Masiero: «La rivoluzione del cloud trasformerà l’It italiana»

La crisi economica in atto, segnala il presidente di Idc, può essere superata con un investimento nell’innovazione e nella cultura digitale

Il gap dell’innovazione digitale è una delle cause principali della bassa produttività e scarsa crescita dell’economia italiana, e la crisi in atto rischia di aumentare il divario tra Sud e Nord del paese. Sono queste alcune delle conclusioni principali del Rapporto Annuale “Innovazione, sviluppo umano e competitività del Sistema Paese”, presentato durante l’Innovation Forum 2009 organizzato da Idc. B2b24.it ne ha parlato con Roberto Masiero, presidente di Idc.

Nel corso dell’Innovation forum 2009 si è parlato moltissimo di macroeconomia. In che modo la crisi economica mondiale è andata a colpire il settore dell’It?
I paesi occidentali stanno rapidamente evolvendo verso un’economia della conoscenza, ovvero la maggior parte degli asset e degli investimenti ha a che fare con l’Information Technology, cioè con tecnologie, infrastrutture digitali e servizi relativi. L’impatto del meltdown finanziario sull’economia reale è andato a colpire immediatamente quella parte della domanda che è data dagli investimenti. In pratica le aziende, passate in questo periodo dall’economia della fiducia a quella del panico, hanno avuto una naturale reazione fisiologica: tagliare i costi. Inizialmente si sono eliminati costi variabili come consulenze, viaggi, ma in seguito anche gli investimenti in Information Technology. In particolare sono due le voci di spesa It che le aziende cercano di tagliare con la crisi: innanzitutto il rinnovo dei parchi hardware, ovvero si allunga la vita dei computer aziendali. La seconda area è quella delle applicazioni per le imprese, cioè Crm, Erp, ecc. Si tratta ovviamente di soluzioni che richiedono un grosso investimento da parte delle aziende e che dunque, in tempo di recessione, vengono posticipate in attesa di tempi migliori.

Il rapporto evidenzia la possibilità di esplosione del fenomeno cloud, ovvero prodotti, soluzioni e servizi business e consumer che possonono essere erogati in tempo reale grazie a Internet.
 Si tratta di un fenomeno reso possibile dal fatto che ormai l’espansione della velocità della rete sta superando quella dei processori. Una potenziale esplosione della capacità di accesso alla banda larga nel nostro paese consentirebbe di passare a dei meccanismi a formula di cloud anche nell’It: così come oggi utilizziamo strumenti come Facebook o Gmail direttamente sul nostro pc per mezzo di un server sconosciuto, così le aziende potranno sempre di più accedere via Web alle loro applicazioni business. La diffusione dei cloud services consentirà sostanziali miglioramenti di efficienza alle medie aziende italiane, perché queste formule consentono di bilanciare la domanda con la capacità. Ovvero non si avrà più bisogno di fare copiosi investimenti in licenze, software per coprire i picchi di lavoro, ma si potranno utilizzare questi servizi solo quando e quanto effettivamente serve. In definitiva, quelli che ora sono pesanti costi fissi diventeranno variabili.

Si tratta di una rivoluzione che potrebbe però impattare in maniera negativa sui livelli occupazionali del comparto?
 Si può valutare in modo negativo questo fenomeno soltanto se ragioniamo in termini provinciali. Il cloud computing favorirà una dislocazione dell’occupazione, perché porta a ricercare la fonte dei servizi dove sono più vantaggiosi, ovvero quasi sempre nei paesi emergenti. È chiaro perciò che ci sarà uno spostamento molto significativo in termini occupazionali, in realtà in atto già da tempo, dai paesi maturi a quelli emergenti. Esiste sicuramente un problema molto serio per la classe media dell’informatica che si è costruita nel nostro paese a partire dagli anni ’60: i consulenti, i system integrator, la nostra rete di distribuzione molto fragile e spezzettata, tutti quanti questi attori saranno sicuramente messa a dura prova da questa mareggiata. Esiste però anche un guadagno per un paese come il nostro: ovvero quello di alimentare il nostro made in Italy con l’innovazione di prodotto resa possibile dall’iniezione massiccia di tecnologie digitali. I nostro articoli di fascia medio-alta potranno essere così innovati molto più rapidamente rispetto alla concorrenza. Attualmente invece i prodotti Made in Italy, salvo eccezioni, sono caratterizzati da una tecnologia media.

Quali sono i motivi che possono spiegare il ritardo dell’Italia nella cultura digitale rispetto agli altri paesi occidentali?
Ci sono sostanzialmente due ordini di motivi: il primo elemento è il digital divide interno. Abbiamo milioni di famiglie che vivono in luoghi suburbani e rurali che non possono avere una fruizione soddisfacente dei contenuti digitali. Il secondo problema è la polarizzazione demografica: il nostro è un paese abitato da vecchi, mentre i soggetti dinamici della cultura digitale sono coppie giovani con figli in età scolare. Quello che manca all’Italia, inoltre, è una visione complessiva in questo campo come sistema paese.

Che tipo di contributo può dare il mondo del Web 2.0 alla ripresa economica?
Teoricamente il web 2.0 può fornire un contributo elevatissimo: la collaborazione tra aziende, fornitori e clienti può portare valore aggiunto, ma ha come precondizione la diffusione di una cultura digitale ampia, un fattore per l’appunto carente in Italia. Infatti solo all’interno del settore moda esiste attualmente un buon livello di utilizzo di questo tipo di canali. In futuro ovviamente ci saranno anche una serie di fiaschi ma sono convinto che la direzione del Web 2.0 sia quella giusta: nella nostra società tutto quanto è sempre più orientato verso il singolo consumatore (penso ai servizi nella sanità, alla scuola) piuttosto che su un pubblico di massa.

In un momento di crisi come quello attuale, con le banche che tagliano sul credito alle imprese, come si può davvero investire nell’innovazione?
Occorre innanzitutto risolvere questo problema del credito. Io non credo che sia possibile una ripresa senza aver prima smaltito tutti quegli elementi tossici sparsi in giro per il sistema. È necessaria un’iniziativa forte dei governi mondiali in funzione anticiclica perché ci sia un futuro per l’economia. Questa crisi, tra l’altro, sta peggiorando il gap tra Nord e Sud dell’Italia. Sono piuttosto scettico che si possa tornare alla crescita prima del 2010. Se gli interventi di cui si ragiona a livello mondiale saranno effettivamente intrapresi, sarà possibile tornare e a parlare di competitività e orientare il sistema ai temi della sostenibilità energetica.

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