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Perché gli italiani non si fidano dei chatbot di vecchia generazione

Quattro italiani su dieci dichiarano di non sapere che cos’è un chatbot, l’86% sostiene di preferire il dialogo con un operatore umano mentre il 30% di chi non lo ha mai usato ammette di non averlo trovato sui siti che ha visitato: la scarsa diffusione del chatbot in Italia è dovuta alla presenza, sui siti delle aziende, di tecnologie di vecchia generazione che hanno generato negli utenti una percezione negativa. Nella classifica degli strumenti più utilizzati per dialogare con le aziende, infatti, il chatbot resta al terzo posto (47%) dopo email (73%) e call center (59%).

Tra gli aspetti che dissuadono maggiormente i consumatori dall’utilizzo, oltre alla preferenza per il dialogo (46%), c’è il timore di non essere capiti (44%) e di ricevere risposte non accurate (34%). Al tempo stesso circa il 50% degli italiani dichiara che sarebbe invogliato a utilizzare i chatbot se questi fossero più precisi, il 26% cerca nello strumento maggiore empatia, il 20% rapidità nelle risposte.

Le nuove generazioni guardano invece con ottimismo ai chatbot collegando questa tecnologia al progresso dell’intelligenza artificiale: il 55% di chi ha meno di 24 anni ammette che ChatGPT ha migliorato la percezione dei chatbot, mentre per il 64% degli under 24 l’intelligenza artificiale porterà progresso nella società.

Sono i dati emersi dall’indagine che indigo.ai, la startup parte del Gruppo Vedrai dal 2022, che aiuta le aziende più innovative a evolvere la propria customer experience grazie all’intelligenza artificiale conversazionale, ha commissionato a Dynata in occasione della partecipazione a Netcomm Forum, il 17 e 18 maggio 2023, evento punto di riferimento in Italia in materia di digital commerce e retail. Scopo dello studio è analizzare la percezione che i consumatori hanno dei chatbot, il gradimento di questa tecnologia come strumento per comunicare con i brand e i suoi sviluppi futuri.

Gianluca Maruzzella, Co-founder & CEO di indigo.ai
Gianluca Maruzzella, Co-founder & CEO di indigo.ai

“Dall’indagine di Dynata emerge un quadro in cui conoscenza, aspettativa e soddisfazione dei consumatori sono fattori strettamente connessi. Da un lato c’è una fascia di consumatori che non si è ancora approcciata al chatbot o che sconta esperienze di comunicazione con i brand frustranti, dovute a chatbot di vecchia generazione poco empatici. Soprattutto quest’ultimo aspetto ha contribuito ad alimentare negli ultimi anni una percezione negativa dell’AI applicata alla comunicazione aziendale”, dichiara Gianluca Maruzzella, Co-founder & CEO di indigo.ai. “Dall’altra ci sono le nuove generazioni che conoscono ChatGPT e guardano all’Intelligenza Artificiale come uno strumento parte del quotidiano: da utilizzatori già rodati di chatbot, sono maggiormente consapevoli del potenziale che può offrire un chatbot di nuova generazione che utilizza l’Intelligenza Artificiale”.

E aggiunge Maruzzella: “Le ultime frontiere dell’AI conversazionale ci consentono di entrare in una nuova era di progresso tecnologico a servizio del retail. Sono poche le aziende che hanno deciso di evolvere la propria customer experience grazie all’Intelligenza Artificiale e, di conseguenza, i consumatori devono ancora interfacciarsi con chatbot di nuova generazione. In tale contesto la sfida di indigo.ai è fornire chatbot sempre più intelligenti, dotati di avanzati modelli linguistici e delle tecnologie di AI generativa per migliorare il rapporto tra azienda e clienti, e trasformarli nel canale privilegiato di dialogo”.

Poco più di un italiano su dieci dialoga con il chatbot. Tra la conversazione con il chatbot e quella con un essere umano, gli italiani non hanno dubbi: solo il 13% sceglie la prima opzione e la percentuale diminuisce con l’avanzare dell’età degli interpellati, raggiungendo l’8% tra gli over 55. La necessità di avere un dialogo con una persona in carne e ossa è anche la motivazione principale di chi non usa i chatbot, soprattutto tra gli utenti senior (45%).

Chatbot assenti o solo per l’assistenza tecnica. Il 30% di chi non ha mai usato un chatbot ammette di non averlo fatto poiché assente o introvabile sui siti dei brand visitati. A oggi, le aziende con cui gli intervistati dichiarano di aver conversato tramite chatbot sono soprattutto operatori di telefonia e Internet (53%), fornitori di energia (29%), marchi di elettronica e tecnologia (28%), servizi assicurativi e bancari (25%): i chatbot di vecchia generazione sembrano quindi in grado di fornire assistenza tecnica, ma restano carenti in affiancamento al cliente nella pre vendita e nella post vendita. Anche la capacità di risoluzione dei problemi è parziale: solo nel 24% è sempre in grado di trovare una soluzione, aprendo quindi una strada di miglioramento con le nuove soluzioni di AI conversazionale.

I chatbot del futuro. Gli elementi che i consumatori vorrebbero trovare più spesso nei chatbot del futuro sono precisione (50%), empatia (26%) e rapidità nella risposta (20%). Il fattore velocità è anche identificato dalla maggioranza degli utenti (47%) come principale punto di forza del chatbot nel risolvere un problema, elemento determinante soprattutto per i giovani (55%). Se, infatti, anche per questi ultimi lo strumento più utilizzato per dialogare con le aziende resta l’e-mail (77%), tra gli under 24 la preferenza nei confronti dei chatbot è superiore al contatto telefonico: 58% contro 50%. Il 29% degli utenti under 24 afferma che, quando presente, il chatbot ha risolto “sempre” il loro problema o risposto alla richiesta, mentre il 54% dichiara “qualche volta”.

AI e ChatGPT: una spinta all’utilizzo dei chatbot in Italia per le nuove generazioni. Dallo studio emerge che, in generale, gli italiani hanno una percezione decisamente buona dell’intelligenza artificiale: il 74% dichiara di averne una visione positiva (voti 6-7) o molto positiva (voti 8-10). A guardare con ottimismo all’AI sono soprattutto i giovani: il 56% ne ha opinione molto positiva, per il 64% porterà a un progresso nella società. Anche rispetto all’utilizzo di ChatGPT le nuove generazioni guidano il trend: il 73% degli under 24 lo conosce e il 59% lo ha utilizzato (solo fra gli studenti il 46%), motivato da divertimento e curiosità. Guardando a come ChatGPT influenza la percezione dei chatbot, dallo studio emerge che questa migliora con il diminuire dell’età dei rispondenti: ha convinto, infatti, il 24% degli over 55, il 37% di chi ha età compresa tra 35 e 44 anni, il 55% degli under 24. Sul futuro di ChatGPT, invece, gli italiani sembrano ricompattarsi: per il 51% dei rispondenti è una tecnologia destinata a essere sempre più utilizzata in futuro.

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