Il canale in cabina di regia

Con l’avvio del digitale terrestre forse ci sarà poco spazio per le vendite di hardware e infrastrutture ma molto nel settore degli applicativi di interattività: specializzatevi in Mhp

Il 31 gennaio 2006 sarà la prima occasione per fare un punto della
situazione sul digitale terrestre. Per quella data è previsto il
passaggio alla nuova tecnologia di trasmissione televisiva nelle regioni
pilota, Sardegna e Val d’Aosta, per almeno il 70% della popolazione.
Il segnale analogico sarà spento per tutta la popolazione delle
due regioni entro fine luglio. La scadenza successiva è prevista
per il 31 dicembre dello stesso anno, data in cui si dovrebbe assistere
al passaggio al digitale in tutta Italia, o almeno nelle zone raggiunte
dal segnale. Le date sono state decretate dalla legislazione (legge n.
5 del 23 gennaio 2001, n.66 del 20 marzo 2001 e la legge Gasparri, la
n.112 del 3 maggio 2004) e hanno recepito la normativa prevista dall’Unione
europea che agevola la diffusione del digitale terrestre in tutti i Paesi
del Vecchio Continente.

È probabile che la scadenza del 31 dicembre
2006 venga "ridimensionata" per consentire ai broadcaster
di completare la mappatura del territorio. Attualmente, la Rai sostiene
di aver raggiunto il 70% di copertura e i dati di vendita segnano quota
tre milioni di decoder installati garantendo un tasso di penetrazione
nelle famiglie del 15 per cento. La rivoluzione riguarderà oltre
20 milioni di abitazioni e circa 50 milioni di apparecchi televisivi e
questo dato, da solo, fa comprendere il valore della transazione al digitale
terrestre. Ma c’è di più. Raramente abbiamo assistito
a una rivoluzione tecnologica che non richiedesse uno sforzo, culturale
oltre che economico, all’utente. Per usufruire dei servizi accessibili
mediante il digitale terrestre, infatti, non bisogna cambiare l’infrastruttura
tecnologica: il segnale arriva dall’antenna che abbiamo sempre usato
e si fruisce del servizio mediante un apparecchio ben noto, il televisore.

L’unico investimento richiesto al consumatore è il decoder,
con una spesa media intorno a un centinaio di euro, destinata a calare
rapidamente. Un minimo sforzo per dotarsi di una tecnologia in grado di
modificare profondamente l’interazione con l’apparecchio televisivo.
L’utente, infatti, diviene uno spettatore attivo, in grado di fruire
istantaneamente e facilmente di ogni tipo di servizio. Andiamo dall’acquisto
diretto dei prodotti commercializzati all’home banking, dalla assistenza
sanitaria al t-government. Il range di servizi fruibili è vastissimo
e, forse, ancora difficile da immaginare. Ciò che interessa agli
operatori del settore, in particolare agli sviluppatori, è che
il digitale terrestre rappresenta il primo passo effettivo verso una convergenza
totale dei contenuti digitali, siano essi fruibili via Tv (con antenna
o parabola), via pc, via telefonino cellulare.

Servizi applicativi
Impossibile che lo stesso servizio risulti indipendente dal dispositivo?
Non è detto, almeno con queste premesse. Lo standard di trasmissione,
infatti, è ben definito e si chiama Dvb (Digital video broadcasting)
e così lo standard di sviluppo per gli applicativi, il Mhp (Multimedia
home platform). Certo, a ben vedere ci sono ancora alcune zone buie, per
esempio per quanto riguarda i decoder o la sicurezza, e il "fattore"
Windows Media Center, che per ora non parla con gli applicativi Mhp anche
se qualcosa sta cambiando (vedi pag. 61) ma, rispetto al travaglio di
altre tecnologie It, il digitale terrestre sembra avere una strada spianata
di fronte a sè.


«Il digitale terrestre è ancora un bambino che sta diventando
un adolescente»
sostiene Sebastiano Trigila,
coordinatore del progetto digitale terrestre per la Fondazione
Ugo Bordoni
, incaricata ufficialmente dal ministero delle Comunicazioni
di elaborare e proporre strategie di sviluppo nell’ambito della comunicazione.
Dello stesso avviso è Andrea Venturi, project
manager del gruppo che si occupa di digitale terrestre in Cineca,
consorzio che raggruppa 25 università italiane ed è il maggiore
centro di calcolo italiano. «Siamo in una fase pionieristica
– afferma Venturi –, molto dipenderà da come risponde
il pubblico televisivo. Dopo che il digitale terrestre nelle case sarà
sufficientemente presente, allora si partirà con i servizi applicativi
non di intrattenimento. Ma in questo momento chi fa più soldi sono
gli installatori»
.

Anche secondo il Cto di Sun Italia,
Giuseppe Facchetti siamo solo all’inizio. «Fondamentale
far partire un po’ di sperimentazione
– afferma il manager – per
creare storie di successo e spirito di emulazione. Di certo sarà
un processo graduale e non improvviso. Vedo una crescita di interesse
da parte delle banche e delle utilities, e della Pa locale»
.

