Sempre più delocalizzazione per le imprese

Secondo un’analisi Istat, il 13,4% delle medie-grandi aziende italiane ha avviato processi di internazionalizzazione nel periodo 2001-06

Le imprese italiane scelgono sempre di più la strada dell’internazionalizzazione: lo rivela un’indagine dell’Istat (International sourcing – Dinamiche e modalità di internazionalizzazione attiva delle imprese italiane, promossa dalla Commissione europea). La ricerca, che ha preso in considerazione le imprese italiane dell’industria e dei servizi italiani con più di 50 addetti, ha cercato di individuare le società internazionalizzate, ossia quelle aziende che hanno intrapreso, in tutto o in parte, attività economiche all’estero nel periodo considerato, sia attraverso l’avvio di nuove funzioni che grazie al trasferimento di quelle precedentemente svolte in Italia.

Internazionalizzazione più spinta per le imprese industriali
Secondo lo studio Istat, nel periodo 2001-2006, circa 3.000 imprese, pari al 13,4% delle grandi e medie imprese industriali e dei servizi, hanno avviato processi di questo tipo. In particolare, il 9,9% di quelle con almeno 50 addetti ha trasferito all’estero attività o funzioni precedentemente realizzate in Italia, il 7,3% ha sviluppato all’estero nuove attività, mentre il 3,8% ha realizzato congiuntamente trasferimento e sviluppo. L’internazionalizzazione ha interessato maggiormente le imprese industriali (17,9%) rispetto a quelle operanti nel settore dei servizi (6,8%). Anche la dimensione aziendale ha rappresentato una discriminante importante nelle scelte di outsourcing: per il settore industriale tali scelte hanno riguardato il 45,4% delle grandi imprese e soltanto il 14,2% di quelle medie.




Trasferimenti più accentuati per le attività economiche
Per lo sviluppo all’estero di nuove attività, le imprese intervistate hanno dichiarato di realizzare soprattutto produzioni per nuovi mercati (67,6%). Per quanto riguarda, invece, il trasferimento all’estero di attività già esistenti, è risultato più accentuato per le attività economiche (5,9% delle imprese con almeno 50 addetti) rispetto alle funzioni aziendali (4,4%). In particolare, le funzioni aziendali che presentano incidenze più significative di delocalizzazione sono il marketing, le vendite e i servizi post-vendita, inclusi i centri assistenza e i call center, la distribuzione e la logistica e i servizi amministrativi, contabili e gestionali.

India e Africa le mete del prossimo futuro
Ad attirare di più le imprese italiane nel periodo 2001-06 è stata l’Europa, verso la quale si è indirizzato il 55% delle imprese internazionalizzate. In particolare, il 24,1% ha trasferito attività nella vecchia Unione a 15, il 20,6% nei nuovi stati membri e il 10% nei Paesi europei non membri della Comunità. Nel resto del mondo si distinguono Cina (16,8%) e Usa e Canada (complessivamente 9,7%), seguiti da Africa centro-meridionale (5%) e India (3,7%). Le previsioni per il periodo 2007-09 segnalano invece un arretramento della quota dei trasferimenti verso l’Unione a 15 ( 14,8%) e verso il Nord America (7%), un leggero rallentamento della quota della Cina, e una forte crescita degli investimenti in India, Africa e nei paesi europei extra UE.




Imprese soddisfatte delle scelta
Le motivazioni che hanno portato gli imprenditori a delocalizzare sono diverse: un peso importante ha la riduzione del costo del lavoro (65,4%) e degli altri costi d’impresa (60,1%), così come l’accesso a nuovi mercati (59,4%). Rilevante è anche la quota di imprese che vedono il trasferimento all’estero come la conseguenza delle scelte imposte dal vertice del gruppo (39,5%) o dell’adeguamento alle scelte di altre imprese (33%). In particolare, la riduzione del costo del lavoro e l’accesso a nuovi mercati incidono maggiormente nelle scelte delle aziende industriali rispetto a quelle dei servizi. Le imprese che hanno scelto l’outsourcing non sembrano poi pentirsene: secondo l’indagine, i trasferimenti all’estero hanno portato effetti positivi nella riduzione del costo del lavoro (56,8%), nel miglioramento della performance complessiva dell’impresa (55,7%) e nell’accesso a nuovi mercati (52,3%), oltre che nella diminuzione degli altri costi d’impresa e nell’aumento della capacità di vendita nei mercati esteri. E’ interessante notare inoltre come, nel giudizio delle aziende, il trasferimento all’estero non abbia determinato significativi effetti negativi sui tipici fattori  di competitività delle imprese, quali il mantenimento delle conoscenze e competenze al proprio interno, la disponibilità di servizi e la fidelizzazione del consumatore.

Le barriere all’internazionalizzazione delle imprese
Le principali barriere all’internazionalizzazione indicate dagli imprenditori riguardano gli ostacoli legali o amministrativi (60%), l’instabilità socio-economica del paese estero (53,9%), la limitata capacità manageriale e le inadeguate conoscenze tecniche dell’impresa nel coordinare attività produttive a livello internazionale (53,8%), la valutazione del trasferimento all’estero superiore ai benefici attesi (53,2%) e l’incertezza sugli standard produttivi internazionali (53,1%)

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