Il brevetto e il suo doppio

Troppo spesso si va da giudici compiacenti per chiedere azioni legali basate su questioni di lana caprina solo per vedere l’effetto che fa sull’avversario. E’ forse il momento di un’inversione di tendenza?

“Il sistema dei brevetti dovrebbe premiare chi crea le innovazioni più utili per la società, non quelli che giocano sporco o richiedono giudizio su cause dubbie“: sono alcune delle parole di Kent Walker, Senior Vp & General Counsel, nell’annunciare l’offerta per i 6.000 brevetti o richieste vendute dalla fallita Nortel, fatto di cui 01Net s’è occupata.
L’azienda dichiara di aver bisogno di più brevetti di quanti la sua gioventù le permette per controbattere le accuse di aziende che hanno più pezzi di carta di lei e che le impediscono di sviluppare l’attività nel modo più naturale.

Cronache di Silicon Valley
Una volta non era così. Le cronache dei primi anni dell’elettronica integrata riportano un periodo gioioso, nel quale si faceva brainstorming sui bar e a pranzo, anche tra concorrenti, per dimostrarsi più bravi dei colleghi. E’ questo il periodo che Bob Noyce e Gordon Moore vissero ed impostarono, prima in Fairchild, poi alla NM Electronics che diventerà Intel.
Era un mondo ancora privo di valore nei brevetti di elettronica digitale. Via via l’importanza crebbe e le leggi diventarono meno adatte a rappresentare l’industria che regolavano. Ad un certo punto la questione divenne fortissima con la competizione con i giapponesi, che a cavallo del 1980 divennero più bravi degli statunitensi a fare le memorie, provandosi poi con i chip. Il momento che formò il mondo a venire fu la “guerra del microcodice” di Intel (che all’epoca dava i suoi chip in licenza) controNec, un colosso grande 4 volte lei. Il cuore del brevetto da proteggere era il microcodice, il software di controllo che fa funzionare i microprocessori, che si diceva tale Hiroaki Kaneko avesse riscritto senza avere nessuna informazione originale.
Intel s’impegnò molto perché la legge sul diritto d’autore venisse estesa al software (1980) e ancor più perché venisse promulgata una più forte legge specifica, il Semiconductor Act (1984). Intel fece poi valere queste regole a suo modo contro molti dei suoi concorrenti, trascinandoli in cause infinite che comunque rallentavano lo sviluppo di aziende più piccole di lei.
<BR<
L’uso del brevetto
Da allora molte cose sono cambiate e le grandi aziende si scannano nel nome di questioni che nessuno potrebbe dirimere a lume di logica. I mercati cambiano e accaparrarsi i nuovi non solo è sinonimo di guadagni, ma anche e soprattutto di sopravvivenza, una spinta ancor più primordiale e forte.
“E’ per queste ragioni che Google si da tempo espressa a favore di una reale riforma dei brevetti, che crediamo andrà a beneficio degli utenti e dell’economia americana nel suo complesso”.
Le parole sono sempre quelle di Walker, ma il principio, a parte il propugnatore (Google) e l’area di riferimento (Stati Uniti), dovrebbe essere valido in assoluto. I tempi cambiano e chi non ha brevetti deve acquisirne, per avere qualche pezzo di carta che stabilisca la ripartizione del diritto. Solo il tempo ci dirà cosa farà Google dei brevetti in questione: è evidente che il sistema di protezione dei diritti a livello mondiale è logoro e inadeguato alla situazione attuale. Non è detto che sia possibile sostituirlo con uno migliore, ma possiamo provare ad usare meglio quello che abbiamo.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome