Imprese familiari, un’opportunità in tempo di crisi

Il family business non è un’esclusiva dell’Italia. Il passaggio generazionale è uno dei principali nodi da sciogliere

La relazione tra impresa e famiglia in Italia è particolarmente stretta, soprattutto per via del nostro caratteristico tessuto economico fatto di Pmi. Il family business è stato però spesso accusato di essere un ostacolo alla maturità del nostro sistema imprenditoriale. Ma secondo quanto segnala un’elaborazione della Camera di commercio di Milano (su dati “Factors of Business Success” Eurostat 2006 e del registro imprese 2008) gli imprenditori italiani in realtà non hanno un atteggiamento più “familista” rispetto a quello dei loro colleghi europei. Interrogati a proposito di quali siano le motivazioni che spingono allo start-up di un’impresa, gli italiani per il 26% indicano la volontà di seguire la tradizione familiare. In media nella Ue questa motivazione è segnalata dal 23% degli imprenditori, ma esistono paesi dove la percentuale è notevolmente più elevata, come in Svezia (32%), Portogallo (34%), Danimarca (41%) e Lussemburgo (86%). Gli italiani, inoltre, ascoltano meno i consigli di familiari ed amici (40% contro la media europea del 46%) e sono meno finanziati dalle famiglie (25% contro 27% della media europea). La mancanza di appoggio del coniuge e dei familiari è una difficoltà per lo start up di impresa in un caso su cinque (21% contro 19% europeo).

Il problema della successione
Insomma l’impresa familiare non è solo una peculiarità dell’Italia, ma questo particolare tipo di azienda deve fare i conti con un problema specifico, ovvero quello della successione del titolare. In un momento storico in cui la popolazione tende a invecchiare sono sempre di più le imprese che devono affrontare questa delicata fase: secondo una rilevazione della Camera di Commercio, in Lombardia il 16,2% delle aziende è guidato da una persona con più di 55 anni (in particolare nei settori dell’agricoltura, del commercio e del manifatturiero). Ogni anno nell’intera Unione Europea 500.000 imprese sono tramandate o subiscono un passaggio generazionale. Che questo momento possa essere particolarmente difficile è confermato da un’altra indagine del 2005, che indica nella successione il secondo fattore di chiusura delle imprese, subito alle spalle dei problemi di mercato. Secondo Federico Montelli, direttore di Formaper, nel passaggio generazionale entrano in gioco anche meccanismi psicologici «L’imprenditore uscente tende spesso a occultare questo problema sino al momento della pensione. Non è raro, d’altro canto, che i figli dell’imprenditore siano afflitti da una sorta di sindrome di Peter Pan e perciò dimostrino una certa ritrosia nell’impegnarsi nell’azienda di tipo familiare».

I fattori strategici
Cambio generazionale a parte, secondo Walter Zocchi, presidente del centro studi sull’impresa di famiglia “Di padre in figlio”, le aziende familiari di ogni dimensione e settore si trovano oggi di fronte a due fondamentali alternative: 1) mantenere la struttura aziendale così com’è, rinunciando a un’effettiva crescita in valore; 2) Aprire la ditta a nuovi soci esterni, portatori di capitali freschi, per cercare un’espansione sul mercato, scelta che però comporta delle ripercussioni sull’integrità del connubio famiglia-azienda. Qualunque sia la decisione di ogni singolo imprenditore, esistono tre fattori strategici che devono essere seguiti da tutte le aziende familiari. Innanzitutto, a differenza di quanto spesso accade, le regole di gestione devono essere scritte: si tratta di un elemento indispensabile per ridurre al minimo liti e contese. È evidente che, ad esempio, non stabilire i termini per l’uscita di un socio o di un parente dall’impresa è un fatto destinato a creare problemi (legali e non). In secondo luogo la comunicazione interna deve essere maggiormente formalizzata: troppo spesso le decisioni strategiche delle aziende familiari sono prese in modo informale dal titolare, magari comunicate nel corso di un classico pranzo domenicale.

Un basso livello di indebitamento
Informalità non significa però velocità delle decisioni e in questo modo, avverte Zocchi, si rischia inoltre di delegittimare l’organigramma interno e, a lungo termine, si scoraggiano possibili investimenti esterni. «Quante aziende familiari – insiste il presidente “Di padre in figlio”- sanno effettivamente utilizzare un business plan, un rendiconto finanziario o gestire un budget?». Da questo ragionamento scaturisce il terzo fattore: la conoscenza delle aziende familiari è troppo spesso tecnica e non strategica. È invece determinante sapere cosa occorre non fare sul mercato per organizzare al meglio il family business. Per rimanere competitivi bisogna insomma introdurre qualche cambiamento, ma secondo Guido Corbetta, docente di strategia delle aziende familiari all’Università Bocconi, le imprese di famiglia nell’attuale crisi economica godono almeno di due vantaggi. Innanzitutto tendono ad avere meno debiti rispetto alle altre aziende. Inoltre, per via della propria peculiare organizzazione, possono maggiormente permettersi di perseguire delle strategie a lungo termine rispetto a delle filiali che, magari, ogni tre mesi devono rispondere delle proprie decisioni alla casa madre.

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