Il networking fa bene alle Pmi

Il Check up dell’innovazione di Ibm-Bocconi indica che le imprese devono aprirsi al mondo esterno

Il problema delle Pmi nei confronti dell’innovazione non risiede nella
disponibilità di risorse finanziarie, ma molto di più nella scarsa propensione
al networking relazionale (anche con università e business school) e
all’outsourcing strategico. E’ quanto sostiene “Il check up dell’innovazione”, una ricerca
della School of management della Sda Bocconi realizzata in collaborazione con
Ibm che, allargando un po’ troppo il campo d’indagine, ha preso in
considerazione settecento imprese fra venti e cinquecento dipendenti.



Una definizione un po’ allargata di
Pmi,
come riconosce la stessa indagine, che ha individuato 146 progetti
di innovazione basati sull’It e che individua come punti di debolezza delle
aziende il presidio delle risorse umane (scarsa formazione continua e capacità
di costruire percorsi di sviluppo organici) e soprattutto la capacità di
ricorrere all’outsourcing strategico che consiste nella capacità di aggregare
competenze e tecnologie esterne funzionali ai progetti di innovazione.





Le Pmi rischiano così di sprecare opportunità
preziose di innovazione tecnologica ben impostate da un punto di vista
progettuale e ben sostenute a livello finanziario. Il rischio è causato dallo
scarso orientamento a delegare parti del processo di innovazione all’esterno e
dall’accanimento su competenze e risorse interne spesso inadeguate.




Un approccio di maggior apertura e una
maggiore capacità di networking livello nazionale e
internazionale
consentirebbe probabilmente di cogliere i benefici di
innovazione spesso citati nella letteratura sui network di imprese. Affermazioni
basate sui dati della ricerca secondo la quale solo il 5% delle imprese riesce a
tradurre ogni idea di innovazione in prodotti o servizi, mentre solo il 4%
riesce a rispettare tempi e costi previsti. Il 54% realizza al massimo la metà
dei progetti in cantiere. Nonostante tutto il 52% delle Pmi dimostra una buona
propensione verso l’innovazione, l’11% esplora nuove soluzioni e il 17% viene
definita in fase di

“fermento tecnologico”.


Dietro questi numeri positivi, conclude la ricerca esiste però una difficoltà
a collegare il cambiamento a nuovi modelli di business, mentre dal lato offerta
le Pmi sono alle prese con un’offerta tecnologica complessa che cambia troppo
velocemente nella quale fanno fatica a orientarsi.

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