Ibm, ecco Blue Gene/L

Al via commerciale il supercomputer di Big Blue nato per lo studio della proteomica. È un eServer come gli altri.

È arrivato, finalmente, il giorno di Blue Gene/L, ovvero la versione “commerciale” (L sta per light, leggero) del supercomputer che Ibm ha messo in cantiere anni orsono, per dare alla comunità della ricerca scientifica uno strumento che potesse essere in grado di condurre gli studi sulla proteomica.


Ennesimo caso di quella tecnologia che nasce per fini alti, e poi cala sul mercato con forme, dimensioni e costi a lui più consoni, Blue Gene è l’interfaccia estrema, il terminale “offensivo” della squadra tecnologica di Ibm.


L’utilizzo delle virgolette nel termine “commerciale” è legato al fatto che il sistema costa la bellezza di 1,5 milioni di dollari. Tanto, come cifra in valore assoluto, poco se si pensa alla tecnologia che c’è dietro.


Di fatto, comunque, la versione alleggerita del supercomputer partito quattro anni fa come progetto per lo studio delle proteine che compongono il Dna, e quindi come atto di forza finale nei tentativi che l’uomo può fare per svelare il segreto della vita e delle sue difformi manifestazioni (al di là dei meccanismi di formazione della proteina non c’è più nulla da scoprire), ora entra a far parte della famiglia degli eServer.


Al pari, quindi, non solo dei mainframe, ma anche dei server cosiddetti industry standard.


Il marchio del supercomputer, infatti, sarà eServer Blue Gene.


Ibm lo propone in configurazioni che partono da uno e arrivano a 64 rack, con 1.024 processori per ogni armadio.


Già la configurazione a 16 rack, secondo uno speed test chiamato Linpack, risulta essere la più potente al mondo in fatto di elaborazione di informazioni, essendo in grado di lavorare 70,7 trilioni di dati al secondo (70,7 Teraflop).


Ad architettura ibrida, i Blue Gene/L montano processori Power dual core, con doppio coprocessore matematico (quindi quattro i totale per Cpu). Ogni core si può dedicare a operazioni di calcolo matematico, oppure uno dei due può dedicarsi alla gestione delle comunicazioni con le reti di collegamento fra i vari processori.


Dal punto di vista della concezione architetturale, quindi, per molti osservatori Blue Gene/L richiama la conformazione di un cluster Linux (sistema operativo che può girare sul supercomputer di Big Blue).


Attualmente Ibm ha quattro clienti per questi sistemi: il Lawrence Livermore National Laboratory (che erediterà a fine mese l’implementazion esistente nei laboratori Ibm di Rochester), il Japan National Institute ofn Advanced industrial science and technology, il radio telescopio olandese Lofar e l’Argonne National Laboratory.

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