviluppo software di continuous delivery, perché non possiamo portare un applicativo in produzione se non abbiamo introdotto alcune pratiche di security by design.
Occorre anche pensare a un software che sia democraticizzato ovvero che non solo usi in modo democratico altro software ma che anche lui diventi democratico o che comunque in qualche modo sia espresso attraverso le Api con tutte le caratteristiche di servizio che deve avere, come sicurezza, privacy e così via. Il software che si andrà a implementare con tutta la tecnologia che sta dietro la microfattorizzazione diventerà un asset dell’azienda. Il fatto di rendere tutto il più possibile autonomo, quindi automatico, porterà l’organizzazione a impigrirsi un po’ in certi ambiti ma anche a essere più vivace in altri e quindi a capire qual è il business che deve seguire e a come innovarlo. Non bisogna preoccuparsi di sbagliare, ma l’importante è sbagliare presto in modo da poter impostare un processo di apprendimento.

 

Pietro Leo IBMPietro Leo, Italy Chief Scientist and Research Strategist di IBM

La tecnologia è sempre più parte del prodotto e del servizio, quindi del problema. Dobbiamo perciò chiederci se il Cio è equipaggiato culturalmente a sostenere la rapidità che la tecnologia comporta. È un gap culturale che dobbiamo capire tutti come far evolvere, sia nella piccola sia nella grande impresa. Il livello culturale dell’impresa e delle startup italiane è estremamente modesto. Bisogna trovare il modo per alimentare il sistema delle startup al fine di evitare che fuggano e che siano collegate al rinnovamento del prodotto-servizio.
Il punto fondamentale sono i settori micro verticali: qui occorre aiutare l’imprenditore e il Cio a capire come usare la tecnologia. Dovremmo trovare le figure adatte per riuscire a portare dei semilavorati in ciascuna industria.

 

Matteo Losi SapMatteo Losi, Head of Digital Awareness Office di Sap

Il primo asse di investimento per noi va nella direzione della semplificazione e dell’alleggerimento per l’impresa di tutto quanto riguarda il back-office. Va verso un’adozione sempre più completa di sistemi capaci di rendere più snello qualsiasi tipo di processo, di alleggerire il carico della gestione.
Un secondo punto è la capacità di estendere l’automatizzazione dei processi e raccogliere i dati anche verso la periferia. Occorre perciò abilitare la periferia dell’impresa e le reti a cui essa è collegata perché lì nascono le opportunità. Il mio consiglio è di pensare quali aree di investimento per le imprese non sono ancora perfettamente incanalate nei processi e nelle attività eseguite quotidianamente, guardando a un orizzonte di cinque o sei anni. Ci sono certamente mercati vicini che non sono visibili su cui però vale la pena investire. Le tecnologie digitali sono sicuramente un abilitatore perché permettono di fare un salto molto rapido. Trasformare un prodotto in un servizio non è più così complicato e la data driven economy aiuta.

 

Roberta Marchini LenovoRoberta Marchini, Technical Sales Manager di Lenovo

La trasformazione digitale è un dato di fatto e ogni azienda deve trovare la propria chiave. È fondamentale che l’It segua il business ma purtroppo non c’è una soluzione unica per tutti. C’è però anche un mondo legacy che deve continuare a funzionare. Per cui bisogna trovare il modo per trasformarsi, tenendo sempre presente l’apertura, evitando il lock-in. Bisogna cercare soluzioni aperte, software defined, ricordandosi però che non esiste una soluzione universale.

 

alberto dosi FujitsuAlberto Dosi, Head of Mis di Fujitsu Italia

Oltre a doversi integrare con il back-end, oggi l’innovazione ha successo se ha un business case che permette un ritorno dell’investimento, quindi deve essere user case driven. Continuare o iniziare l’adozione del cloud credo sia un trend assodato. E non credo che l’adozione del cloud possa avvenire senza che ci sia una trasformazione applicativa. Bisogna iniziare il percorso di adozione di un’architettura di micro servizi il che vuol dire che si devono rappresentare i modelli in asse digitale. A questo collegherei tutta la parte di automazione che è fondamentale per tutti i processi di service continuity. Il terzo ambito è quello della user experience e digital workplace. Suggerirei un investimento sul versante end user, mettendosi però dalla parte dell’utente finale.

 

Alberto Bastianon Dell EMCAlberto Bastianon, pre-sales manager di Dell EMC

Il primo punto che vorrei evidenziare è che occorre tornare a investire avendo ben chiaro il progetto strategico di prodotto o servizio che si vuole portare sul mercato.
Secondo punto: mantenere il controllo delle scelte fatte. Oggi sono sempre più rapidi i tempi di reazione, la necessità di adattarsi a contesti che probabilmente facciamo anche fatica a immaginare, la necessità di integrare nella quotidianità strumenti, realtà, opportunità, possibilità di difficile previsione. Bisogna avere un controllo su quello che si vuole fare e la capacità di farlo, circondandosi di persone in grado di farlo. Bisogna poi saper governare l’errore e riuscire a “contenerlo” in tempi che non siano catastrofici per gli effetti, ma che consentano di imparare e migliorare.
Il terzo ambito che ritengo sarà sempre più importante è investire sulle persone e sulle competenze sia interne sia esterne, sia in chi lavora in azienda sia in chi è destinatario del lavoro, ovvero l’utente finale.

 

Fausto Massa MicrosoftFausto Massa, Cloud Architect Lead di Microsoft

People, process and product: secondo me sono tre direttrici molto importanti di investimento. People in termini di inclusività. C’è un capitale umano in azienda e solitamente non lo si sfrutta a sufficienza. Quindi la tecnologia, i digital officer e i technology officer hanno il dovere di attivare progetti con l’aiuto dei partner e dei system integrator per efficientare le competenze del capitale umano in tema di accessibilità e inclusività.
La formazione e anche l’inclusione dei millennial e dei post millennial sono fondamentali per dare delle idee fresche soprattutto in un’economia fatta anche di platform, cloud, di unione di piattaforme e di business diversi.
Process non è solo il processo produttivo ma anche rivedere la filosofia dell’investimento. Capitalizzare sui corretti asset aziendali piuttosto che rivedere un processo perché è un problema di mercato.

Product perché il mio prodotto probabilmente non è più il mio tratto distintivo ma è diventato una commodity.

 

Edoardo Schepis Red HatEdoardo Schepis, Solutions Architects Manager, Head of Presales di Red Hat

Nella Pmi l’approccio ha predetto l’idea che tutto deve essere una proprietà chiusa nei laboratori e l’innovazione viene dal lavoro dei laboratori. Questo non è un approccio da applicare a tutti gli ambiti dell’It, è sicuramente un fattore differenziante ma c’è tanto fuori da sfruttare. Io consiglierei di creare una comunità su cui lavorare insieme per distretto e per mercato, mettendo a fattor comune lo sviluppo di nuovi paradigmi applicativi, nuovi use case (anche con i concorrenti) per condividere l’esperienza. Questo aiuta anche ad attrarre talenti e a creare valore all’interno del distretto e del mercato di riferimento.
Occorre poi fare interazioni piccole, sperimentare, sbagliare prima possibile. Ma per fare questo non posso essere legato a strutture software o architetturali che mi impediscono di modificare la rotta, devo avere la possibilità di cambiare. Devo perciò poter disporre di software, infrastruttura e vendor che mi aiutino a cambiare idea, magari anche sostituendo un software che sto usando da solo un anno ma non è più adatto alle mie esigenze.

 

Giorgio Loddo CitrixGiorgio Loddo, Senior Sales Engineer di Citrix Systems

Il cloud non è solo potenza computazionale, ma centro servizi. Chi è passato al cloud ha modificato il modo di lavorare perché spostare le applicazioni, i data center su cloud permette di scollegare gli utenti dalle postazioni di lavoro e dagli uffici e può aiutare l’azienda a migliorare il business case.
Approcciare il cloud significa molto spesso delocalizzazione dei dati. Cambiare il modo di lavorare significa perdere il controllo delle timbrature o dei cartellini. La contestualità dell’accesso alle applicazioni da qualunque parte del pianeta deve essere regolata da un analytic che mi permetta di valutare da remoto il comportamento dei miei utenti.

 

Luigi Scappin OracleLuigi Scappin, Direttore Prevendite e Business Development Technology Business Unit di Oracle di Oracle

Il cloud mi aiuta perché se non va bene cambio e l’investimento è limitato. Si passa dall’uso di una statica e pachidermica suite applicativa alla dinamica e agile possibilità di costruire building blocks applicativi. Questa capacità di rivedere completamente i termini applicativi, di costruire qualcosa di dinamico, di provare cose, di fare mashing, di mettere insieme dei mattoni mi permette di essere altamente competitivo. E tali opportunità non sono disponibili solo per la grande industria. Anzi, a maggior ragione sono disponibili per realtà di piccole dimensioni, che le possono sfruttare in tempi più brevi perché non sono dotate di sistemi legacy che richiedono tempi biblici prima di essere smantellati.

