Linzi (Ibm): le imprese devono mutare in funzione di come cambia il mercato. E questa marcia di avvicinamento passa per i processi, le applicazioni e le infrastrutture.
Se negli ultimi 10 anni l’ecosistema di business è diventato sempre più complicato, volatile, intricato, la parola d’ordine per gli uomini d’impresa è “comprendere e gestire la complessità per semplificarla”.
Cosa devono fare le nostre aziende per avere successo? Secondo Giovanni Linzi, General Manager Sales di Ibm – uomo di punta di Big Blue sempre a stretto contatto col mercato, le imprese “devono strutturarsi per gestire e anticipare il cambiamento”. “Tutte le aziende – prosegue il manager durante il suo intervento nell’ambito dell’Ibm Smarter Systems Tour – devono diventare a geometria variabile, per mutare in funzione di come cambia il mercato”.
Si tratta di concetti generali, forse già sentiti, e che necessitano di essere calati nella realtà di tutti i giorni. Come? Andando ad analizzare i tre assi sui quali si poggiano le attività di business di tutte le aziende: processi, applicazioni e infrastrutture per comprendere come il “cambiamento” possa essere gestito lungo queste tre direttrici.
I processi
Le aziende sono strutturalmente stabili, per niente flessibili, figlie di un mercato che evolveva secondo ritmi noti e conosciuti. Nella grande maggioranza dei casi “I processi sono sì solidissimi, ma immutabili, immarcescibili” rincara la dose Linzi. E questo è un vincolo importante se si vuole creare un’organizzazione allineata agli obiettivi di business. Perché gli obiettivi di business cambiano in funzione delle condizioni del mercato. La soluzione? Secondo Linzi bisogna focalizzarsi sulle proprie “capacità differenzianti”, andando a “componentizzare” i processi. Dietro la (brutta) parola “componentizzazione” si cela cioè la volontà di trovare i moduli base che sono effettivamente differenzianti sul mercato e che portano valore all’impresa. Su questi moduli base andranno poi concentrati gli investimenti.
Le applicazioni
Il portafoglio applicativo si è evoluto in modo stratificato, andando a creare delle isole di dati e informazioni poco coerenti. E anche qui l’idea di Linzi è di “componentizzare le applicazioni, per riaggregarle in funzione dei processi, che a loro volta cambiano in funzione degli obiettivi di business”. La parola chiave sono quindi le SOA (Service Oriented Architecture). Il portafoglio applicativo va riorganizzato attraverso l’assemblaggio di business service, andando a investire in quei business service che sono differenzianti. “Il resto – semplifica Linzi – si può prendere da fornitori esterni”.
Le infrastrutture
Tutta questa catena che parte dal business per arrivare ai processi e alle applicazioni si basa alla fine sull’infrastruttura. E Linzi parte da un’amara constatazione: “oggi le infrastrutture delle stragrande maggioranza delle imprese, non sono in Italia, invece di essere fattori abilitanti di cambiamento sono fattori inibitori. Un importante nostro cliente romano spende ogni anno 30-40 milioni di euro nella sola manutenzione dei sistemi che ha accumulato nel corso degli anni. A ciò si aggiungono, le spese di gestione di spazio occupato, energetiche e via dicendo. Tutte risorse che vengono tolte all’innovazione”.
Lo stato di queste infrastrutture impedisce di creare quella flessibilità necessaria per sottintendere processi e applicazioni. “A livello di infrastruttura bisogna fare un’attività di ottimizzazione e semplificazione. Tutti parlano di cloud, ma senza una dynamic infrastructure -come diciamo in Ibm – il cloud non è possibile”.
Il problema per i Cio è trovare il giusto bilanciamento fra standardizzazione e personalizzazione. L’integrazione dei sistemi deve passare dagli standard, ma ciascuna azienda ha delle peculiarità che devono essere salvaguardate. “Ogni workload – commenta Gianfranco Previtera, Vice President Strategic Inititives di Ibm – ha caratteristiche proprie. Non si può paragonare lo scenario applicativo di database transazionali alla prese con migliaia di utenti e operativi 24 ore al giorno, con un uno scenario di business intelligence che ha pochi utenti e query complesse. I workload vanno personalizzati, anche se cià risulta più costoso di workload standardizzati“.





