Non "girate i tacchi" di fronte al business dei calzaturifici

Regione per regione segnaliamo tutti i distretti italiani "amanti delle calzature"

Settembre, 2003
Il giro d’affari del mercato calzaturiero italiano è
senza dubbio interessante. E questo malgrado ultimamente le esportazioni
siano calate e la crisi abbia toccato anche la voglia di acquistare bei
prodotti. Ma non si può generalizzare. Anzi. È proprio il
caso di dirlo: bisogna ragionare per distretti. Perché quest’industria
si allarga sul territorio italiano a macchia di leopardo, creando vere e
proprie comunità che vivono sulla base della produzione di scarpe.
Ed è questa la chiave di lettura che vi vogliamo offrire: analizzare
tappa per tappa i distretti (con l’ausilio di dati e informazioni
tratte dal portale dei distretti industriali) legati alle più interessanti
aziende calzaturiere. Perché da una parte vale di sicuro la specializzazione,
ma dall’altra serve anche la prossimità geografica
.


Partiamo ad analizzare questa settore dal distretto veneto di Montebelluna,
un bacino specializzato nella calzatura sportiva e tecnica che dà
da vivere a 428 aziende e occupa 8.600 addetti. Qui però non si produce
solo la scarpa, ma una serie di forniture affini quali fustelle, lacci,
suolette. È un tessuto di Pmi quello che fa girare l’economia
di queste parti.
Si trovano anche aziende di accoppiatura, assemblaggio e montaggio, studi
di design, produttori di macchinari, stampisti e aziende di stampaggio.
Realtà che affiancano e completano l’industria manifatturiera
delle "scarpe".
Sempre nel Veneto, chi vorrà approcciare il cliente "calzaturificio"
può prendere in considerazione l’area veronese e la Riviera
Del Brenta. Qui prevale la lavorazione a ciclo corto, mentre va di "moda"
la delocalizzazione all’estero di fasi della produzione ad alto costo
di manodopera, il che implica la necessità di usufruire di gestionali
aperti a idiomi e modalità amministrative estere. Nei Balcani, per
esempio, il distretto veronese è presente con circa trenta aziende,
sedici delle quali rappresentano l’80-90% del fenomeno con un giro
d’affari annuo di 150 milioni di euro (2001).
Nel veronese le realtà più note sono Effegi Style-Freemod,
Monterosa, 3A Antonini, Olip-Airstep.

Verso il centro Italia. Nella regione Emilia Romagna, le
industrie delle calzature sono massimamente concentrate nella zona romagnola,
tra Forlì-Cesena, Rimini, Ravenna e anche in parte dell’Emilia. Il
90% circa delle aziende è costituito da unità produttive di
piccola e media dimensione con meno di 50 dipendenti. Il polo calzaturiero
di Fusignano e Bagnacavallo, in provincia di Ravenna è, invece, specializzato
nella produzione di calzature di fascia economica e di quantità.
Di questo distretto fa parte un numero non ben precisato di aziende, ma
si contano comunque circa 650 addetti per un fatturato medio annuale di
50 milioni di euro, di cui un 25% destinato all’esportazione (che nell’intera
regione supera il 70% del totale fatturato). Sempre in Emilia Romagna, il
distretto di San Mauro in Pascoli conta circa 120 aziende di calzature con
2.490 addetti, 138 aziende di componentistica con 1.310 addetti e una decina
di aziende che producono calzature a mano su misura per un totale di 112
addetti. Ogni anno nell’area vengono prodotte 15 milioni di paia di scarpe,
due terzi delle quali sono destinate all’esportazione (soprattutto verso
la Russia e il Far East), per un fatturato medio annuo di 194 milioni di
euro.

Arrivando poi in Toscana, bisogna soffermarsi sui bacini di Lucca e Santa
Croce sull’Arno. Nel lucchese l’industria calzaturiera si presenta come
un sistema organico di imprese pienamente integrato nella filiera cuoio-pelli-calzature
della Regione Toscana. Con oltre 700 imprese e circa 4.500 dipendenti, un
fatturato aggregato di oltre 560 milioni (di cui circa 800 realizzati all’estero,
a conferma di una tradizionale, elevata propensione all’export), il sistema
calzaturiero lucchese produce oltre 22 milioni di paia l’anno. La particolare
struttura industriale è rappresentata da imprese di medio/piccola
dimensione con cicli produttivi fortemente meccanizzati e moderni a elevata
specializzazione di fase, accanto a micro-imprese con attività prettamente
artigianali, in cui è soprattutto la capacità manuale nella
lavorazione che emerge come caratteristica fondamentale. Secondo quanto
riporta il portale dei distretti industriali italiani "il sistema calzaturiero
lucchese sta concentrando il proprio impegno su dei fattori ben precisi
quali l’attenzione a un processo di innovazione del prodotto (e conseguente
incessante ricerca di differenziazione dei prodotti)". Molta attenzione
pare venga prestata alle nuove tecnologie e nuovi sistemi organizzativi
(secondo la logica della qualità aziendale). Interessante è
anche il fattore riconducibile alla ricerca di livelli di elasticità
sempre più avanzati. Segno che sono i consulenti aziendali ad avere
buone chance in questa zona. A parte il Ponte Vecchio, dove le botteghe
vendono pelle e poco altro, un altro Arno ha a che fare con i calzaturifici.
È quello del distretto di Santa Croce sull’Arno, che si estende su
una superficie territoriale di 330 km quadri. La specializzazione produttiva
del distretto è rappresentata dalle industrie delle pelli e del cuoio
e delle calzature, che occupano l’81,86% del totale degli addetti nelle
attività manifatturiere. Qui si produce la suola "Vero cuoio"
(il 90% del bisogno nazionale). Sono 837 (il 47,8%) le imprese del cuoio,
714 (il 40,8%) quelle delle calzature, mentre le pelletterie sono 161 (il
9,2%). Particolare l’attenzione di queste aziende verso i problemi dell’ambiente
depuratori aziendali per lo smaltimento di fanghi conciari.

Anche le Marche si difendono bene in questo business, tant’è che
il distretto di Fermano Civitanovese (vasto 36 comuni) fattura mille milioni
di euro (2001) e il 55-60% della produzione è destinata all’export.

L’80% delle imprese ha meno di 10 addetti e solo l’1% ha più
di 50 addetti; inoltre l’81% delle imprese ha forma artigiana. Il
distretto più a Sud legato all’industria calzaturiera si trova
in Abruzzo (con ciò non è affatto detto che non esistano altri
"mini distretti" anche più in "giù").
Qui troviamo che l’area industriale si concentra nella zona di Teramo.
Rilevanti sono le imprese medie, ma anche quelle locali che lavorano per
conto terzi, sia per committenti locali che per aziende dell’Italia
centro-settentrionale.

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