In Italia mancano gli energy manager. Assumerli farebbe bene anche ai data center

Vi siete accorti che il data center consuma, e non poca, energia elettrica, ma non sapete che strategia adottare per ridurla? Rivolgetevi all’energy manager (Em), un esperto di materia energetica a tutto tondo. Peccato che non sempre gli sia riconosciu …

Vi siete accorti che il data center consuma, e non poca, energia elettrica, ma non sapete che strategia adottare per ridurla? Rivolgetevi all’energy manager (Em), un esperto di materia energetica a tutto tondo. Peccato che non sempre gli sia riconosciuto un ruolo fondamentale: rendere energeticamente efficiente qualunque azienda per cui lavora.

E, in effetti una norma (la 308 del 1982) obbligherebbe le imprese a comunicare al ministero dell’Industria un nominativo deputato a coprire questa funzione. Però, spesso, «il nome è di qualcuno che in azienda si occupa anche di altro», dice Cesare Boffa, del Fire (Federazione italiana per l’uso razionale dell’energia, vale a dire l’associazione degli energy manager). Ma qualcosa si muove. A partire dai numeri.

In Italia oggi esistono 2.100 figure con questa competenza, di cui 860 nel settore dell’energia, dell’agricoltura e dell’industria, 836 nel residenziale, Pa e servizi, 374 nei trasporti, 30 in altri comparti. «Il problema di questo dato è che è stabile da 20 anni, vale a dire da quando gli Em sono stati imposti per legge. Sono 1.064 i comuni italiani con più di 10.000 abitanti che dovrebbero avere almeno un Em – afferma Sandro Picchiolutto che, con un passato di Em nella Pa, oggi nel Fire rappresenta l’interfaccia con le istituzioni -. Le nomine, invece, rappresentano solo il 12% di tali enti. Il fatto è che non esiste un sistema di vigilanza né di sanzione per le inadempienze».

L’ostacolo da superare è ancora di taglio economico. Nel breve periodo, l’Em viene considerato come un costo, per cui le imprese, specialmente quelle di piccole dimensioni, lo reclutano da altre aree di attività. Se assunto dall’esterno, poi, deve essere integrato. Ma smettere di guardare all’energy manager come a un fardello e pensarlo, invece, come un investimento di medio-lungo termine converrebbe. Anche perché porta in azienda un sapere che partendo dall’ottimizzazione e dall’efficienza del comparto energetico, per le Pmi si trasforma in recupero della produttività.

L’Em nel servizio pubblico

«La legge 10 del 1991 – fa riflettere Picchiolutto – impone ad aziende ed enti locali che consumano più di mille tonnellate equivalenti di petrolio (Tep) l’anno di nominare un energy manager. E un comune con più di 10.000 abitanti registra consumi energetici ben superiori a questa quota. Da ex Em dalla Pubblica amministrazione, vedo che, però, oggi qualcosa sta cambiando. Il problema è che si presta troppa attenzione all’acquisto ottimale dell’energia, al miglior contratto di fornitura dei vettori e poco, invece, all’efficientamento».

Una storia tutta italiana quella degli energy manager. Basti pensare che all’estero non c’è neppure bisogno di un’associazine come il Fire che, nel nostro paese, ha ricevuto l’incarico direttamente dal Governo, per formare, riunire e rappresentare la categoria degli Em.

Secondo Dario Di Santo, direttore tecnico del Fire, il motivo è semplice: «Non essendoci leggi cogenti come da noi ed essendo il tema energetico molto più “sentito”, è naturale che altrove manager di questa tipologia siano inseriti in un contesto produttivo più strategico e, in un certo senso, “naturale”».

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