Le certificazioni fanno bene a Linux

E fanno bene anche agli operatori che intendono proporsi con soluzioni open source e che vogliono distinguersi dalla massa

Ottobre 2004, I responsabili di Dice.com, sito americano di recruitment
specializzato nell’It, recentemente hanno evidenziato il forte incremento delle
richieste di personale specializzato in Linux. Rispetto a un raddoppio delle
offerte di lavoro di tutto il settore, quelle che richiedono conoscenze su Linux
sono passate da 900 a 2.500, dunque quasi triplicate. Questi dati, relativi
al mercato Usa, trovano un riscontro anche nel Quarterly Survey of Appointments
Data and Trends della rivista Computer Weekly che monitora il mercato inglese.
In Gran Bretagna la richiesta di figure specializzate su Linux è cresciuta
del 50% nei primi mesi di quest’anno. Se i trend statunitensi e inglesi sono
il preludio di ciò che potrebbe succedere in Italia tra qualche mese,
può essere interessante valutare l’opportunità per un operatore
nostrano di certificare qualche risorsa su Linux. L’interesse del mercato, anche
italiano, per la piattaforma del pinguino è innegabilmente elevato, soprattutto
in un momento come questo in cui le esigenze di rinnovamento di hardware, sistemi
operativi e applicativi, dettate dallo scadere dei leasing attivati nel 2000,
mal si conciliano con gli stretti cordoni della borsa. Nonostante non sia vero
che i sistemi operativi e gli applicativi open source siano totalmente gratuiti,
non si può negare che un’alternativa che non si basa sul pagamento delle
licenze di utilizzo porti dei notevoli risparmi alle aziende clienti, specie
alle piccole e medie. Per scegliere Linux, però, bisogna essere sicuri
di averne capito pregi e difetti. Per esempio, il cliente deve poter contare
su figure realmente competenti: i fornitori esterni o, in certi casi, le risorse
interne.


Il famoso bollino
Da sempre la prova formale delle competenze di un operatore è data dal
numero di "bollini" che i suoi dipendenti possono esibire sulla casacca.
È vero che il "bollino" non è garanzia di competenza
e spesso non è neanche richiesto dalle aziende. A detta dei rivenditori,
inoltre, le certificazioni sono utili solo in alcuni settori, come il networking
o gli applicativi superspecializzati, ma spesso non sono altro che un costo
e una perdita di tempo. Nel mondo Linux le cose non cambiano, anche in questo
mercato ciò che conta è la competenza effettiva, spesso maturata
sul campo, e non tanto il fatidico "bollino". Questo è ciò
che pensa la maggior parte degli sviluppatori Linux che, quasi per una "questione
filosofica", considerano la certificazione inutile e più vicina
a una "mentalità Microsoft" da evitare con cura. «La
certificazione è composta da ciò che ho sviluppato, direbbe un
programmatore Linux
– afferma Giacomo Cosenza, presidente
e cofondatore del system integrator Sinapsi, specializzato in realizzazioni
open source in ambito bancario -. Ciononostante considero la certificazione
fondamentale per un operatore It»
.
Infatti, una certificazione formale su distribuzioni e applicativi Linux può
aiutare l’operatore a convincere il cliente a convertirsi a un mondo ancora
poco conosciuto. «Inoltre, le certificazioni servono per garantire
un livello minimo di qualità all’offerta
– prosegue Cosenza
che altrimenti rischia di svalutarsi o di concentrarsi sui soliti grandi
nomi»
.
«Un operatore farebbe bene a presentarsi con più certificazioni
su Linux
– afferma Giancarlo Niccolai, responsabile sviluppo e
pianificazione di Know How 7 -. È un tipo di investimento che dovrebbe
rientrare nei piani di chiunque voglia lavorare su piattaforma open source»
.
Know How 7 è una software house che, iniziando con il software su commessa,
sta rivedendo la sua visione, investendo su consulenza e formazione su Linux.
«Pensiamo che il valore da aggiungere alla vendita del software
– prosegue Niccolaisia proprio la formazione e la certificazione.
Per questo abbiamo strutturato un programma di corsi su Linux ed entro la fine
dell’anno contiamo di poter fornire una vera certificazione»
. I corsi
previsti da Know How 7 si rivolgono a sistemisti, programmatori e responsabili
It, ma anche agli utenti finali e ai docenti. «I nostri corsi vogliono
essere indipendenti dalla particolare distribuzione Linux
– sottolinea
il manager – e si indirizzano anche agli utenti finali proprio perché
capiscano che lavorare sugli applicativi Linux non è più complicato
che lavorare su quelli più noti»
. Le lezioni si svolgono in
aula, ma hanno anche supporto dell’on line tramite il sito www.lincert.net e
si distinguono per i costi ridotti.

Cosa c’è in giro
Come si ottiene una certificazione su Linux? Il panorama è abbastanza
vasto. Ci sono le cosiddette certificazioni indipendenti, la più nota
è quella del Linux professional institute (www.lpi.org), società
di Toronto (Canada) sponsorizzata da Ibm, che in Italia propone proprio i corsi
Lpi oltre che quelli Red Hat, Hp, Novell, TurboLinux e MandrakeSoft tra gli
altri. E ci sono quelle attivate dai singoli vendor come Red Hat, Novell e Hp.
Sempre secondo la ricerca di Computer Weekly i corsi di Red Hat sono i più
seguiti e il vendor conta circa 10mila persone certificate nel mondo. Un’altra
azienda che, dopo l’acquisto della tedesca SuSe, sta puntando molto sulla formazione
su Linux è Novell. L’azienda americana si appoggia ad Elea, società
del gruppo De Agostini, e propone un folto programma di corsi specifici sulla
distribuzione SuSe. Infine, Hp offre un portafoglio di corsi generici su Linux,
anche professionali, volti anche a gestire la migrazione da un’altra piattaforma,
mentre Sun si affida ai corsi Red Hat. C’è da specificare che, ai fini
del conseguimento della certificazione, si richiede solo la partecipazione a
uno o più esami. «In Italia c’è una buona copertura
per quanto riguarda le certificazioni generiche sulla piattaforma Linux e anche
sulle singole distribuzioni
– afferma Cosenzae
un operatore dovrebbe puntare innanzitutto su queste. È consigliabile
che ci si certifichi su SuSe o su Red Hat solo se si ha intenzione di lavorare
esclusivamente con queste distribuzioni»
. La scelta, dunque, dipende
dal tipo di business che un operatore intende sviluppare in ambito open source.
Se si lavora su progetti complessi, che riguardano application server, database
o applicativi di integrazione e di migrazione, non si può pretendere
di conseguire una certificazione unica, ma ci si deve focalizzare sull’applicativo
e investire solo su quello.
I corsi sono stati il piatto forte del LinuxWorldExpo tenutosi a Milano lo scorso
settembre, con dieci corsi e un master per la migrazione all’open source
realizzato in collaborazione con il consorzio Cirs, un gruppo di operatori dell’It
focalizzati su Linux.
«La migrazione dei sistemi – conclude Cosenza
è un argomento molto caldo. In questo ambito Hp e Ibm propongono
dei corsi validi. Se, però, l’operatore inizia ora a lavorare su Linux,
è meglio che sfrutti il trend di migrazione che riguarda i desktop. In
certi settori le piattaforme server spesso sono già Linux. Avendo un
numero elevatissimo di pc e volendo cambiare sistema operativo e applicativi,
la scelta open source risulta realmente conveniente»
.

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