Lezione greca: Oteglobe e il business al tempo della fibra

Il carrier ellenico è una best practice europea. Ce la illustra Franco Busso di Infinera.

La fibra che non vedi ma che c’è e che se non ci fosse te ne accorgeresti. Ci pare una buona sintesi per descrivere l’esperienza di Oteglobe, fornitore greco di infrastrutture, che sta al carrier ellenico Ote (al 30% di Deutsche Telekom), come Telecom Italia Sparkle sta all’incumbent italiano.

Oteglobe, oramai quattro anni fa, ha intravisto un’opportunità di business e l’ha tradotta in pratica, con profitto.

Franco Busso di Infinera, società che ha contribuito al progetto, ce l’ha spiegato, illustrandoci anche il senso che per un operatore ha un’infrastruttura ottica.

«Noi diamo infrastrutture che l’utente non vede – ci spiega Busso – .
Vede le applicazioni, ma non sa che passano su router che poggiano su fibra ottica. Il fatto è che all’operatore serve availability, che vuol dire disponibilità cosiddetta a 5 nove. Ha bisogno di avere risorse a disposizione secondo la tipologia di traffico, sempre e comunque».

E la tecnologia ottica consente di rispondere a queste esigenze, tenendo conto, come dice Busso, che «la voce è meno sensibile al fault, mentre i dati lo sono di più».

Si parla, dunque, di meccanismi di recovery delle connessioni
«Quello ottico – spiega Busso – è l’ultimo livello fisico, deve soddisfare tutti i requisiti. Non deve pensare, deve trasportare».

Attualmente la tecnologia ottica dispone di un reinstradamento oramai standard: in caso di interruzione, avviene entro i 50 millisecondi.
L’operatore, quindi, deve avere a disposizione una rete con percorsi alternativi
(in Italia, per questioni orografiche ne esistono tre).

L’esempio sul campo: Oteglobe

OteGlobe doveva creare proprio una struttura con vie di protezione del traffico.
«Teniamo presente – spiega Busso – che tutto il traffico del sud Europa va a fluire verso Francoforte, Amsterdam e Londra. OteGlobe voleva una rete con potenzialità di crescita, per servire il mercato turco e del medio oriente».

In buona sostanza l’operatore greco ha intercettato un’esigenza di business: catturare traffico dal sud-est Europa.

La rete è stata realizzata nella seconda parte del 2008, passando per Bulgaria, Romania, Ungheria, Austria.
La fibra è acquisita da Interoute.

In tre anni la capacità di trasporto è cresciuta del 300%, per canali e per dati trasportati: nato con 200 Gbit, ora portano fino a 1,6 Tbit sulla singola fibra.

A cosa deve il successo OteGlobe? «Poca concorrenza – dice Busso – garanzia di affidabilità, ridondanza topologica e il Pic di Infinera, più affidabile rispetto alle schede discrete. Ma anche a Gmpls».

Si tratta di un software derivato da Mpls (ne è la versione ottica), per la gestione intelligente dei nodi, con analisi dei percorsi.
Reagisce in modo automatico agli accadimenti.
«Serve – spiega Busso – perché nei paesi emergenti le infrastrutture in fibra non sono ben segnalate e ci sono molti lavori. Basti pensare che in India ci sono centinaia di tagli di fibra alla settimana».

Gli apparati Infinera sono a Thessaloniki, Sofia, Timisoara, Budapest, via via su tutta la linea fino a Francoforte.
In caso di guasto il Gmpls identifica il percorso alternativo e lo instrada.

Bando ai pregiudizi: business is business
Anche per questo Oteglobe è un operatore in crescita: «vanta una rete protetta e con tasso di default inferiore agli altri e in caso di fiber cut contemporanei tiene in piedi la rete».
Vende, insomma, con garanzia di continuità del servizio a operatori greci, turchi e del Medio oriente.
Scelta curiosa quella di “fare intelligenza con il nemico”? «I turchi devono arrivare in Europa – spiega Busso – e fanno più affari insieme ai greci di quanto si pensi. E per la connettività stanno puntando anche sui cavi sottomarini».

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