Partner locali e processi italiani per far business in Cina

Il percorso di crescita di un’azienda italiana nel paese asiatico. Consigli pratici e tecnologici su come muoversi

Sono sempre di più le aziende che non solo delocalizzano la produzione in Cina, ma guardano al grande paese asiatico come al mercato di riferimento per il proprio business, vista la forte espansione dell’economia e, di conseguenza, della classe media. Una strada seguita anche dalla nota azienda biellese del fashion Ermenegildo Zegna che, nel 1992, alla ricerca di un partner per la produzione di linee domestiche con brand locali, ha dato vita alla joint venture SharMoon Ez. «La storia della nostra realtà – spiega Lelio Gavazza, general manager di SharMoon Ez Garments – inizia nel 1992 sull’isola di Lingkun nella provincia dello Zhejiang, con uno “stabilimento” di pochi metri quadrati». Da allora, la piccola azienda a conduzione familiare si è trasformata in una moderna impresa industriale, con un’area coperta di circa 20.000 metri quadrati e uno staff di circa 950 persone, capace di muoversi in modo autonomo in una fascia di mercato differente da quella della casa madre.

Una crescita che ha saputo sommare tradizione italiana e produttività cinese. «Nei prossimi 20 anni, la Cina dovrebbe arrivare a rappresentare un terzo del Pil mondiale, ma – consiglia il manager – chi approderà per affari in questo grande paese, deve essere conscio che la strada per raggiungere gli obiettivi prefissi non è sempre in discesa. Un approccio superficiale riguardo ai valori cardini su cui si basa la cultura cinese può rendere difficili i rapporti tra le persone». Per aver successo, quindi, diventa indispensabile affrontare le differenze culturali e comunicative.

«Tecnicamente – prosegue Gavazza, da un anno stabilitosi in Cina, ma da sei “pendolare” -, per avviare uno stabilimento produttivo bisogna valutare in dettaglio i processi di progettazione, analizzare le criticità ricorrenti e le soluzioni da adottare. Il progetto passa attraverso la definizione delle scelte d’internazionalizzazione e quelle gestionali di sourcing. L’operatività impone, invece, una gestione routinaria delle attività giornaliere, facendo attenzione al rapporto con il partner cinese e ricercando continuamente l’equilibrio e il compromesso tra le parti».

Il “guanxi”, infatti, ossia lo sviluppo della relazione basata su impegno e correttezza reciproci, risulta essere un fattore estremamente importante, al pari dei legami che si sviluppano tra stranieri stabilitisi nel paese, da cui spesso nascono opportunità di business.

«Se la situazione lavorativa è in continuo fermento – riprende – altrettanto non si può dire della tecnologia che, purtroppo, risulta ancora arretrata rispetto all’occidente, non tanto per le capacità di sviluppo, quanto per la gestione corretta dei processi di change management. L’immenso bacino di mano d’opera a basso costo ostacola l’automazione dei processi e l’introduzione dei sistemi informativi integrati, sopratutto nelle aziende tipicamente cinesi dove il cambio culturale fatica a essere digerito e implementato».

L’esperienza di Gavazza, dunque, permette di capire che l’approccio alla Cina non è sempre facile: «Spesso, il miraggio di questo paese come ancora di salvezza di un’impresa che non riesce più a trovare la propria dimensione di business in Italia può trasformarsi in un vortice che accelera il ridimensionamento della stessa. Per evitare questa situazione, è indispensabile affidarsi, in loco, a società di consulenza o di intermediazione, valide e competenti, così come assumere risorse con professionalità adeguate, motivate e dedicate full time al progetto. Lesinare i compensi o accorciare troppo i tempi sono fattori killer per il successo».

Nell’affermazione dei progetti societari in genere, invece, l’Ict non rappresenta un asset strategico. Una linea che è stata applicata anche per la creazione di SharMoon che, tuttavia, dedica all’informatica una percentuale variabile tra il 2 e l’8% del fatturato, a seconda degli strumenti acquisiti e dell’area di business da coprire. «La necessità di integrare i dati di stabilimento per implementare un corretto controllo di gestione industriale e la richiesta di elaborare dei formati di report idonei a essere inviati alla casa madre – riporta Gavazza – ci hanno imposto di rivedere integralmente i processi di gestione core e a supporto del business, con la conseguente implementazione di un software transazionale integrato per la gestione totale dei processi di produzione, vendita, logistica, material management, finanza e controllo». La scelta è ricaduta sull’italiano Ds Data Fashion, principlamente per comodità di gestione e manutenzione evolutiva dello stesso, che ha subìto alcune personalizzazioni richieste dalla parte italiana per meglio analizzare e controllare il business.

«L’implementazione dell’Erp è stato, sicuramente, il passo più importante per far crescere l’azienda con un adeguato supporto tecnologico in grado di sostenere il business – indica il manager -. I processi di analisi sono stati integralmente importati in azienda dal management italiano, con un forte coinvolgimento degli share holder nelle fasi decisionali. La parte cinese ha lentamente accettato lo sviluppo dell’asse tecnologico aziendale ma, pur capendone la valenza, ha faticato a coniugare i benefici che in questi casi si ottengono su un periodo medio lungo. In Cina, infatti, ancora oggi il ritorno dell’investimento viene visto come un beneficio immediato a seguito di un esborso finanziario». Attualmente, la società sta realizzando una software selection per l’implementazione del sistema retail anche perché Gavazza riconosce una nota di merito alle software house cinesi incontrate durante il cammino «che hanno sviluppato pacchetti di tutto interesse anche se ancora poco internazionali e, a volte, con carenze nella gestione di aspetti critici come l’utilizzo di differenti lingue». Per questo motivo, e per proseguire sulla strada dello sviluppo anche al di fuori dei confini cinese, SharMoon ha optato per prodotti di stampo internazionale, gestiti da una struttura interna che si occupa di sistemi informativi, della rete e della comunicazione dati. «Le stesse persone si occupano dei fornitori, dialogando con loro per le attività di manutenzione ordinaria ed evolutiva e per la corretta gestione delle interfacce. Anche se non adottiamo il principio dell’outsourcing diretto, tendiamo ad appaltare i progetti con una metodica di chiavi in mano, mantenendo la leadership interna del program management». Le persone assunte nell’Ict sono tutte cinesi, con forti competenze nel settore informatico. «Non è difficile trovare professionisti validi in quest’area anche se, spesso, pur avendo conoscenze specifiche e approfondite risultano più carenti nell’utilizzo dell’inglese e, quindi, rendono più complessa la comunicazione».

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