La Rai prende tempo prima di lasciare il satellite Sky

Ancora in dubbio il destino delle reti del servizio pubblico sulla piattaforma di Rupert Murdoch

Giugno 2009
Come andrà a finire l’interminabile saga sulla permanenza o meno dei tre canali generalisti Rai su Sky? E RaiSat avrà ancora un futuro pay sulla piattaforma di Rupert Murdoch? Quale sarà il ruolo di Tivù e Tivù Sat? L’esistenza di quest’ultima basterà – dalle zone di “switch” – a sanare la fame di copertura delle grandi emittenti nazionali, nel periodo topico della transizione dall’analogico al digitale terrestre?

Il direttore generale della Rai Mauro Masi e l’AD di Sky Tom Mockridge hanno iniziato una serie d’incontri che potrebbero essere risolutivi, protagonisti di una trattativa di cui però, al momento, non sono prevedibili tempi ed esiti. Anche se c’è chi continua a sostenere che la storia abbia un finale già scritto e che sia in pratica sicura la decisione Rai di mollare il posto in prima fila sul telecomando di Sky, per aiutare “impropriamente” Mediaset nella dura partita intrapresa contro la società di Rupert Murdoch.

Un’altra ipotesi, anch’essa realistica, è invece quella che suggerisce come la Rai alla fine possa comportarsi alla stessa maniera di Mediaset, scegliendo una tattica dilatoria. In questo scenario, la strategia vera è per adesso cercare di alzare il prezzo al massimo e sarà solo in un secondo tempo che i grandi player italiani della Tv generalista andranno veramente al confronto bellicoso con il gigante straniero del satellite pay. C’è infine chi sostiene che a uno scontro vero e sanguinoso non si assisterà ancora per un bel po’ e forse mai. Perché tra i tre “monopolisti” del mercato italiano è molto più naturale prevalga la scelta di trovare equilibri più avanzati, su cui protrarre ancora a lungo le diverse situazioni di relativo privilegio.

La vera opportunità per scatenare la guerra totale arriverà – in quest’altro scenario – tra pochi mesi, quando bisognerà decidere come suddividere i pacchetti del calcio definiti dall’advisor Infront; ma anche in quel caso, alla fine, le ragioni del mercato potrebbero consigliare un’aggressività moderata. A proposito del calcio: pare che i contratti saranno biennali, in linea con il massimo di durata degli accordi che anche Sky può stipulare senza infrangere i limiti subiti dall’Ue al momento della fusione tra Stream e Telepiù. La bolletta complessiva – si stima – potrebbe salire fino ad almeno un miliardo di euro.

Meglio una dilazione?
Il presidente Fedele Confalonieri ha dichiarato a chiare lettere che, per il gruppo di Cologno, far uscire i propri canali dalla piattaforma pay non è e non sarà all’ordine del giorno ancora per un po’. Così è legittimo prevedere che alla fine anche Viale Mazzini – pur condizionata dalla scadenza al 31 luglio dell’attuale accordo – cercherà in ogni maniera di spostare in avanti la decisione d’imboccare una strada che appare palesemente impervia. Per la Rai, oltretutto, dal punto di vista delle regole, ci sarebbe da dipanare il busillis sull’obbligo del servizio pubblico di andare on air su tutte le piattaforme.

A Viale Mazzini sostengono che il vincolo sarebbe soddisfatto anche trasmettendo sul satellite via Tivù Sat. Ma da Sky sostengono il contrario e non è detto che alla Tv pubblica convenga andare a verificare chi davvero abbia ragione su questo punto. Così è lecito credere che, per prendere tempo, la Rai possa iniziare a marcare il proprio processo di allontanamento da Sky, evitando la rottura totale; rinunciando per adesso a scendere dalla piattaforma e limitandosi a criptare alcune delle proprie trasmissioni di maggiore attrazione, come già del resto ha fatto molto spesso sperimentalmente Mediaset in questi ultimi mesi.

Dopo la dichiarazione ufficiale di Confalonieri, una dilazione della scelta se stare dentro o fuori da Sky servirebbe anche a non far entrare subito in rotta di definitiva collisione il direttore generale Mauro Masi e il presidente Paolo Garimberti, perché quest’ultimo aveva condizionato il suo eventuale assenso all’abbandono della piattaforma Sky anche a un ritiro coordinato e contemporaneo di Mediaset.

Il problema più importante
Altro nodo essenziale è quello economico. Per continuare ad avere in carnet Extra, Premium, Cinema, Yoyo e Smash Girls, Sky offre 425 milioni di euro circa per sette anni, cifra comprensiva anche di 75 milioni in film acquisiti da Rai Cinema (del pacchetto di canali fin qui veicolati sulla pay non entra in trattativa Gambero Rosso, che attraversa una fase complessa della propria storia, con conseguenti difficoltà di dialogo della proprietà con il socio Rai e con problemi che, stando alle voci, potrebbero però risolversi se Sky divenisse la nuova sponda produttiva del marchio del gusto).

Per la Tv pubblica, che ha già messo nel conto di perdere 150 milioni di euro nel 2009 causa crisi della pubblicità, l’ipotesi di giocare al rialzo per moltiplicare le entrate assicurate dal minimo garantito della pay appare sensata e percorribile; molto meno quella di rinunciare alla redditività dei canali RaiSat e riorganizzare un’offerta multicanale sul digitale terrestre “free” in grado di limitare i danni. Danni che, specialmente in questa stagione, potrebbero essere molto rilevanti. È partita, infatti, una fase cruciale del percorso a tappe che porterà la Tv terrestre del nostro Paese dall’era analogica a quella digitale: stavolta non ci sono in ballo i problemi di trasloco per territori a bassa densità di abitanti, ma quelli di Piemonte, Lazio e Campania.

Se l’intenzione della Tv pubblica (e di Cologno) è di lanciare davvero – costi quel che costi – la DTT e la piattaforma satellitare Tivù, far sparire le prime sei reti generaliste dal telecomando di Sky potrebbe essere un incentivo decisivo per far traslocare, in fretta e definitivamente, al digitale terrestre e/o alla piattaforma satellitare di Rai, Mediaset e Telecom, il pubblico delle regioni appena citate. Ma l’esperienza della Sardegna insegna che questa strategia potrebbe anche essere rischiosa. Comunque vada, per alcuni mesi in Piemonte e nel “centro dell’Italia” potrebbe venire a mancare una certa quota di copertura del pubblico (più che del territorio) prima garantita dall’analogico.

È presumibile che un certo deficit di penetrazione si protragga per tutto il periodo di garanzia, fino a dicembre. Ed è improbabile che questo gap possa essere colmato da un sistema satellitare ancora in fase di lancio e che non potrà contare, almeno fino al 2010, sul parco dei decoder satellitari digitali ora installati. Il caso sardo insegna pure che, in una situazione in cui non è mai immediata la scelta di attaccare un decoder anche al secondo o terzo apparecchio tv presente in casa, la copertura garantita da Sky è ancora più importante e corroborante.

Ebbene, quest’anno i risultati della raccolta pubblicitaria di settembre, ottobre, novembre e dicembre – che si confrontano con un periodo omogeneo del 2008 che fu già di scarsi risultati – saranno decisivi per rendere più accettabile il bilancio, certamente in segno meno, dell’advertising televisivo nel 2009. Vale veramente la pena per Rai e Mediaset scegliere di perdersi un pezzo di audience potenziale in una fase così critica?

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