Passage to India: ora tocca a Siemens

Mentre Deloitte avanza ipotesi da capogiro per le prospettive di crescita dei mercati dell’area indiana, il colosso tedesco decide di trasferire offshore circa 15.000 posti di programmatore. E i sindacati scalpitano.

17 febbraio 2004 La notizia arriva quasi a diretta conferma di una
recente analisi pubblicata da Deloitte Touche Tohmatsu, secondo
la quale nell’arco dei prossimi 5 anni il mercato dei servizi traferirà ad
attività offshore  qualcosa come 356 miliardi di dollari. L’India e le
regioni dell’Oceano Indiano dovrebbero veder migrare verso le loro economie più
o meno 1.600.000 posti di lavoro da Europa e Stati Uniti. Con innegabili
risparmi a livello di costi, semplificiazione delle attività, gestione degli
skill.
A conferma che quanto dice Deloitte non è solo vision più o meno
realistica, arriva Siemens, che comunica l’intenzione di
trasferire buona parte delle sue 15.000  posizioni di programmatore da
Stati Uniti ed Europa Occidentale verso l’India (dove già si trovano 3.000
programmatori attivi), la Cina e i Paesi dell’Europa orientale.
La necessità,
facile intuirlo, nasce dal bisogno di ridurre i costi, per stessa ammissione di
Siemens, che però altro non aggiunge nè in merito alla modalità nè in merito ai
tempi di realizzazione del processo. Anche se è facilmente intuibile che l’India
si farà avanti per acquisire tutta la parte relativa agli sviluppi nell’area
delle telecomunicazioni e del medicale.
E’ evidente che una tal decisione non
passerà sotto silenzio. Le unioni sindacali guardano con estremo sfavore a
questa e ad altre decisioni analoghe, comprensibilmente preoccupate per tutte le
istanze relative alla tutela dei posti di lavoro.
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