I vantaggi di fare un lavoro sporco

L’Unione europea ha fissato delle date precise per l’adeguamento della normativa sul riciclo del materiale elettrico ed elettronico. E questo è il momento giusto per gli operatori perché ciò possa diventare un vantaggio competitivo

Giugno 2004, Si chiama e-waste e indica il complesso mondo del riciclo
del materiale elettrico ed elettronico. Comprende tutto, dai frigoriferi ai
telefoni portatili, dagli impianti stereo ai personal computer ed è un
mercato ancora poco conosciuto, ma decisamente interessante. La legislazione,
infatti, prevede delle novità a breve termine che possono trasformarsi
in buone opportunità per i dealer e per il canale in generale.
Ogni cittadino europeo produce in media una ventina di chilogrammi di e-waste
e nei prossimi cinque anni questa cifra è destinata a crescere tra il
16 e il 28%. Si prevede che nel 2005 per ogni pc immesso nel mercato statunitense,
un altro sarà destinato alla rottamazione mentre, attualmente, meno del
20% dei computer dismessi negli Stati Uniti viene riciclato o riutilizzato.
Ogni anno circa 150 milioni di pc vanno in disuso nel mondo e si calcola che,
tra il 2001 e il 2007, oltre un miliardo di computer, di cui la metà
solo negli Stati Uniti, sarà obsoleto. Per quanto riguarda l’Italia,
nel nostro Paese ogni anno si producono circa 6 milioni di tonnellate di rifiuti
elettrici ed elettronici, il 4% del totale dell’Unione europea, con un tasso
di crescita stimato di circa tre volte superiore a quello dei restanti rifiuti
urbani. Sono numeri altissimi, a livello di quelli del settore delle automobili,
con le aggravanti che la sensibilizzazione è ancora bassissima, il mercato
dei computer usati è poco sviluppato e i costi di riciclo sono molto
alti.

Leggi e opportunità per il canale
A tutto questo si aggiunge la normativa in vigore nell’Unione europea che, dal
31 dicembre 2006, obbligherà i produttori a farsi carico dei costi per
lo smaltimento dei rifiuti degli apparecchi di propria produzione. Dal primo
luglio dello stesso anno, inoltre, sarà vietato l’utilizzo in produzione
di quattro metalli pesanti e pericolosi: piombo, mercurio, cadmio e cromo esavalente
e di altre componenti pericolose. Per farci un’idea, il 6,3% di un pc è
composto da piombo, mentre altri elementi tossici e difficilmente riciclabili
sono presenti, fortunatamente, in percentuali irrisorie. Un computer è,
effettivamente, un insieme di materiali altamente dannosi per la salute e l’ambiente,
come il piombo, preziosi, come l’oro, il rame e il palladio, e difficili da
riciclare, come la plastica. Il riciclo, inoltre, comporta costi molto alti
che riguardano soprattutto il trasporto e lo smontaggio dei componenti, difficile,
se non impossibile, da eseguire in modo automatico.
I maggiori produttori di personal computer si sono organizzati, almeno in teoria,
con programmi appositi, ma poco conosciuti e di difficile attuazione, anche
a causa del fatto che spesso al cliente viene chiesto di pagare per la rottamazione.
Le istituzioni mondiali finora hanno reso la legislazione più precisa
e rigorosa o hanno imposto delle tasse alla produzione, ma c’è ancora
tantissimo da fare. Proprio per questo e alla luce delle scadenze legislative
imminenti, potrebbe essere conveniente studiarsi un po’ la materia per coglierne
le opportunità. Attorno al mondo del riciclo, infatti, sono ancora poche
le aziende che, con molti sforzi e pochi rientri, si occupano di rigenerare
i prodotti per destinarli al mercato parallelo delle forniture, magari nel terzo
mondo, o di smaltire e riciclare le singole componenti.