E ora sviluppiamo
Ma qual è l’opportunità per i partner di canale? Di opportunità
ce ne sono diverse. La più banale riguarda la vendita al dettaglio
dei decoder, dei televisori, in generale dei prodotti di elettronica di
consumo, ma anche di pc "mediacentrici", schedine e accessori
vari. Poi, sono certo interessati i fornitori di telecomunicazioni, network-ing
e storage, ma la partita si gioca tra pochi player ben consolidati tra
i broadcaster. L’opportunità più interessante riguarda l’area
degli applicativi coinvolgendo la folta schiera di sviluppatori e software
house.

La normativa italiana definisce tre tipologie di operatori interessati.
I fornitori di infrastruttura, di servizi e di contenuti. In sintesi,
chi fornisce l’infrastruttura è un network televisivo, mentre il
fornitore di servizi, in questo momento, è colui che aggrega l’offerta
di canali costruendo un bouquet. Ma lo stesso attore si farà carico
della sicurezza delle transazioni, della gestione del cliente e della
sua autenticazione/identificazione. «Un broadcaster, come Rai
e Mediaset per intenderci, potrebbe essere un fornitore di tutte e tre
le tipologie
– afferma Trigila –. Succede, infatti, che il broadcaster
costruisca internamente i contenuti e i servizi attraverso società
collegate»
.

I broadcaster nazionali possono aver solo bisogno
di infrastrutture hardware, come detto precedentemente, per le quali si
appoggiano ai loro partner storici. Ma non disperiamo, gli sviluppatori
software hanno di fronte una doppia tipologia di interlocutore. I network
televisivi, nella loro veste di fornitori di contenuti e di fornitori
di servizi ma, soprattutto, la Pubblica amministrazione, centrale e locale,
la Sanità e le piccole reti televisive locali e, in un futuro ormai
prossimo, anche le aziende, che potranno utilizzare il digitale terrestre
per servizi al pubblico, per operazioni di comunicazione/ marketing/pubblicità
o per attività interne come la formazione.

Non è solo Java
Indipendentemente dal target, tutto lo sviluppo per il digitale ruota
attorno all’acronimo Mhp (Multimedia home platform). Si tratta di uno
standard di sviluppo basato su Java che genera il codice eseguito dalla
Java Virtual Machine contenuta nel decoder e che usa specifiche Api e
librerie Java. Un applicativo in Mhp mediamente pesa intorno ai 500 kbyte,
ma la leggerezza non è l’unico vantaggio. Lo standard Java garantisce
una facile portabilità da un dispositivo all’altro e l’accesso
a un’architettura open. Messi da parte i vantaggi, consideriamo anche
le obiezioni.

«Non basta essere sviluppatore Java per realizzare
una valida applicazione per il digitale terrestre
– spiega Trigila
. Intanto bisogna conoscere le librerie e le Api specifiche e, in
fase di design dell’interfaccia, è necessario tenere conto dei
limiti dell’apparecchio Tv che non è come un monitor di un pc e
del fatto che al posto del mouse c’è il telecomando. Il risultato
deve essere essenziale e intuitivo e non può essere la semplice
trasposizione di un sito Web sul televisore»
. Ciò che
manca, insomma, è la professionalità specifica e ciò
si evince anche dal bassissimo numero di software house specializzate
in applicativi Mhp, siamo nell’ordine della decina.

Secondo Giuseppe Facchetti è «difficile stabilire quanti
siano gli sviluppatori Mhp in Italia, dai feedback che riceve la nostra
community Java presumo che gli interessati alla tematica siano circa 300»
.
Anche Facchetti concorda con la necessità di cultura di sviluppo.
«Da parte nostra agevoliamo la formazione mettendo a disposizione
il nostro demo center e supportando eventi e iniziative come Ambiente
digitale della Fondazione Bordoni. Proprio questa struttura potrebbe assumere
un ruolo formativo»
. Anche se ci vuole una formazione specifica,
chi sviluppa siti Web o applicativi Java per dispositivi portatili parte
avvantaggiato.

Per esempio, in termini
di condivisione del codice in ottica open source. «Il concetto
da enfatizzare
– spiega Venturi – è la condivisione delle
soluzioni di base per favorire la diffusione e la crescita della piattaforma»
.
Il Cineca, proprio per questo, lavora seguendo una strategia completamente
open. E ciò significa anche procedere alla realizzazione di un
modello standard di sviluppo in Mhp che sia totalmente indipendente dal
dispositivo. «Stiamo parlando di sviluppo di applicazioni per
la gestione di contenuti digitali
– afferma Facchetti – di cui
il digitale terrestre è solo una delle piattaforme di fruizione»
.
In pratica, la posizione di Sun è decisamente pragmatica seguendo
allo stesso modo il video streaming via Umts, Gprs Edge o Adsl, l’IpTv
e il digitale terrestre.
«E non vedo una killer application tra tutti – conclude
Facchetti –, sarà il servizio a determinare la tecnologia da
utilizzare»
.

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