Lavoro parasubordinato (parte I)

Fonti Il lavoro autonomo si differenzia dal lavoro dipendente in quanto svolto, come recita l’art. 2222 cod. civ., “con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”. La personalità della prestazione ac …

Fonti
Il lavoro autonomo si differenzia dal lavoro dipendente in quanto svolto, come recita l’art. 2222 cod. civ., “con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”. La personalità della prestazione accomuna la figura del lavoratore autonomo a quella del piccolo imprenditore (art. 2083 cod. civ.) e la differenzia da quella dell’imprenditore che organizza il lavoro altrui (art. 2082 cod. civ.).
In questo quadro sistematico il legislatore ha delineato nel tempo, con interventi successivi e non sempre coordinati, una categoria di attività (c.d. lavoro parasubordinato) che si colloca nell’area di confine tra lavoro subordinato e autonomo pur appartenendo per intrinseca natura a quest’ultima tipologia (cfr. Corte Cost. 24 luglio 1995, n. 365)
Il lavoro parasubordinato trova le sue fonti normative:
– nell’art. 409, n. 3, cod. proc. civ., come sostituito dall’art. 1, L. n. 533/1973, che rende applicabile il rito del lavoro ai “rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”;
– nell’art. 50, c. 1, lett. c-bis, inserita nel D.P.R. n. 917/1986 dall’art. 34, L. n. 342/2000 (*), che fa rientrare tra i redditi “assimilati” a quelli di lavoro dipendente, “le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta …, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica, alla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, alla partecipazione a collegi e commissioni, nonché quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita, sempreché gli uffici o le collaborazioni non rientrino … nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente … o nell’oggetto dell’arte o professione … esercitate dal contribuente”;
– nell’art. 2, c. 26, L. n. 335/1995, che ha istituito una specifica forma di tutela previdenziale per “i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo … nonché i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa …”, di cui al t.u. delle imposte sui redditi;
– nell’art. 61, c. 1, D.Lgs. n. 276/2003, che individua la nuova figura del contratto di lavoro a progetto nell’ambito dei “rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione” di cui al citato art. 409 cod. proc. civ.
Come può rilevarsi dall’elencazione che precede, la fisionomia del lavoro parasubordinato non ha ancora raggiunto una configurazione unitaria, valida sia per la disciplina del rapporto che per il trattamento previdenziale e fiscale. Le attività che vi sono comprese presentano comunque proprie caratteristiche comuni che vengono esaminate in questo capitolo.

(*) Fino al 31 dicembre 2000 i redditi derivanti da rapporti di collaborazione erano inquadrati tra gli altri redditi di lavoro autonomo diversi da quelli derivanti dall’esercizio di arti e professioni.

Nozione
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa possono essere classificati in due grandi categorie: i rapporti tipici in quanto espressamente individuati dal legislatore (contratti di lavoro a progetto; uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazione e altri enti; collaborazioni a giornali, riviste, enciclopedie e simili; partecipazioni a collegi e commissioni) ed i rapporti non tipizzati.
In ogni caso i rapporti in questione sono qualificati dalla presenza dei seguenti requisiti comuni:
– la necessaria collaborazione tra prestatore e committente, che costituisce il perno di questa figura in contrapposizione con il vincolo della subordinazione al datore di lavoro (e con il conseguente inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale) che connota il lavoro subordinato;
– il coordinamento: inteso come connessione funzionale con la struttura organizzativa del committente o, più in generale, con le finalità perseguite dal committente. Ferma restando l’autonomia del collaboratore, il coordinamento assume rilevanza determinante ai fini della qualificazione del rapporto sotto il profilo dell’interazione tra le parti (e in particolare dell’ingerenza del committente) in ordine al raggiungimento del risultato concordato;
– la continuità della prestazione: che ricorre quando la prestazione non sia meramente occasionale, ma sia destinata a protrarsi in un arco di tempo apprezzabilmente lungo e implicante una reiterazione delle prestazioni; la continuità può realizzarsi anche mediante prestazioni istantanee purché funzionalmente collegate tra di loro e concorrenti al soddisfacimento dell’interesse del committente; non è invece richiesta una molteplicità ininterrotta di incarichi. Esulano, pertanto, dalla tipologia di rapporti in esame, quelli che sono determinati da una relazione occasionale con il committente e sono destinati ad esaurirsi con il compimento di un’unica prestazione. Non si ravvisa infatti il requisito della continuità e della coordinazione nell’ipotesi di prestazione unica ad esecuzione istantanea, occasionale e destinata, quindi, a non ripetersi nel tempo. In sintesi, secondo l’Inail (circ. n. 32/2000), il requisito della continuità risulta dal ripetersi nel tempo della prestazione personale effettuata in modo regolare e sistematico;
– la personalità della prestazione o almeno la prevalenza del lavoro personale del collaboratore rispetto all’utilizzo di mezzi materiali o all’impiego di altri soggetti dei quali pure il collaboratore può avvalersi. In via esemplificativa, sempre secondo l’Inail, il rapporto tra il proprietario ed il gestore di un impianto di carburante, con l’obbligo per quest’ultimo dell’acquisto dei prodotti petroliferi forniti dal concedente, rientra nella parasubordinazione se il gestore sia in concreto obbligato ad una continua e coordinata collaborazione con il concedente nell’esercizio di un’attività prevalente personale. Tale rapporto non sussiste invece se il gestore ha organizzato la sua attività con criteri imprenditoriali tali da far ritenere che egli si sia limitato a coordinare e a dirigere l’opera dei suoi collaboratori, senza alcun coinvolgimento personale nella distribuzione del carburante.

(per maggiori approfondimenti vedi Manuale lavoro, Novecento Media)

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