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Come fare management del cloud

La spinta all’innovazione può essere difficile da gestire per un Cio alle prese con il cloud management. Alessandro Perilli, GM Management Strategy di Red Hat, ha l’opportunità di parlare ai Cio di tutto il mondo, illustrando loro come ridurre al minimo i rischi in un mercato complesso e articolato, caratterizzato da slogan di marketing. Si va da OpenStack come rimedio per tutto ai container, dalla promessa del public cloud e di cloud pubblici multipli e ibridi.

Per capire come i Cio possono fare cloud management, scegliere i partner per il proprio percorso e gestire l’equilibrio tra cloud pubblico e privato lo abbiamo intervistato.

Cominciamo dall’attualità. Diego Piacentini per la trasformazione digitale italiana ha fissato le priorità: mobile first e open source. Non c’è cloud first. Un errore secondo lei?

Immagino che “cloud first” sia implicito in “mobile first”. Ad eccezione dei giochi, alcune applicazioni grafiche, e poco di più, praticamente tutte le applicazioni mobile sul mercato sono di fatto front-end per servizi cloud. Senza “cloud-first” non c’è nessun “mobile first”.

In senso critico, forse il cloud oggi è fatto di troppo marketing? Quali sono i pilastri reali che sostengono l’azione delle aziende?

Il peccato originale del marketing, non solo nel cloud computing, è quello di omettere. Il marketing ha lo scopo di promuovere gli aspetti positivi di un prodotto o servizio, non di sottolinearne le complessità. Un eccesso di zelo in tal senso porta a sbilanciare troppo la conversazione verso i vantaggi di una nuova tecnologia rispetto al suo costo di ingresso. Qualunque Cio con sufficiente esperienza sa guardare oltre le promesse del marketing e basa le sue decisioni su una serie di fattori che rimangono costanti, dall’adattabilità della soluzione alle esigenze del business al tempo necessario per ritornare sull’investimento.

Passiamo agli elementi. Openstack è la vera soluzione?

OpenStack è una soluzione. Per alcune aziende, in contesti specifici, è la soluzione migliore. Ma l’on-premises infrastructure-as-a-service (IaaS) che OpenStack offre non è necessariamente la soluzione ideale per tutti. Ci sono moltissime realtà per cui l’accoppiata di server virtualization (come Red Hat Virtualization) e automation (come Ansible by Red Hat) è un’opzione migliore. Altre dove il platform-as-a-service (come OpenShift by Red Hat) è preferibile. E altre ancora dove il public cloud, magari esclusivamente software-as-service, è scelta la più adatta. Non c’è una singola “vera” soluzione.

Perché i container contano? E quanto contano?

Le esigenze industriali cambiano durante gli anni. Ogni realtà ha specifiche esigenze di business ma ci sono delle macro-dinamiche che agiscono uniformemente in tutte le realtà. Dieci anni fa, nell’IT, l’esigenza primaria era modernizzare il data center svincolandolo dalla sua dipendenza dall’hardware. Le macchine virtuali hanno reso possibile quella modernizzazione. Oggi l’esigenza primaria è modernizzare il data center accelerando i suoi processi. I container sono un ordine di grandezza più veloci da istanziare delle macchine virtuali. E sono nati per essere programmati da strumenti di automazione, che velocizza l’esecuzione di moltissimi task. I container conteranno fintanto che le esigenze industriali non si evolveranno ulteriormente.

Se il public cloud è ormai sdoganato come asset aziendale di chi sono i meriti? O le colpe, se lo si intende come shadow It?

Credo che la maggior parte del merito vada ad Amazon e a una serie di operatori SaaS che hanno continuato a innovare e a dimostrare, contro ogni criticismo, anno dopo anno, come il public cloud sia una alternativa possibile per le aziende. Non ci sono colpe. Ogni volta che una tecnologia perturba lo status quo offrendo un modo più semplice, o migliore, per fare qualcosa, l’adozione è sempre bottom-up, è sempre shadow, è sempre fuori normativa. Perfino la legislazione segue questo principio nei tempi moderni, adattandosi all’evoluzione inevitabile della società man mano che essa avviene. 

Facendo una classifica, per un’azienda utente quali sono i soggetti più importanti che operano nel cloud?

Lato public cloud, certamente i tre più grandi provider (Amazon, Microsoft e Google), e una serie di operatori SaaS, sia consolidati (come Salesforce) che emergenti (come Adobe), che stanno rivoluzionando il concetto di commercial-off-the-shelf (COTS) application per le enterprise. Lato private cloud, è più difficile fare dei nomi oltre ad OpenStack. Il problema è che la maggior parte di quello che viene venduto come private cloud non è affatto cloud. Non lo è mai stato.

Lato software, qual è la dote imprescindibile per un’azienda oggi che vuole essere partecipe della trasformazione digitale?

La capacità di ricercare e fare proprie le ragioni del fallimento di chi ha provato per primo. Nella mia carriera ho visto migliaia di aziende fare gli stessi identici errori. Questo è accettabile agli albori di una nuova tecnologia, quando non c’è ancora una memoria storica e un campione abbastanza rilevante di insuccessi per imparare dagli errori già commessi. Ma ormai non siamo più agli albori del cloud computing. C’è abbastanza esperienza sul mercato per fare scelte più sagge.

Come possono essere misurati i risultati del cloud management?

Un modo piuttosto efficace è quello di misurare la quantità di ore/uomo risparmiate per eseguire una serie di task, e la quantità di task che un singolo individuo può eseguire in un’unità di tempo stabilita (come ad esempio un giorno lavorativo). Il valore aggiunto del cloud management sta nel permettere al dipartimento IT di gestire una crescita esponenziale dell’ambiente cloud amministrato, senza dover aumentare esponenzialmente la quantità di personale assunto.

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