 

Marco Tranquillin GoogleMarco Tranquillin, Technical Program Manager di Google

Il fulcro deve essere sempre il dato. il fatto che le aziende diventino sempre più data driven è fondamentale perché solamente tramite i dati e le informazioni le aziende riescono a capire cosa stanno facendo e dove vogliono andare.
A fronte di ciò, sto vedendo un processo a tre fasi. La prima è quella di investire sull’approvvigionamento del dato: è quindi necessario dotarsi di sistemi che permettano di raccogliere in modo strutturato il dato, sia che arrivi da applicativi sia da sensori o device. Il secondo step prevede di dotarsi di strumenti che permettano di leggere i dati su grande scala. Infine è necessario saper interpretare i dati. Per raggiungere questo risultato ho bisogno di persone che mi permettano di fare un passo in più, ovvero che mi consentano di comprendere l’informazione che sta dietro al dato e quindi di utilizzare nuove tecnologie, come per esempio il machine learning, per estrarre nuove funzionalità e nuovi significati all’interno del dato per automatizzare step che prima magari venivano eseguiti manualmente. Si tratta quindi di portare queste innovazioni dove in precedenza le attività erano eseguite esclusivamente da persone.

 

Rodolfo Rotondo VmWareRodolfo Rotondo, Senior Business Solution Strategist di Vmware

Dovendo fornire tre suggerimenti, considererei in primo luogo la capacità di realizzare una piattaforma che sia più aperta possibile e che consenta la massima indipendenza da altre piattaforme o fornitori. Che permetta di scegliere dove andare, di integrare piattaforme Sas, data center on premise o cloud pubblico. Siccome non c’è una soluzione univoca, la scelta dipende dal business case che c’è dietro.
Poi c’è l’adeguamento dei processi: cambia l’ambiente organizzativo, quindi devo riscrivere il mio modo di lavorare. L’It diventa un vero centro servizi che funge da punto di scambio altrimenti perde valore e per non perderlo deve essere lo snodo centrale di tutte le attività.
Da ultimo è fondamentale la parte di competenze: bisogna verificare (e sfruttare al meglio) quelle che si hanno già e cercare quelle che sono necessarie per colmare eventuali gap.
Tre aspetti che devono essere allineati perché se non lo sono la struttura non funziona e si perdono soldi.

 

Alessandro Salesi JuniperAlessandro Salesi, Senior Systems Engineering Manager di Juniper

È molto importante per la Pmi fare un security assesment perché permette di individuare eventuali falle e di far evolvere il percorso di sicurezza. Un altro tema per me molto caldo è quello del fast fail e del recover quickly. Purtroppo in Italia si tende a colpevolizzare le persone se sbagliano, invece è positivo sbagliare. Ci sono culture che incentivano l’errore: provare è l’unico modo per riuscire.
Un altro punto importante è pretendere soluzioni aperte perché questo ha il vantaggio di evitare il lock-in del vendor e di consentire l’integrazione di quanto di meglio c’è sul mercato.
Infine l’automazione diventa importante perché si fonda sulla sensoristica, quindi sulla telemetria, e questo permette di fare cose eccellenti perché il dato non è importante fino a quando non so cosa ci riesco a fare.

 

Fabio Sammartino Kaspersky LabFabio Sammartino Head of pre-sales di Kaspersky Lab

Dando per scontato che ci siano degli investimenti in cyber security, perché ormai anche la normativa lo prevede, il consiglio è di investire chiedendosi prima qual è il punto critico del proprio business. Sia di quello che ho già in piedi sia di quello che sto per lanciare. In questo senso, bisogna identificare chiaramente non solo l’infrastruttura It, ma anche il processo e le persone. E lì che va fatto l’investimento in cyber security perché è lì che colpirà chi vuole monetizzare un attacco.
Secondariamente, non si possono avere tutte le competenze in casa, soprattutto in una Pmi. Perciò bisogna affidarsi a persone competenti e scegliere attentamente le soluzioni, gli integratori o chi offre servizi It all’azienda per fare in modo che non siano un ulteriore veicolo di problemi in ambito cyber security.
Da ultimo, anche in cyber security occorre investire non solo sugli utenti che utilizzano i dispositivi ma anche sulle persone che gestiscono gli apparati. Bisogna inserire la cyber security in tutti i processi.

 

Roberto Chinelli AvanadeRoberto Chinelli, CTO e Digital BU Lead di Avanade

Il canale digitale e la trasformazione digitale, l’utilizzo di applicazioni e il supporto di un Cto possono permettere alla Pmi italiana di valorizzare le competenze core. Questo è quello che mi piacerebbe vedere nel nostro Paese nei prossimi anni. E non solo da parte delle startup che partono da zero ma anche delle imprese blasonate che per ragioni di crisi hanno perso la capacità di stare sul mercato, però hanno una competenza core che ha ancora un valore notevole.

1 COMMENTO

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