Le responsabilità della filiera
In Italia la materia è regolata dal "decreto Ronchi", risalente
al 1997 e modificato negli anni, che ha definito alcune norme di massima. I
beni durevoli di uso domestico, per esempio, esaurita la loro durata devono
essere riconsegnati a un rivenditore contestualmente all’acquisto di un bene
di tipologia equivalente. I produttori e gli importatori devono provvedere al
ritiro, al recupero e allo smaltimento dei beni.
Fin qui tutto bene, il problema nasce, come spesso accade, nella definizione
pratica di come si devono fare le cose. L’operatività è affidata
ad accordi volontari tra i diversi attori della filiera, e qui si inizia a rimanere
sul vago, fermo restando soltanto la responsabilità della gestione del
rifiuto da parte dei produttori e degli importatori e qualche competenza degli
enti locali. Il decreto sostiene, infatti, che, se entro tre anni dall’emanazione
della legge (1997) non sono stati approvati gli accordi di programma, viene
introdotto il "cauzionamento obbligatorio". Una sorta di sovrattassa,
pari al 10% del prezzo effettivo di vendita del prodotto e comunque non superiore
a 103,29 euro, che poi finisce per ricadere sugli acquirenti, e che servirebbe
a pagare gli oneri del corretto trattamento dei rifiuti. Niente di più
e, soprattutto, niente di meglio. In verità il decreto Ronchi non si
discosta di molto dalla normativa europea che, se da una parte definisce chiaramente
i produttori come i veri responsabili del recupero e del riciclo, dall’altra
risolve tutto con l’istituzione di un sistema di raccolta comune mediante l’associatività
e la solita tassa.

Tredici agosto 2004 e 2005
Le due normative di riferimento, comunitaria e italiana, sui rifiuti di apparecchiature
elettriche ed elettroniche (Raee) devono convergere, ovvero lo Stato italiano
dovrà recepire ciò che è già definito a livello
europeo. Per la precisione, entro il tredici agosto di quest’anno l’Italia dovrà
allinearsi, mentre è fissata esattamente per l’anno successivo l’istituzione
dei sistemi di raccolta dei Raee di provenienza domestica che consentano ai
detentori finali, in particolare le aziende che attualmente pagano per questo
servizio, e ai distributori di restituire gratuitamente questo tipo di rifiuti.

Gli Stati membri dovranno assicurare la disponibilità e l’accessibilità
dei centri di raccolta, distribuendoli a seconda della densità di popolazione
e devono provvedere affinché tutti i rifiuti siano veicolati su questo
canale. In particolare, la raccolta e il trasporto devono essere svolti in modo
da favorire al massimo il reimpiego e il riciclaggio degli apparecchi. Gli obiettivi
fissati dall’Unione europea indicano una quota annuale massima di quattro chilogrammi
di rifiuti di tipo Raee per ogni cittadino, da raggiungere entro il 31 dicembre
del 2008.
Il trattamento finale, qualora sia impossibile il riutilizzo completo, deve
essere svolto secondo delle precise linee guida favorendo la rimozione delle
sostanze dannose e non riciclabili. Alla luce di tutto questo quale potrebbe
essere il ruolo operativo del dealer? L’ultimo anello della catena ha il vantaggio
del contatto diretto con l’utente finale, azienda o privato che sia, e avrebbe
un ruolo di riferimento locale per i centri di stoccaggio e di riciclo che sono
ancora poco distribuiti sul territorio. Intendiamoci, non è possibile
richiedere al dealer di impegnarsi in una raccolta in grande stile, ma le sue
competenze potrebbero aiutarlo innanzitutto a comprendere se un certo stock
debba essere destinato al riciclo o al riutilizzo. Nel secondo caso potrebbe
facilmente adoperarsi per rimettere sul mercato uno stock ancora performante,
nel secondo potrebbe compiere un disassemblaggio di "primo livello"
al fine di recuperare qualche "macrocomponente" utile per il lavoro
di assistenza. Tutto questo, in verità, viene già fatto dai dealer,
spesso non in via ufficiale e ora la vera opportunità sta nella qualificazione
di questa attività, in attesa che arrivi una certificazione vera e propria
per poi trasformarla in un servizio aggiunto quantificabile.

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