Le Soa sono fatte di Bpm e Web 2.0

Mancano gli skill sulle architetture di servizio? Creiamoli con università sul Web. Così la pensa Ibm che preconizza un’integrazione sempre più stretta tra social networking, gestione dei processi e Soa.

Orlando, Florida

Si alza il sipario su Ibm Impact 2007, l’iniziativa che Big Blue dedica alle Soa, e si apre su uno sfondo che rimanda alla giungla, forse a richiamare quella che è la situazione quotidiana dei Cio, costretti a districarsi nel fitto intrico delle tecnologie stratificate in azienda, spesso alla cieca.

«Le realtà medio-grandi – esordisce Steve Mills, Ibm senior vice president e group executive Ibm Software Group (il 40% del fatturato di Ibm arriva dalla sua area – ndr) – hanno implementato in media 4.000 applicazioni nel corso della loro vita. Spesso si tratta di soluzioni difficilmente integrabili e lo sforzo di sviluppo profuso non è replicabile».

Scopo delle architetture di servizio è proprio quello di spingere verso la massima flessibilità e riuso delle tecnologie implementate, riducendo al minimo gli sforzi degli sviluppatori.

«Connessione punto-punto, Bpi, Bam, Bpm – prosegue il manager -. Tutte queste aree possono essere ricomprese sotto la bandiera delle architetture di servizio che, per loro natura, rappresentano una diversa modalità di connessione tra le applicazioni, con legami più saldi e componenti standardizzati, quindi più facilmente riutilizzabili».

Tutti spazi all’interno dei quali Ibm si sta muovendo attivamente, come dimostrano le recenti acquisizioni di Webify, in area performance management, o quella di FileNet, in ambito content management.

«La Soa Reference Architecture è il modello infrastrutturale che noi abbiamo proposto nel corso degli ultimi tre anni a tutti i clienti che si interessavano alle Soa – sottolinea Tom Rosamilia, general manager Soa WebSphere Applications di Ibm -. Si tratta di un sistema fondato sull’Enterprise service bus come sistema di connettori e su un insieme di servizi modulari, il tutto guidato dalle esigenze di business. Ibm è l’unica azienda in grado di coprire per intero queste esigenze, attraverso una sapiente combinazione delle offerte WebSphere, Tivoli, Rational e Information Management. E il mercato ci ha dato ragione visto che, ormai, secondo WinterGreen Research, deteniamo il 53% del mercato nelle Soa, con una quota in crescita rispetto al 46% dello scorso anno. Dopo noi, in seconda posizione, la stessa fonte inserisce Microsoft, il cui peso sul mercato è sceso, nello stesso periodo, dal 10 all’8%».

Un approccio che combina soluzioni software, molti servizi (indispensabili in questo tipo di progetti) e po’ di sano hardware.

«In realtà – spiega Robert Leblanc, general manager Consulting Services and Soa di Ibm – tre sono i contesti all’interno dei quali le Soa impattano l’azienda, ovvero le tecnologie, il business e le persone e noi stiamo lavorando attivamente su tutti e tre i fronti. Oltre il 70% degli investimenti in It è speso nel capitale umano, solo il rimanente 30% in tecnologia. Ecco perché, oggi, il percorso delle Soa si incrocia con quello del Web 2.0. L’obiettivo è di migliorare la flessibilità delle soluzioni create, nell’ottica del controllo “etico” del social networking e, soprattutto, ridurre il divario tra le competenze Soa richieste e quelle attualmente disponibili sul mercato. In questo senso, Second Life e il Web 2.0 giocheranno, in futuro, un ruolo fondamentale».

A tal proposito, Big Blue ha istituito di recente un’università virtuale, battezzata Soa Hub, su Second Life, con contenuti formativi per i tecnici, fruibili in totale autonomia. Sono già oltre 1,1 milioni gli sviluppatori che, nel mondo, sono focalizzati sulle architetture di servizio imperniate sulla tecnologia Ibm.

Lo stesso keynote di Impact 2007 è stato seguito da 4.600 persone su Second Life. Big Blue ha anche attivato un nuovo spazio interamente dedicato alle Soa sul sito di DeveloperWorks e ha presentato il prototipo (che diventerà un progetto attivo a tutti gli effetti a partire dal prossimo settembre) di un simulatore Bpm.

«Tutto questo impegno – ha concluso Steve Mills – si somma all’aiuto concreto che, su questa strategia interamente focalizzata sui Web service, ci arriva dai nostri business partner. Sono già 3.600 i cataloghi pubblicati, ovvero elenchi di servizi Web rintracciabili e riutilizzabili con il minimo sforzo da qualsiasi azienda utilizzi WebSphere».

Sul fronte più prettamente tecnologico, infine, i vertici di Big Blue assicurano che l’integrazione delle tecnologie Ibm e FileNet è, oggi, più concreta e, a riprova di questo, sarà presentato a breve un registro e repository di Web service unificato, mentre già oggi gli eventi gestiti con le soluzioni FileNet e Ibm sono già in grado di invocarsi reciprocamente.

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